Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36429 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 36429 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
MENEGUZZI Mauro n. Genova 1’11 novembre 1960
BOBBA Rita n. Torino il 5 novembre 1967
avverso la sentenza emessa il 17 aprile 2014 dalla Corte di appello di Torino

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Giulio Romano, che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
sentito i difensori di fiducia degli imputati avv. Paolo Botasso del foro di Cuneo e avv. Guido
Fracchia del foro di Torino, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 03/06/2015

Considerato in fatto
1.

Con sentenza in data 13 maggio 2013 il giudice dell’udienza preliminare del

Tribunale di Torino dichiarava, all’esito del giudizio abbreviato, Meneguzzi Mauro e Bobba Rita
colpevoli dei reati di truffa continuata ai danni di ente pubblico, aggravato anche dell’abuso di
relazioni di ufficio, commesso dal marzo 2011 al 31 luglio 2011 e nel giugno 2012 e del reato
di falso ideologico continuato, aggravato dal nesso teleologico, commesso in quindici diverse
occasioni dal 21 marzo 2011 al 31 luglio 2011. Ritenuta la continuazione e riconosciute ad

il rito, il Meneguzzi veniva condannato alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione e la
Bobba alla pena di anni due di reclusione, per entrambi con la pena accessoria dell’interdizione
dai pubblici uffici per una durata pari a quella della pena principale e per la sola Bobba con il
beneficio della sospensione condizionale e della non menzione.
2.

Con sentenza in data 17 aprile 2014 la Corte di appello di Torino riformava la

sentenza di primo grado assolvendo per insussistenza del fatto gli imputati dal reato di falso
limitatamente ai fatti commessi il 18 maggio e il 27 maggio 2011 e rideterminava la pena
relativamente ai residui reati in anni uno, mesi nove di reclusione ciascuno, concedendo al
Meneguzzi i doppi benefici di legge e confermando le restanti statuizioni.
3.

La vicenda riguarda l’accertata e riconosciuta irregolarità nella registrazione

dell’orario di entrata ed uscita dal luogo di lavoro della Bobba, dipendente del comune di Sauze
d’Oulx, che all’entrata risultava avere effettivamente inserito il badge nell’apposito dispositivo
elettronico nei giorni feriali del periodo compreso tra il 18 marzo e il 18 maggio 2011, ma solo
nei giorni 28 marzo, 4 aprile, 11 maggio e 16 maggio 2011 aveva eseguito personalmente la
timbratura anche all’orario di uscita, avendovi provveduto negli altri giorni feriali il coimputato
Meneguzzi, sindaco dello stesso comune, il quale anche nei giorni festivi aveva effettuato la
timbratura per conto della Bobba sia in entrata che in uscita. In altri casi il sindaco aveva
autorizzato la Bobba alla cd. bollatura manuale, attestando falsamente l’orario di lavoro della
dipendente sul presupposto che la stessa non avesse potuto timbrare il badge, per
dimenticanza o altri motivi. In tal modo, secondo la tesi accusatoria ritenuta fondata dai
giudici di merito, l’amministrazione comunale era stata indotta in errore sulla presenza della
Bobba in ufficio e sulle ore di effettivo servizio prestato e aveva corrisposto all’impiegata una
retribuzione non corrispondente alla prestazione lavorativa pattuita.
4.

Avverso la sentenza di appello, tramite il comune difensore, gli imputati hanno

proposto ricorso per cassazione deducendo:
1)

l’erronea applicazione dell’art.90 T.U.E.L. (Testo Unico Enti Locali) di cui al d.lgs.

n.267/2000, la conseguente erronea applicazione della legge penale in relazione all’art.640
cod.pen. e la contraddittorietà della motivazione; il giudice di merito, secondo i ricorrenti,
avrebbe omesso di inquadrare il rapporto di lavoro della Bobba nel contesto giuridico di

entrambi le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, con la diminuente per

riferimento, essendo stata l’imputata assunta dal comune di Sauze d’Oulx, che era stato uno
dei principali centri delle Olimpiadi invernali del 2006, con un contratto a tempo determinato
stipulato ai sensi dell’art.90 T.U.E.L. dal predecessore del sindaco Meneguzzi per il biennio
2005-2007 e rinnovato per altri due periodi fino al 2011, anno in cui la Bobba era stata
assunta a tempo indeterminato a seguito di una controversia di lavoro; alla Bobba era stato
quindi conferito un incarico di supporto all’organo di direzione politica del comune (cd. incarico
di staff), totalmente fiduciario, da svolgere alle dirette dipendenze del sindaco; il relativo

concorso, non essendo il lavoratore inserito nell’organizzazione dell’ente né sottoposto a
vincolo di subordinazione gerarchica e di orario; nel contratto stipulato con la Bobba dal
predecessore del sindaco Meneguzzi si richiamava infatti, quanto all’orario di lavoro, l’allegata
circolare interna del direttore generale (mai revocata o modificata) in cui per il personale che
prestava supporto agli organi di direzione politica l’orario veniva stabilito in trentasei ore
settimanali, la cui articolazione concreta sarebbe stata disposta in modo flessibile previo
accordo tra l’Amministrazione e il responsabile di riferimento (lo stesso sindaco), e per le
prestazioni di lavoro straordinario veniva previsto un emolumento forfettario onnicomprensivo;
la Bobba inoltre svolgeva il proprio lavoro prevalentemente al di fuori degli uffici comunali, in
cui non aveva una propria postazione; la tinnbratura del

badge in tale peculiare rapporto di

lavoro non aveva alcuna rilevanza, anche in considerazione del fatto che unico responsabile e
referente era il sindaco nella cui persona doveva individuarsi il “funzionario preposto” che,
secondo l’imputazione, sarebbe stato indotto in errore; l’Amministrazione comunale aveva
comunque ricevuto una prestazione esaustiva e soddisfacente rispetto al ruolo ricoperto dalla
Bobba, che era stata correttamente retribuita in relazione al lavoro svolto, in base a verifiche
che spettavano esclusivamente al sindaco;
2)

la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in

relazione alla conferma dell’affermazione di responsabilità quanto al reato di truffa, avendo la
Corte territoriale omesso di valutare le argomentazioni difensive circa la particolarità
dell’incarico di staff e le funzioni in concreto esercitate dalla Bobba, argomentazioni tendenti a
dimostrare che l’assenza dell’imputata dall’asserito luogo di lavoro corrispondesse a mancanza
di prestazione lavorativa; il giudice di merito si era limitato ad affermare che la Bobba era
tenuta ad attestare l’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa negli uffici comunali mediante
la bollatura del badge (o a presentare domanda di bollatura manuale, nel caso avesse
dimenticato di timbrare il badge o avesse iniziato o ultimato altrove il lavoro), perché altrimenti
non avrebbe avuto alcun senso la bollatura del badge; a tale affermazione tautologica la Corte
territoriale era pervenuta senza valutare l’ulteriore argomento difensivo -supportato dalla
produzione di e-mail inviate in ore serali e di volantini pubblicitari degli eventi organizzati
dall’imputata nonché dall’indicazione di enti e uffici pubblici (siti in zone compatibili con le
rilevazioni del GPS effettuate dai Carabinieri) presso i quali la stessa si era recata per

contratto si differenziava dal normale rapporto di pubblico impiego instaurato a seguito di

1l’espletamento delle funzioni affidatele- che la Bobba nell’orario in cui risultava presente presso
gli uffici comunali in realtà aveva effettivamente lavorato dalla propria abitazione o gestito sul
territorio eventi e manifestazioni; l’inadeguatezza della motivazione sul punto aveva investito
l’accertamento della sussistenza di due elementi costitutivi del reato di truffa, quali l’ingiusto
profitto e il danno;
3)

l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art.479 cod.pen. e il

vizio della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità in ordine al reato di falso

Corte territoriale non aveva preso in considerazione le deuzioni contenute nelle note
riassuntive della discussione finale circa la qualificazione giuridica del fatto contestato al capo 2
come falso ideologico, né si era uniformata al principio enunciato con la sentenza n.15983 del
2006 dalle Sezioni Unite che avevano escluso la natura di atti pubblici dei cartellini
marcatempo e dei fogli di presenza dei pubblici dipendenti.

Ritenuto in diritto
1. Il ricorso va rigettato.
1.1. Il primo e il secondo motivo del ricorso ripropongono, infatti, argomenti prospettati
nell’atto di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte,
esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera né specificatamente
censura. Il giudice di appello, per affermare l’infondatezza della tesi difensiva secondo la quale
il rapporto di lavoro della Bobba con il comune di Sauze d’Oulx non prevedeva che la stessa
fosse necessariamente presente nella casa comunale per svolgere la sua attività lavorativa, ha
infatti rilevato -con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, basate
sull’esame degli atti amministrativi adottati dall’ente locale, dei contratti sottoscritti dalle due
parti e del comportamento tenuto dal sindaco Meneguzzi e dalla Bobba- che, nonostante la
modesta struttura amministrativa del comune di Sauze d’Oulx costituita da un numero
contenuto di funzionari e di impiegati, alla Bobba, già dall’agosto 2005 componente dello staff
del sindaco con contratto di lavoro a tempo determinato, nel 2009 l’incarico era stato rinnovato
dal nuovo sindaco Mauro Meneguzzi fino al 31 marzo 2014 o comunque fino alla data di
cessazione del mandato di sindaco, con la conferma dell’inquadramento nella categoria C,
posizione economica C1, profilo professionale istruttore; che tuttavia con ricorso in data 26
maggio 2011 era stata la stessa Bobba a proporre ricorso al tribunale del lavoro di Torino per
chiedere la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo
indeterminato, “sostenendo che, sebbene formalmente assunta come collaboratrice dell’ufficio
di staff (diretta collaborazione con il sindaco), in realtà non aveva mai svolto le funzioni a
questa afferenti e si era occupata pressoché esclusivamente di promozione turistica del
territorio comunale in qualità di addetta all’ufficio turistico comunale, svolgendo compiti che
rientrano tra quelli propri dei dipendenti ordinari di un comune a vocazione turistica”; che nella

ideologico e alla corretta qualificazione giuridica del fatto, poiché nella sentenza impugnata la

premessa del verbale di conciliazione sottoscritto in data 3 novembre 2011 dalla Bobba e, per
il comune di Sauze d’Oulx, dal sindaco Meneguzzi si dava atto di quanto sostenuto dalla Bobba
riconoscendo che la stessa aveva svolto compiti che rientravano in quelli propri dei dipendenti
ordinari del comune e che fin dal 4 agosto 2010 aveva presentato richiesta di espletamento del
tentativo di conciliazione su tali basi; che nel contratto di lavoro a tempo indeterminato
stipulato il 30 dicembre 2011 “si ribadiva l’inquadramento della lavoratrice nella categoria C
posizione economica C.1 profilo professionale istruttore amministrativo, l’orario di lavoro di

comunale di Sauze d’Oulx, salvo l’obbligo di prestazioni lavorative in sede diversa secondo la
disciplina prevista per l’istituto della missione ovvero altra sede sulla base dei modelli
organizzativi dei servizi comunali o di esercizio delle funzioni amministrative”.

La Corte

territoriale ha, quindi, concluso affermando che dalle stesse dichiarazioni degli imputati
contenute negli atti sopra descritti risultava che nella primavera/estate 2011, quando erano
stati accertati i fatti contestati, la Bobba svolgeva funzioni tipiche dei dipendenti comunali (era
istruttore amministrativo, addetto all’ufficio turistico comunale). Quanto alla circolare del
direttore generale del comune, i giudici di appello hanno osservato che la stessa effettivamente
riconosceva al sindaco nei confronti della dipendente Bobba i poteri del datore di lavoro (ferie,
permessi, visti sul cartellino, etc.), ma ribadiva comunque che la Bobba era tenuta a svolgere
l’orario di trentasei ore settimanali, normalmente suddivisi in cinque giornate dal lunedì al
sabato, aggiungendo che gli stessi imputati avevano ammesso che con i segretari comunali era
stato verbalmente convenuto che l’effettivo svolgimento dell’orario di lavoro dovesse essere
documentato attraverso la bollatura del badge e che l’adozione effettiva di questo sistema
(confermato dal fatto che il sindaco Meneguzzi si era preoccupato più volte di bollare il badge
della coimputata) non poteva che confermare il vincolo della Bobba ad effettuare la sua attività
lavorativa nella sede comunale. Peraltro, si aggiunge nella motivazione della sentenza
impugnata, era stato lo stesso sindaco Meneguzzi ad emanare, il 7 agosto 2009, una direttiva
relativa all’orario settimanale dell’attività lavorativa della Bobba, disponendo che l’ufficio
personale provvedesse alla verifica settimanale delle ore prestate, senza stabilire alcuna
modalità di accertamento di osservanza dell’orario diversa dalla presenza nella sede comunale
rilevata attraverso la timbratura del badge. La Corte territoriale ha anche posto in evidenza,
con argomentazioni logicamente coerenti, che era irrilevante la mancata disponibilità da parte
della Bobba di un proprio ufficio nella sede comunale in quanto, nei giorni in cui era
effettivamente presente sul luogo di lavoro, l’imputata aveva comunque svolto la sua attività in
locali idonei e inoltre, nei casi in cui non risultava aver bollato il badge, aveva “regolarmente”
presentato domanda di bollatura manuale, ammessa per il caso di dimenticanza e per
l’eventualità (non usuale) di inizio o ultimazione del lavoro altrove adeguatamente giustificati.
Tale specifica e dettagliata motivazione -in cui si è dato conto sia della sussistenza degli
artifici contestati posti in essere con il concorso di entrambi gli imputati, sia dell’ingiusto

trentasei ore settimanali, la sede di prestazione dell’attività lavorativa presso il territorio

profitto conseguito dalla Bobba, cui era stata corrisposta la retribuzione secondo i prospetti
orari mensili risultanti dal sistema di rilevazione tramite il

badge e non corrispondenti alla

realtà, sia del conseguente danno per il comune che aveva elargito retribuzioni in eccesso- i
ricorrenti non prendono nemmeno in considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta
nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza
impugnata.

La sentenza n.15983 del 2006 delle Sezioni Unite riguarda la falsa attestazione “del
pubblico dipendente” circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei
fogli di presenza. Le Sezioni Unite hanno ritenuto che tale falsa attestazione non integrasse il
delitto di falso ideologico, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico ma di
mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina
privatistica, documenti, peraltro, non contenenti manifestazioni dichiarative o di volontà
riferibili alla pubblica amministrazione.
L’imputazione di concorso in falso ideologico continuato contestato in concorso ai due
imputati (capo B) si riferisce, invece, alla sottoscrizione da parte del sindaco Meneguzzi di
quindici (poi ridotti a tredici, non essendosi ritenuta la certezza della falsità delle attestazioni
del 18 maggio e del 27 maggio 2011 in relazioni alle quali, all’esito del giudizio di appello, è
stata emessa sentenza assolutoria) “giustificativi” di orari di lavoro della Bobba non registrati
con il badge (la Bobba richiedeva l’autorizzazione al caricamento delle bollature manuali al
sindaco, che autorizzava quanto richiesto), con i quali si attestava falsamente che la mancata
timbratura del badge era stata determinata da mera dimenticanza della lavoratrice o, in altri
casi, da impegni di lavoro fuori sede. Come rilevato dalla Corte territoriale, nei motivi di
appello non si contestava la riscontrata difformità tra quanto rappresentato nei cd. giustificativi
e l’effettiva attività lavorativa svolta dalla Bobba, di cui il sindaco Meneguzzi era consapevole,
agendo tra l’altro abitualmente in maniera fraudolenta per favorire la coimputata timbrando
per suo conto il badge. Nei tredici casi per i quali è stata confermata la condanna emessa in
primo grado, come accertato dai Carabinieri tramite il GPS della sua autovettura, la Bobba
risultava infatti, negli orari per i quali veniva autorizzata dal sindaco Meneguzzi la cd. bollatura
manuale, presente in comuni diversi da Sauze d’Oulx (Bardonecchia o Oulx), intenta ad attività
sulle quali non ha dato alcuna giustificazione.
Corretta, pertanto, appare la qualificazione giuridica del fatto contestato al capo B come
falso ideologico. La Corte territoriale, che non si è sottratta alla valutazione di questo profilo
che pure non era stato oggetto dei motivi di appello, ha infatti ritenuto che i cd. giustificativi
con i quali il sindaco Meneguzzi -pubblico ufficiale, che esercitava per conto del comune i poteri
del datore di lavoro nei confronti della Bobba- autorizzava le bollature manuali sull’implicito
presupposto della veridicità delle giustificazioni della dipendente istante (dimenticanza o

1.2. Il terzo motivo è infondato.

effettuazione del lavoro fuori sede) in ordine alla mancata bollatura del

badge, fossero atti

destinati a provare la verità di tali circostanze ai soggetti che, per conto dell’ente locale,
dovevano provvedere a contabilizzare le ore di lavoro prestate- nella consapevolezza della loro
falsità. In tema di falsità ideologica, l’ambito attestativo di un atto pubblico non è infatti
circoscritto alla sua formulazione espressa, ma si estende anche ai suoi presupposti necessari
(cosiddette attestazioni implicite), tutte le volte in cui una determinata attività del pubblico
ufficiale, non menzionata nell’atto, costituisce indefettibile presupposto di fatto o condizione

contenuto o tenore implicito necessario dell’atto stesso (Cass. sez.V 12 aprile 2005 n.34333,
Aurea ed altri). Inoltre nel caso in questione i cd. giustificativi dovevano ritenersi atti pubblici
in quanto atti redatti dal pubblico ufficiale, per uno scopo inerente alle sue funzioni, attestanti
fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi attitudine ad assumere rilevanza
giuridica in quanto volti a rappresentare una falsa realtà con effetti non meramente economici,
in relazione alla retribuzione in eccedenza attribuita alla Bobba, ma anche sotto il profilo
dell’organizzazione del servizio comunale e del controllo dell’attività e della regolarità
dell’ufficio. Il richiamo alla sentenza n.15983 del 2006 delle Sezioni Unite è nel caso in esame
del tutto incoerente, perché la pronuncia richiamata riguarda le attestazioni del cartellino
marcatempo e dei fogli di presenza riconducibili al pubblico dipendente direttamente
interessato e che si esauriscono nell’ambito del rapporto di lavoro con la pubblica
amministrazione riconducibile alla disciplina privatistica, mentre i cd. giustificativi cui si
riferisce l’imputazione al capo B riguarda una manifestazione attestativa e autorizzatoria
riferibile alla pubblica amministrazione che ha un interesse eccedente l’area del mero rapporto
di impiego tra ente pubblico e dipendente.
2.

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al

pagamento delle spese processuali.

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rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al paga ento delle spese processuali.
Roma 3 giugno 2015

il cons. est.
(1/11/1■-.1— ‘” -P`•

normativa della attestazione, poiché in tal caso occorre legalmente fare riferimento al

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