Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36410 del 17/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36410 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEL BROCCO RITA N. IL 08/05/1951
avverso l’ordinanza n. 398/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
18/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 17/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 18 febbraio 2015, il Tribunale, sezione del riesame, di
Roma ha confermato l’ordinanza del 27 gennaio 2015, con quale il Gip presso il
Tribunale capitolino ha applicato a Del Brocco Rita la misura degli arresti
domiciliari, per i reati di cui agli artt. 110, 319 e 321 cod. pen. (sub capi 6, 7,
14, 15 e 16), commessi quale ispettore dello SPRESAL (servizio prevenzione e
sicurezza ambienti di lavoro) dell’ASL di Roma ed, in particolare, per aver
ricevuto delle somme di denaro per mettersi a disposizione di diversi

Il Tribunale ha rilevato come l’ipotesi accusatoria si fondi sulle copiose ed
inequivocabili intercettazioni riportate nell’ordinanza applicativa della misura
(nelle pagine da 28 a 33) ed abbia trovato conferma nelle dichiarazioni rese in
sede di interrogatorio dai coindagati Losani, Fontana, Biagini e Sicari. Il Collegio
ha quindi evidenziato come la memoria difensiva e le dichiarazioni rese
nell’interrogatorio di garanzia dell’indagata non consentano di superare le
risultanze obbiettive poste a fondamento dell’ordinanza, laddove la linea
difensiva si incentra su aspetti non oggetto di contestazione (il fatto di avere
strappato i verbali) o comunque riferiti anche dagli imprenditori (i quali hanno
esposto che, in taluni casi, i verbali erano stati redatti, anche se per una somma
inferiore), e dunque si sofferma su alcuni particolari e tralascia la necessaria
visione d’insieme delle acquisizioni investigative e delle condotte in concreto
contestate. Sul piano cautelare, il Collegio ha ritenuto sussistente il rischio di
reiterazione criminosa, nonostante l’incensuratezza dell’indagata, ed ha stimato
adeguata e proporzionata a farvi fronte la misura degli arresti domiciliari
applicata dal primo giudice.
2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso ex art. 311 cod. proc. pen.
l’Avv. Simone Faiella, difensore di fiducia di Del Brocco Rita, e ne ha chiesto
l’annullamento per violazione di legge penale e processuale e vizio di
motivazione in merito al giudizio di gravità indiziaria. Il ricorrente evidenzia
come l’ipotesi accusatoria si fondi su intercettazioni non riguardanti direttamente
l’assistita e sulle dichiarazioni dei coindagati Losani e Fontana, insuscettibili di
sostanziare il requisito di cui all’art. 273 cod. proc. pen. in quanto prive di
riscontri oggettivi. Sotto diverso aspetto, il ricorrente rileva l’insussistenza di un
concreto rischio di reiterazione criminosa, essendo stato adottato nei confronti
della De Brocco il provvedimento di sospensione dal lavoro ed essendo l’assistita
prossima al pensionamento; infine eccepisce la violazione dell’art. 292 lett. d)
cod. proc. pen., per omessa precisazione del termine di durata della misura
cautelare.

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imprenditori e compiere atti contrari ai doveri d’uffici dietro compenso illecito.

3. Nella memoria depositata in Cancelleria, l’Avv. Simone Faiella, difensore
di fiducia di Del Brocco Rita, ha ribadito: a) la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in relazione al giudizio di gravità indiziaria, evidenziando: che gli
elementi di prova non riguardano direttamente l’assistita ma sono de relato; che
le dichiarazioni rese da Fontana e Losani sono inattendibili; che il Tribunale non
ha tenuto conto del fatto che le intercettazioni fra Biagini e Sicari nelle quali
viene fatto riferimento alla Del Brocco risalgono al luglio 2014, mentre Fontana
ha dichiarato al P.M. di avere conosciuto l’indagata non prima del Natale 2014.

incensurata e che risulta violato l’art. 292 lett. d) cod. proc. pen.
4. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato,
mentre la difesa di Del Brocco Rita ha insistito per l’accoglimento dei motivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2.

Manifestamente infondati sono i motivi con i quali la ricorrente contesta

l’integrazione dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai fatti oggetto di
contestazione provvisoria.
2.1. Sotto un primo profilo, va notato come le doglianze ruotanti intorno alla
dedotta insussistenza del requisito di gravità indiziaria, oltre a riprodurre nella
sostanza le medesime argomentazioni già esposte dinanzi al Tribunale capitolino,
e da questo ampiamente vagliate e correttamente disattese, si pongano in
confronto diretto con il materiale raccolto nel corso delle indagini e posto a base
del titolo coercitivo e finiscono per prospettare una ricostruzione alternativa dei
fatti emergenti dalle indagini, il che, secondo il costante orientamento di questa
Corte, rende inammissibile il ricorso per cassazione in quanto non fondato sulla
denuncia di nessuno dei vizi logici tassativamente previsti dall’art. 606, comma
primo, lett. E), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione del giudice di merito
in ordine alla ricostruzione del fatto (Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013,
P.C., Basile e altri, Rv. 258153; Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella,
Rv. 226074).
2.2. D’altra parte, nessun vizio logico giuridico è ictu ocull ravvisabile nella
motivazione del provvedimento in verifica.
Giova rammentare come, ai fini della configurabilità dei gravi indizi di
colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, il Giudice
della cautela non possa procedere ad una valutazione frazionata e atomistica
della pluralità di elementi indiziari acquisiti, ma sia tenuto a verificare se i vari
dati probatori, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune,

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Quanto alle esigenze cautelari, il patrono ha insistito che si tratta di persona

assumano la valenza richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen., atteso che essi, in
considerazione della loro natura, sono idonei a dimostrare il fatto se coordinati
organicamente (Cass. Sez. 2, n. 9269 del 05/12/2012, Della Costa, Rv. 254871;
Sez. 1, n. 16548 del 14/03/2010, P.M. in proc. Bellocco Rv. 246935).
2.3. A tale canone di giudizio si è attenuto il Collegio della cautela nel
ritenere integrato il requisito di gravità indiziaria previsto dall’art. 273 cod. proc.
pen., laddove ha esplicitato gli elementi presi a base di tale delibazione ed ha
operato una valutazione globale e logicamente coordinata degli elementi emersi

natura dichiarativa -, dando contezza del percorso inferenziale seguito per
giungere alle conclusioni precipitate nel provvedimento, con esaustiva e congrua
motivazione (v. pagine 2 e seguenti del provvedimento in verifica).
2.3. Deve, d’altronde, ribadirsi come, secondo i consolidati principi espressi
da questa Corte regolatrice, gli indizi raccolti nel corso di conversazioni
telefoniche intercettate possano certamente costituire fonte diretta di prova,
senza necessità di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi
e concordanti e cioè allorchè il contenuto della conversazione sia chiaro e non vi
sia motivo per ritenere che gli interlocutori parlino non seriamente degli affari
illeciti trattati o che un interlocutore riferisca il falso all’altro (Cass. Sez. 1, n.
40006 del 11/04/2013, Vetro, Rv. 257398; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014,
Amaniera ed altri Rv. 260842).
Correttamente il Giudice della impugnazione cautelare ha dunque utilizzato
gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni quale fonte diretta di
prova, esplicitando i criteri valutativi osservati per trarre dalle conversazioni
monitorate dati conoscitivi utili ai fini del giudizio di gravità indiziaria e dando
altresì atto dei – pur non necessari – elementi di riscontro esterno.
3. Altrettanto incensurabili sono le argomentazioni svolte nel provvedimento
in disamina a sostegno della ritenuta sussistenza di esigenze cautelari connesse
al pericolo di reiterazione criminosa, in quanto perfettamente aderenti alle
risultanze degli atti d’indagine e conformi a logica e diritto.
3.1. Risponde invero ad una condivisibile massima d’esperienza che la
reiterazione di plurimi episodi di corruzione in un arco temporale circoscritto,
rendendosi stabilmente disponibile a tradire le delicate funzioni pubbliche
ricoperte in favore di interessi privati, sia indicativa di una sistematicità delle
condotte delittuose, tale da configurare una vera e propria prassi, e di una
proclività a delinquere, suscettibili di fondare un concreto ed attuale rischio di
recidivanza.
3.2. Né, come correttamente argomentato dai decidenti della cautela, il su
delineato periculum

potrebbe ritenersi eliso dalla evidenziata condizione di
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delle investigazioni – id est le risultanze delle intercettazioni e dei contributi di

incensuratezza della Del Brocco eriptcatctinvdalla intervenuta sospensione
dell’indagata dall’incarico.
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, lo stato di incensuratezza del
prevenuto non è dotato, di per sé, di efficacia dimostrativa di un’attenuazione
delle esigenze cautelari ed in particolare di quella relativa al pericolo di
commissione di ulteriori reati indicata nella lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen.,
sicché essi possono acquistare valenza solo se accompagnati dalla valutazione
critica di altri elementi certamente sintomatici di un mutamento della

6464 del 20/11/1997, PM in proc. Scuotto, Rv. 209148).
3.3. Alla stessa stregua, le esigenze cautelari di natura special preventiva
non possono ritenersi vanificate dal fatto che, dopo l’esecuzione del
provvedimento coercitivo genetico, sia stata disposta la sospensione della Del
Brocco dal servizio, trattandosi di atto sempre revocabile da parte della P.A. e
dunque insuscettibile di stabilizzare l’allontanamento dell’indagata dall’ambiente
in cui maturava l’illecito agire e di impedire la ripresa delle condotte delittuose.
3.4. Allo stesso modo, la mera prossimità della ricorrente alla pensione non è
di per sé tale da eliminare – almeno

rebus sic stantíbus

il rischio di

rinnovazione delle condotte criminose.
3.5. E ciò a tacer del fatto che, come questa Corte regolatrice ha avuto modo
di affermare, nei reati contro la P.A., il giudizio di prognosi sfavorevole sulla
pericolosità sociale dell’incolpato non è di per sé impedito dalla circostanza che
l’indagato abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale
aveva realizzato la condotta addebitata, e ciò a condizione che il giudice fornisca

adeguata e logica motivazione sulle circostanze di fatto che rendono probabile
che l’agente, pur in una diversa posizione soggettiva, possa continuare a porre in
essere condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa
categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso (Cass. Sez. 6, n.
9117 del 16/12/2011 Tedesco, Rv. 252389).
4. Totalmente fuori bersaglio è l’ultima eccezione.
Ed invero, giusta l’inequivoco dato testuale dell’art. 292, comma 2 lett. d)
cod. proc. pen., la fissazione della durata di una misura cautelare personale
disposta al fine di garantire l’acquisizione o la genuinità della prova è necessaria
solo quando la misura sia applicata per tutelare la suddetta esigenza, ma non
occorre se la misura sia disposta anche a tutela delle altre esigenze cautelari
indicate nell’art. 274 cod. proc. pen. (ex plurimis Cass. Sez. 6, n. 41632 del

17/07/2013, Montagna, Rv. 257802).
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento

complessiva situazione inerente ai presupposti della cautela (Cass. Sez. 2, n.

delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene
congruo determinare in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle

Così deciso in Roma il 17 giugno 2015

Ammende.

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