Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36403 del 17/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36403 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALABRESE GIOVANNI N. IL 05/07/1949
avverso la sentenza n. 1457/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
24/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ci:~
che ha concluso per

Udito, per la parte civil
Uditi difenso vv.

Data Udienza: 17/06/2015

FATTO E DIRITTO
1. Con provvedimento del 24 giugno 2013, la Corte d’appello di Catania ha
confermato la sentenza del 1 dicembre 2011, con la quale il Tribunale di Modica
ha condannato Calabrese Giovann’
4> in relazione al reato di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni con violenza e cose (capo B), ritenuto in esso assorbito il
reato di danneggiamentO (capo A). A fondamento del

decísum, il Giudice di

99,

secondo grado ha rilevato che le dichiarazioni della persona offesa risultano
circostanziate, logiche e suffragate dai contenuti delle dichiarazioni del teste

in imputazione.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. Luigi Caruso, difensore
di fiducia di Calabrese Giovanni, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti
motivi:
2.1. vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., per avere
la Corte d’appello omesso di prendere in esame le specifiche deduzioni mosse
nell’atto d’appello in punto di valutazione dell’attendibilità della persona offesa;
2.2. violazione di legge penale in relazione agli artt. 42 e 392 cod. pen., per
avere la Corte ritenuto integrato il dolo del reato, sebbene l’imputato abbia agito
non per esercitare un preteso diritto, ma per dare esecuzione ad un accordo
concluso con Cassisi.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.
4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5. Quanto al primo motivo di doglianza, in linea generale, deve essere
ribadito il principio più volte espresso da questa Corte secondo cui, ai fini del
controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della
sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico
complessivo corpo argornentativo, allorquando i giudici del gravame,
esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del
primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della
prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di
prova posti a fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, n. 44418 del
16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Siffatta integrazione tra le due motivazioni
si verifica non solo allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le
censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo
giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico – giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi
di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a

2

919-i

Burraffato e che le modalità dei fatti confermano la sussistenza del dolo del reato

prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di
primo grado (da ultimo, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615).
6.

In ogni caso, la Corte territoriale non si è limitata a richiamare le

considerazioni già svolte dal primo Giudice, ma ha risposto a tutti i rilievi mossi
con l’atto d’appello, con una motivazione adeguata, aderente alle circostanze
dell’istruttoria dibattimentale e conforme a logica, e dunque insindacabile in
questa Sede di legittimità.
7. D’altra parte, le doglianze mosse nel ricorso, oltre a riprodurre nella

dagli stessi correttamente disattese, anziché denunciare vizi riconducibili al
disposto dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., sono volte a sollecitare
una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali e dunque una
valutazione alternativa delle fonti di prova, laddove ripercorrono le dichiarazioni
della persona offesa e del teste (producendo copia delle trascrizioni dei verbali
dello loro dichiarazioni) e assumono di trarre da tale disamina conclusioni diverse
da quelle cui – con motivazione che, si ribadisce, essere non manifestamente
incongrua – sono pervenuti i decidenti.
Il ricorso sollecita dunque uno scrutinio improponibile in questa Sede, a
fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la
scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione, dovendosi la
Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice
di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu ()cui/
percepibili, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle
acquisizioni processuali (ex plurimis Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003,
Petrella, Rv. 226074).
8.

Le considerazioni svolte dai Giudici della cognizione in punto di

valutazione delle dichiarazioni della persona offesa sono del resto perfettamente
conformi al principio affermato da questa Corte anche a composizione allargata,
alla stregua del quale le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc.
pen, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono
essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione,
della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo
racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto
a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Cass.
Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
I giudicanti di merito hanno invero dato atto della credibilità intrinseca delle
dichiarazioni della persona offesa Cassisi Luigi e del, pur necessario, riscontro
esterno costituito dalle dichiarazioni rese dal teste Burrafato Giuseppe.

3

2191

C:91/4-r–

sostanza le medesime argomentazioni già esposte dinanzi ai Giudici di merito, e

9. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento
delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene
congruo determinare in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

Ammende.

Così deciso in Roma il 17 giugno 2015

spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle

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