Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36411 del 17/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36411 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRILLO GIOVANNI N. IL 23/09/1950
avverso l’ordinanza n. 109/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
27/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
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Data Udienza: 17/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27 gennaio 2015, il Tribunale, sezione del riesame, di
Roma ha confermato l’ordinanza del 29 dicembre 2014, con la quale il Gip presso
il Tribunale capitolino ha applicato a Grillo Giovanni la misura della custodia in
carcere in ordine ai reati di corruzione di cui ai capi 4) e 5) e di rivelazione di
segreto di cui al capo 6). Il Collegio ha evidenziato come i gravi indizi di
colpevolezza a carico di Grillo in ordine al reato sub capo 4), si fondino sul

l’indagato, geometra presso la U.O.TT del XIV Municipio del Comune di Roma, ed
Ercolani Rodolfo, legale rappresentante di una società edile, finalizzati a coprire
l’esistenza di abusi edilizi, accordi remunerati mediante la consegna di un
portoncino presso l’abitazione del Grillo. Con riferimento al reato di cui al capo
5), il Tribunale ha valorizzato il contenuto delle conversazioni intercettate tra
Biagini e Grillo nonché tra Biagini e Sicari, dalle quali emergono riferimenti a
dazioni di denaro, seppure indicate con termini convenzionali. Il Giudice a quo
della cautela ha quindi posto in luce come, a tali emergenze, si aggiungano le
dichiarazioni rese da Biagini Roberto in merito alle richieste di versare somme di
denaro avanzate dal Grillo. In ultimo, con riferimento alla contestazione
provvisoria di cui al capo 6), il Tribunale ha rilevato come la rivelazione di notizie
d’ufficio in relazione a procedimenti di natura penale in corso sia comprovata dal
lineare contenuto delle intercettazioni. Il Collegio ha quindi osservato che le
deduzioni difensive mosse nel ricorso per riesame non sono idonee a confutare
il quadro indiziario e, sul fronte delle esigenze cautelari, ha stimato sussistenti a
carico dell’indagato pubblico ufficiale sia il pericolo di reiterazione criminosa,
tenuto conto della ripetizione nel tempo di condotte di favoreggiamento in
relazione a diverse pratiche amministrative dietro consistenti rennunerazioni da
parte di imprenditori; sia il pericolo di inquinamento probatorio, avendo Grillo
dimostrato una notevole capacità di intromettersi in numerose pratiche
amministrative e di essere capace di condotte contrastanti con le finalità di
accertamento dei reati, capacità sfruttabili anche per inquinare le prove; infine,
ha ritenuto salvaguardabili dette esigenze cautelari con la sola misura di maggior
rigore.
2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso ex art. 311 cod. proc. pen.

l’Avv. Stefano Parretta, difensore di fiducia di Grillo Giovanni, e ne ha chiesto
l’annullamento per i seguenti motivi.
2.1. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità del provvedimento,

per avere il Tribunale riprodotto pedissequamente – con una motivazione solo
apparente – l’ordinanza applicativa della misura cautelare, senza prendere in

2

contenuto di numerose intercettazioni da cui emergono gli accordi illeciti fra

esame le specifiche doglianze proposte col ricorso per riesame. In particolare,

il

ricorrente evidenzia come il Collegio abbia omesso di delibare, quanto al capo 4),
la circostanza che il portoncino non avesse nessun reale valore economico e che
sarebbe stato rottamato dalla ditta; quanto al capo 5), il fatto che la pratica
relativa al cantiere di via Bagnasco non fosse mai stata affidata al Grillo sicché
egli non avrebbe mai potuto influire in essa; con riferimento al capo 6), la
circostanza che il preavviso del sopralluogo costituiva una prassi normale,
essendo spesso necessario assicurarsi la presenza del capo cantiere, del direttore

2.2. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in

relazione all’art. 273 cod. proc. pen., per avere il Tribunale ignorato la costante
giurisprudenza di legittimità nel senso della necessità della prova del pactum
sceleris tra preteso atto contrario ai doveri d’ufficio e asserita dazione di denaro

o altra utilità.
2.3. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in

relazione all’art. 274 cod. proc. pen., per avere il Tribunale reso una motivazione
solo apparente in ordine alle esigenze cautelari ed alla misura più adeguata a
farvi fronte, trascurando la condizione di incensuratezza dell’imputato.

4. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato e
il difensore di Grillo Giovanni ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2.

Sotto un primo profilo, va notato come le doglianze ruotanti intorno alla

dedotta insussistenza del requisito di gravità indiziaria, oltre a riprodurre nella
sostanza le medesime argomentazioni già esposte dinanzi al Tribunale capitolino,
e da questo ampiamente vagliate e correttamente disattese, si pongano in
confronto diretto con il materiale raccolto nel corso delle indagini e posto a base
del titolo coercitivo e finiscono per prospettare una ricostruzione alternativa dei
fatti emergenti dalle indagini, il che, secondo il costante orientamento di questa
Corte, rende inammissibile il ricorso per cassazione in quanto non fondato sulla
denuncia di nessuno dei vizi logici tassativamente previsti dall’art. 606, comma
primo, lett. E), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione del giudice di merito
in ordine alla ricostruzione del fatto (Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013,
P.C., Basile e altri, Rv. 258153; Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella,
Rv. 226074).
3. D’altra parte, nessun vizio logico giuridico è ictu oculi ravvisabile nella

motivazione del provvedimento in verifica.

dei lavori e della proprietà per accedervi.

3.1. Giova rammentare come, ai fini della configurabilità dei gravi indizi di
colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, il Giudice
della cautela non possa procedere ad una valutazione frazionata e atomistica
della pluralità di elementi indiziari acquisiti, ma sia tenuto a verificare se i vari
dati probatori, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune,
assumano la valenza richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen., atteso che essi, in
considerazione della loro natura, sono idonei a dimostrare il fatto se coordinati
organicamente (Cass. Sez. 2, n. 9269 del 05/12/2012, Della Costa, Rv. 254871;

3.2. A tale canone di giudizio si è attenuto il Collegio della cautela nel
ritenere integrato il requisito di gravità indiziarla previsto dall’art. 273 cod. proc.
pen., laddove ha esplicitato gli elementi presi a base di tale delibazione ed ha
operato una valutazione globale e logicamente coordinata degli elementi emersi
delle investigazioni – id est le risultanze delle intercettazioni e del contributo di
natura dichiarativa proveniente dall’imprenditore “controparte”,

id est

il

corruttore, quanto all’episodio sub capo 5) -, dando contezza del percorso
inferenziale seguito per giungere alle conclusioni precipitate nel provvedimento,
con esaustiva e congrua motivazione.
3.3. Deve, d’altronde, ribadirsi come, secondo i consolidati principi espressi
da questa Corte regolatrice, gli indizi raccolti nel corso di conversazioni
telefoniche intercettate possano certamente costituire fonte diretta di prova,
senza necessità di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi
e concordanti e cioè allorchè il contenuto della conversazione sia chiaro e non vi
sia motivo per ritenere che gli interlocutori parlino non seriamente degli affari
illeciti trattati o che un interlocutore riferisca il falso all’altro (Cass. Sez. 1, n.
40006 del 11/04/2013, Vetro, Rv. 257398; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014,
Amaniera ed altri Rv. 260842).
Correttamente il Giudice della impugnazione cautelare ha dunque utilizzato
gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni quale fonte diretta di
prova, esplicitando i criteri valutativi osservati per trarre dalle conversazioni
monitorate dati conoscitivi utili ai fini del giudizio di gravità indiziaria e dando
altresì atto dei, pur non necessari, elementi di riscontro esterno, costituiti dalle
dichiarazioni rese proprio dalla “controparte”,

id est il soggetto – in ipotesi

d’accusa – il corruttore.
4. Altrettanto incensurabili sono le argomentazioni del provvedimento svolte
a sostegno della ritenuta sussistenza di esigenze cautelari connesse sia al
pericolo di inquinamento probatorio, sia al pericolo di reiterazione criminosa, in
quanto perfettamente aderenti alle risultanze degli atti d’indagine e conformi a
logica e diritto.
4

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Sez. 1, n. 16548 del 14/03/2010, P.M. in proc. Bellocco Rv. 246935).

4.1. Risponde invero ad una condivisibile massima d’esperienza che la
reiterazione di due episodi di corruzione in un arco temporale circoscritto e la
ripetuta violazione del segreto d’ufficio per avvisare diversi imprenditori in merito
ai controlli ispettivi che i Vigili avrebbero effettuato e sulle richieste di
autorizzazione d’indagini richieste dagli inquirenti, rendendosi stabilmente
disponibile a tradire le delicate funzioni pubbliche ricoperte in favore di interessi
privati, siano indicative della sistematicità delle condotte delittuose e della
concretezza ed attualità del rischio di recidivanza nonchè, nel contempo, del

4.2. Né, come correttamente argomentato dai decidenti della cautela, il su
delineato periculum potrebbe ritenersi eliso dalla evidenziata condizione di
incensuratezza del Grillo.
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, lo stato di incensuratezza del
prevenuto non è dotato, di per sè, di efficacia dimostrativa di un’attenuazione
delle esigenze cautelari ed in particolare di quella relativa al pericolo di
commissione di ulteriori reati indicata nella lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen.,
sicché essi possono acquistare valenza solo se accompagnati dalla valutazione
critica di altri elementi certamente sintomatici di un mutamento della
complessiva situazione inerente ai presupposti della cautela (Cass. Sez. 2, n.
6464 del 20/11/1997, PM in proc. Scuotto, Rv. 209148).
5. Dalla declaratoria dì inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle
spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo
determinare in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 17 giugno 2015

concreto rischio di pregiudizio delle prove acquisende.

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