Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3639 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3639 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PETRILLI DOMENICA N. IL 21/11/1948
avverso la sentenza n. 2216/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 01/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
rukyke)

q,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 11/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza 1.10.2012 – ha confermato quella
del Tribunale di Teramo che aveva riconosciuto Petrilli Domenica colpevole del reato di
cui all’art. 10 ter D. L.vo n. 74/2000 (omesso versamento di IVA per l’anno di imposta
2005 per un ammontare complessivo di C. 106.159,00) rilevando – per quanto ancora
interessa – che l’imputata, di momento in cui era entrata in vigore la disposizione,
aveva avuto il tempo sufficiente per organizzare le sue risorse e che in ogni caso

2. Il difensore ricorre per cassazione censurando il giudizio di responsabilità
sotto il profilo della violazione di legge (art. 10 ter del D. L.vo n. 74/2000 e 27 cost.) e
della mancanza e/o contraddittorietà della motivazione in ordine alla sostenuta
congruità del termine di sei mesi per effettuare il versamento dovuto e alle
riconosciute difficoltà economiche dell’impresa.
Critica, in particolare, il ragionamento della Corte d’Appello laddove la
rimproverabilità della condotta è stata posta in relazione proprio al mancato
accantonamento della somma quando ciò doveva essere fatto senza considerare che
nel momento in cui aveva realizzato il comportamento (cioè l’omesso accantonamento)
l’imputata non poteva prevedere che tale condotta presentasse un disvalore penale: in
sostanza, la ricorrente afferma di non avere potuto concretamente orientare il proprio
comportamento al mutato quadro normativo – sanzionatorio in quanto l’introduzione
della norma penale ha seguito cronologicamente l’omesso accantonamento di quanto
dovuto a titolo di IVA. Invoca la sentenza della Corte Costituzionale n. 364/88 con cui
è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cp nella parte in cui non
prevede la scusabilità della ignoranza inevitabile della legge penale. Richiama altresì il
principio di colpevolezza sancito dall’art. 27 comma 1 Cost.
Sotto il profilo del vizio motivazionale la ricorrente rimprovera alla Corte di
avere apoditticamente sancito che il termine di sei mesi a disposizione dell’imputata
dalla data di entrata in vigore della norma penale appariva sufficiente per organizzarsi
alla luce del sopravvenuto quadro normativo, senza tenere in alcun conto l’entità della
somma dovuta e riconoscendo comunque l’esistenza di difficoltà economiche, tanto da
concedere, sulla base di tale presupposto, le attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato sotto entrambi i profili.
A norma del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, inserito con il D.L. 4 luglio del
2006, art. 35, comma 7, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto del 2006, la
sanzione prevista dall’art. 10 bis per il delitto di omesso versamento di ritenute
certificate si applica anche a chiunque non versi l’imposta sul valore aggiunto, dovuta
in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto
relativo al periodo d’imposta successivo.
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sussisteva un dovere di accantonamento.

Come già chiarito in passato da questa Corte (cfr. in proposito cass. Sez. 3,
Sentenza n. 38619 del 14/10/2010 Cc. dep. 03/11/2010 Rv. 248626), l’anzidetta
norma ha introdotto una nuova fattispecie criminosa diretta a sanzionare l’omesso
versamento dell’IVA in base alle risultanze della dichiarazione annuale A tale nuova
fattispecie è stata estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso
versamento di ritenute certificate dal precedente art. 10 bis, in forza del quale è punito
“con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto

risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti,per un ammontare superiore a
cinquantamila Euro per ciascun periodo d’imposta”.

Il comportamento del soggetto che non versa VIVA dichiarata a debito in sede
di dichiarazione annuale è stato quindi dal legislatore assimilato, sotto il profilo
sanzionatorio, a quello del sostituto che non versa le ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituiti.
Il momento consumativo del reato è individuato alla scadenza del termine
previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo. Tale
termine è fissato dalla L. n. 405 del 1990, art. 6, comma 2, al 27 dicembre.
Conseguentemente per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo
nel versamento rispetto alla scadenze previste, ma occorre che l’omissione del
versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27
dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento. Nella fattispecie, al
27 dicembre del 2006 (giacché, come si è detto, l’omesso versamento si riferiva
appunto all’anno di imposta 2005).
Orbene, dal fatto che la disposizione in commento è entrata in vigore il 4 luglio
del 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per I’VA
relativa alla dichiarazione dell’anno precedente deriva che la nuova disposizione
sanzionatoria troverà applicazione per tutti i reati di omesso versamento consumati
entro il 27 dicembre del 2006 riguardanti l’IVA relativa all’anno 2005.
E’ opportuno ricordare che di recente, la questione della individuazione del
momento consumativo del reato è stata definitivamente risolta dalle sezioni unite.
Infatti, con la sentenza 28 marzo – 12 settembre 2013 n. 37424 , è stato affermato
che l’art. 10-ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 35, comma 7, d.l. 4 luglio
2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, entrato
in vigore il 4 luglio 2006 (il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni
chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo
di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione
annuale, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di
imposta), è applicabile anche alle omissioni dei versamenti IVA relativi all’anno 2005,
senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.

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per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ritenute

Le sezioni unite hanno altresì affrontato alcuni dubbi di costituzionalità della
norma: con riferimento all’art. 27 cost., hanno ritenuto la relativa questione
manifestamente infondata osservando che lo spazio di condotta virtuosa consentito al
soggetto dall’entrata in vigore dell’art. 10-ter fino alla scadenza del termine per il
versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo porta
senz’altro a escludere che dal principio di colpevolezza possa discendere un rilievo
ostativo assoluto all’applicabilità della nuova norma penale alle omissioni di

A tale impostazione va data dal Collegio senz’altro continuità
Per completezza espositiva è il caso di aggiungere che non sussiste neppure
contrasto con il principio di cui all’art. 117 (in relazione all’art. 7 CEDU).
L’art. 7 CEDU nella prima parte stabilisce che “nessuno può essere condannato
per una azione od omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non
costituiva reato secondo la legge nazionale o internazionale”. La disposizione è simile
all’art. 25 comma 2 cost. secondo cui “nessuno può essere punito se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Orbene, come rilevato dalle sezioni unite con la citata sentenza 37424/2013, se
è vero che, al momento della scadenza del

“termine fiscale” per il versamento

periodico dei debiti IVA relativi all’anno 2005, il reato in discussione non era ancora
stato introdotto – essendo l’entrata in vigore dell’art. 10-ter d.lgs 10 marzo 2000, n.
74, posteriore a detta scadenza -, è altrettanto vero, però, che la condotta penalmente
rilevante non è l’omissione del versamento periodico nel termine previsto dalla
normativa tributaria, ma il mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla
dichiarazione annuale nel maggiore termine stabilito per il versamento dell’acconto IVA
relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo. Pertanto, il soggetto che aveva
omesso i versamenti periodici per il 2005 nel termine previsto dalla normativa
tributaria (e che vi aveva persistito nel primo semestre 2006) avrebbe avuto ancora,
fino al 27 dicembre 2006, la possibilità di assumere le proprie determinazioni in ordine
all’effettuazione di un versamento dei debiti che, in relazione al quantum risultante
dalla dichiarazione annuale da lui stesso presentata, mantenesse l’omissione non oltre
la soglia dei cinquantamila euro. La risoluzione di non provvedere a tanto, che dà
luogo alla commissione del reato, si colloca, dunque, in un’epoca ampiamente
successiva alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non può,
pertanto, attribuirsi un effetto retroattivo.
Sulla base di tali argomentazioni, le sezioni unite (cfr. S.U. 37424/2013 cit. in
motivazione) hanno ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale in riferimento all’art. 25, comma secondo, della Costituzione che, come
si è detto, enuncia un principio simile a quello di cui all’art. 7 CEDU e pertanto in tal

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versamento relative ai debiti IVA del 2005 (cfr. S.U. 37424/2013 cit.).

senso va risolta anche la questione oggi posta dal ricorrente al Collegio con riferimento
all’art. 117 Cost. e 7 CEDU.
Alla stregua delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata, dunque, non
solo appare corretta in diritto, ma espone del tutto logicamente il percorso
argomentativo seguito nel rispondere alla censura sull’elemento soggettivo del reato,
laddove, appunto, rileva che il termine di sei mesi avuto a disposizione dell’imputata
era certamente sufficiente per organizzare il versamento di una somma che avrebbe

anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 10 ter sussisteva l’obbligo giuridico, sia pure
non penalmente sanzionato, del versamento all’Erario, sicché una diversa scelta
dell’impiego della somma, è circostanza che non può influire sull’elemento soggettivo.
Allo stesso modo, privo di smagliature logiche si rivela l’argomento utilizzato dai
giudici di merito per confutare la dedotta situazione di difficoltà finanziaria che – dire
dell’imputata – le aveva impedito di versare VIVA: il mancato accantonamento di una
somma sufficiente determina una situazione di difficoltà in cui il contribuente si è
volontariamente calato perché VIVA incassata deve essere versata e non può essere
utilizzata per fronteggiare altre esigenze aziendali.
In conclusione, il ricorso da una parte non tiene conto (seppur
comprensibilmente, ratione temporis)

dei principi affermati dalle sezioni unite e

dall’altra sollecita una – non consentita – rivisitazione di valutazioni riservate al giudice
di merito: esso pertanto deve esser respinto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna iikricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11.12.2013.

dovuto comunque essere accantonata dall’imprenditrice nel corso del 2005 e che

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