Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3640 del 08/01/2014
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3640 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: RAMACCI LUCA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RIZZI CHRISTIAN N. IL 26/03/1970
avverso la sentenza n. 326/2012 CORTE APPELLO di TRENTO, del
20/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott./t) . (Itrtm—*
che ha concluso per
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Udit i difensor Avv. 5"-k tk Data Udienza: 08/01/2014 RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Trento, con sentenza del 20.2.2013 ha parzialmente
riformato, rideterminando la pena, la decisione con la quale, in data 9.2.2012, il
Tribunale di Rovereto aveva ritenuto Christian RIZZI, che assolveva da altre
imputazioni concernenti violazioni del d.lgs. 74\2000, responsabile del reato di della «Rizzi Aggregati s.n.c.», con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso forniva dolosamente a due istituti bancari dati falsi sulla situazione
economica, patrimoniale e finanziaria della società amministrata presentando,
per l'anticipazione bancaria, 7 fatture, emesse dalla società suddetta, non
veritiere.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di
motivazione, rilevando che la decisione sarebbe fondata su una parziale lettura
delle risultanze probatorie, non considerando che, secondo una prassi
consolidata ed accettata dagli istituti di credito con i quali intratteneva rapporti,
egli anticipava semplici «bozze» delle fatture che avrebbe poi successivamente
emesso ed inserito in contabilità, dovendosi pertanto escludere la indicazione di
dati falsi.
Aggiunge che l'elemento oggettivo del reato contestato sarebbe
configurabile solo nel caso in cui l'indicazione di dati non veritieri riguardi il
complessivo stato economico\patrimoniale dell'azienda e non anche modeste
richieste di credito basate su anticipi di fatture.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso è inammissibile.
Occorre preliminarmente rilevare che le doglianze in esso contenute sono
quasi esclusivamente articolate in fatto, con richiami ad atti del procedimento ai
quali questa Corte non ha accesso.
Rileva in ogni caso il Collegio che la sentenza impugnata risulta
giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata. 1 cui all'art. 137, comma 1-bis d.lgs. 385\1993 perché, quale legale rappresentante 4. L'art. 137, comma 1-bis d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, inserito dall'articolo 33 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 e successivamente
modificato dall'articolo 8, comma 4, lettera b), del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141,
stabilisce, nella prima parte, che, salvo che il fatto costituisca reato più grave,
chi, al fine di ottenere concessioni di credito per sé o per le aziende che
amministra, o di mutare le condizioni alle quali il credito venne prima concesso,
fornisce dolosamente ad una banca notizie o dati falsi sulla costituzione o sulla interessate alla concessione del credito, è punito con la reclusione e con la multa.
La disposizione sanziona, pertanto, la violazione dell'obbligo giuridico di
fornire informazioni veritiere all'istituto bancario indipendentemente dalla
effettiva concessione del credito, evenienza al verificarsi della quale potrebbero
configurarsi altri reati, come, ad esempio, la truffa, assicurando così una tutela
anticipata della correttezza e lealtà nei rapporti intercorrenti tra agente ed
istituto bancario, soggetto, quest'ultimo, verso il quale è stata evidentemente
rivolta una particolare attenzione da parte del legislatore.
Risulta pertanto corretta la natura di reato di pericolo attribuita alla
violazione in esame dalla Corte territoriale.
Irrilevante, risulta, conseguentemente, l'assenza di un concreto pregiudizio
per la banca. 5. Altrettanto correttamente i giudici del gravame hanno ritenuto infondata
la ulteriore deduzione difensiva concernente la necessità, ai fini della
configurazione del reato, che il mendacio debba riguardare la complessiva
situazione patrimoniale aziendale, risultando, conseguentemente, irrilevanti
condotte quali quella posta in essere dall'imputato e concernente lo sconto di
alcune fatture emesse per attività non ancora espletate.
Invero, come giustamente osservato nella sentenza impugnata, la norma
non opera alcuna distinzione in tal senso e la presentazione per lo sconto di
fatture solo apparenti e non ancora ufficialmente emesse evidenzia, falsamente,
la esistenza di crediti in favore della società che in effetti non risultano ancora
maturati e, ciò nonostante, vengono indicati come risorsa economica utile.
In effetti, deve rilevarsi che l'espressione «situazione economica,
patrimoniale e finanziaria» utilizzata dal legislatore ha una portata estremamente
ampia, che consente di ricomprendervi ogni dato significativo sulle condizioni
patrimoniali di colui che richiede concessioni di credito, ivi comprese le
informazioni sul volume di affari o la liquidità disponibile. 2 situazione economica, patrimoniale o finanziaria delle aziende comunque 6. La sentenza impugnata risulta, pertanto, immune da censure ed il motivo
di ricorso esaminato manifestamente infondato.
Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in data 8.1.2014 Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00