Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36412 del 17/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36412 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AMICO COSTANTINO N. IL 15/02/1959
avverso l’ordinanza n. 110/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
27/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
entite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 17/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27 gennaio 2015, il Tribunale, sezione del riesame, di
Roma ha confermato l’ordinanza del 29 dicembre 2014, con la quale il Gip presso

il Tribunale capitolino ha applicato a D’Amico Costantino la misura degli arresti
domiciliari per il reato di cui agli artt. 110, 319 e 321 cod. pen. (sub capo 16),
perché, quale titolare di una falegnameria, consegnava somme di denaro a
Fioravanti Marcello, ispettore dello SPRESAL (servizio prevenzione e sicurezza

non rilevare la violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro in occasione di un
incidente verificatosi ad un dipendente, così impedendo che fossero applicate nei
suoi confronti sanzioni per l’inosservanza delle norme sulla sicurezza sul lavoro.
Il Collegio della cautela ha rilevato come l’ipotesi accusatoria si fondi sulle
intercettazioni delle conversazioni intercorse tra il 15 ed il 27 gennaio 2014 tra
Ceccarelli e l’ispettore Fioravanti nonché fra Fioravanti e D’Amico (riportate nelle
pagine da 159 a 163 dell’ordinanza coercitiva), da cui emerge la dazione di una
busta contenente una somma di denaro, circostanza confermata anche dallo
stesso Fioravanti, il quale, negli interrogatori del 13 e 20 gennaio 2015,
ammetteva di avere ricevuto dal D’Amico una “bustarella” da 3000 euro e di
avergli dato dei consigli al fine di risolvere la situazione.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il rischio di reiterazione criminosa
nonostante l’incensuratezza ed ha stimato adeguata e proporzionata a farvi
fronte la misura degli arresti domiciliari applicata dal primo giudice.
2. Avverso l’ordinanza hanno presentato ricorso ex art. 311 cod. proc. pen.
l’Avv. Sebastiano Briganti e l’Avv. Marcello Greco, difensori di fiducia di D’Amico
Costantino, e ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione ai gravi indizi di
colpevolezza laddove i colloqui intercettati non sono chiari e le dichiarazioni del
Fioravanti non sono sorrette da riscontri estrinseci individualizzanti;
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle esigenze
cautelari ed alla scelta della misura, avendo il Tribunale trascurato di considerare
lo stato di incensuratezza dell’assistito, la circostanza che l’infortunio veniva
tempestivamente denunciato all’Inail il giorno successivo con attivazione di tutte
le procedure di rito ed il fatto che D’Amico abbia fornito ampia spiegazione in
merito alle evidenze a carico; in ogni caso, la misura applicata si appalesa
eccessivamente gravosa.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile, mentre la difesa del D’Amico ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.

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ambienti di lavoro) dell’ASL di Roma, quale compenso illecito per agevolarlo nel

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2.

Sotto un primo profilo, va notato come le doglianze ruotanti intorno alla

dedotta insussistenza del requisito di gravità indiziaria, oltre a riprodurre nella
sostanza le medesime argomentazioni già esposte dinanzi al Tribunale capitolino,
e da questo ampiamente vagliate e correttamente disattese, si pongano in
confronto diretto con il materiale raccolto nel corso delle indagini e posto a base
del titolo coercitivo e finiscono per prospettare una ricostruzione alternativa dei

Corte, rende inammissibile il ricorso per cassazione in quanto non fondato sulla
denuncia di nessuno dei vizi logici tassativamente previsti dall’art. 606, comma
primo, lett. E), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione del giudice di merito
in ordine alla ricostruzione del fatto (Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013,
P.C., Basile e altri, Rv. 258153; Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella,
Rv. 226074).
3. D’altra parte, nessun vizio logico giuridico è ictu °cui/ ravvisabile nella
motivazione del provvedimento in verifica.
3.1. Giova rammentare come, ai fini della configurabilità dei gravi indizi di
colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, il Giudice
della cautela non possa procedere ad una valutazione frazionata e atomistica
della pluralità di elementi indiziari acquisiti, ma sia tenuto a verificare se i vari
dati probatori, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune,
assumano la valenza richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen., atteso che essi, in
considerazione della loro natura, sono idonei a dimostrare il fatto se coordinati
organicamente (Cass. Sez. 2, n. 9269 del 05/12/2012, Della Costa, Rv. 254871;
Sez. 1, n. 16548 del 14/03/2010, P.M. in proc. Bellocco Rv. 246935).
3.2. A tale canone di giudizio si è attenuto il Collegio della cautela nel
ritenere integrato il requisito di gravità indiziaria previsto dall’art. 273 cod. proc.
pen., laddove ha esplicitato gli elementi presi a base di tale delibazione ed ha

fatti emergenti dalle indagini, il che, secondo il costante orientamento di questa

operato una valutazione globale e logicamente coordinata degli elementi emersi
delle investigazioni – id est le risultanze delle intercettazioni e dei contributi di
natura dichiarativa -, dando contezza del percorso inferenziale seguito per
giungere alle conclusioni precipitate nel provvedimento, con esaustiva e congrua
motivazione (v. pagine 2 e seguenti del provvedimento in verifica).
3.3. Deve, d’altronde, ribadirsi come, secondo i consolidati principi espressi
da questa Corte regolatrice, gli indizi raccolti nel corso di conversazioni
telefoniche intercettate possano certamente costituire fonte diretta di prova,
senza necessità di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi
e concordanti e cioè allorchè il contenuto della conversazione sia chiaro e non vi
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sia motivo per ritenere che gli interlocutori parlino non seriamente degli affari
illeciti trattati o che un interlocutore riferisca il falso all’altro (Cass. Sez. 1, n.
40006 del 11/04/2013, Vetro, Rv. 257398; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014,
Amaniera ed altri Rv. 260842).
Correttamente il Giudice della impugnazione cautelare ha dunque utilizzato
gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni quale fonte diretta di
prova, esplicitando i criteri valutativi osservati per trarre dalle conversazioni
monitorate dati conoscitivi utili ai fini del giudizio di gravità indiziaria e dando

dichiarazioni rese proprio dalla “controparte”,

id est il soggetto – in ipotesi

d’accusa – corrotto.
4. Altrettanto incensurabili sono le argomentazioni svolte nel provvedimento
impugnato a sostegno della ritenuta sussistenza di esigenze cautelari connesse
al pericolo di reiterazione criminosa, in quanto perfettamente aderenti alle
risultanze degli atti d’indagine e conformi a logica e diritto.
4.1.

Risponde invero ad una condivisibile massime d’esperienza che

l’estrema naturalezza dimostrata nel fare ricorso alla corruzione quale modalità
di risoluzione delle problematiche insorte nell’attività d’impresa (nella specie, un
grave incidente sul lavoro di un dipendente) e la spregiudicatezza di chi non
teme conseguenze dal proprio agire, quali emergono dalle conversazioni captate,
possano ritenersi costituire dati sintomatici di una proclività a delinquere,
suscettibile di fondare un concreto ed attuale rischio di recidivanza.
4.2. Né, come correttamente argomentato dai decidenti della cautela, il su
delineato periculum potrebbe ritenersi eliso dalla evidenziata condizione di
incensuratezza del D’Amico.
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, lo stato di incensuratezza del
prevenuto non è dotato, di per sè, di efficacia dimostrativa di un’attenuazione
delle esigenze cautelari ed in particolare di quella relativa al pericolo di
commissione di ulteriori reati indicata nella lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen.,
sicché essi possono acquistare valenza solo se accompagnati dalla valutazione
critica di altri elementi certamente sintomatici di un mutamento della
complessiva situazione inerente ai presupposti della cautela (Cass. Sez. 2, n.
6464 del 20/11/1997, PM in proc. Scuotto, Rv. 209148).
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle
spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo
determinare in 1.000,00 euro.

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altresì atto degli elementi di riscontro esterno, pur non necessari, costituiti dalle

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
Ammende.

Il consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il 17 giugno 2015

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