Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36389 del 07/07/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36389 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Comune di Modena, in persona del Sindaco pro tempore

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame di Modena in data
29/12/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Gabriele Mazzotta, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Roberto Borgogno in
sostituzione dell’Avv. Massimo Vellani, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 29/12/2014, il Tribunale del riesame di Modena
respingeva l’appello proposto dal locale Comune, in persona del Sindaco pro
tempore, avverso il provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari
in sede il 15/10/2014, che aveva respinto l’istanza di dissequestro di alcuni
cantieri posti nel parco delle Rimembranze della città; la misura si inseriva in un

Data Udienza: 07/07/2015

procedimento penale a carico di numerosi soggetti (tra il quali il Sindaco, il
Soprintendente, dirigenti e funzionari di entrambi gli enti) in ordine ai reati di cui
agli artt. 323 cod. pen. ed altro, per aver destinato il parco medesimo ad uso
incompatibile con il suo carattere e la sua vocazione storico culturale, nonché
pregiudizievole per la sua conservazione.
2. Propone ricorso per cassazione il Comune di Modena, deducendo – con
unico, diffuso motivo – la violazione dell’art. 322-bis cod. pen., per aver il
Tribunale confermato il provvedimento del G.i.p. per ragioni diverse da quelle

avrebbe introdotto una nozione di chiosco per un vero del tutto soggettiva, per
altro verso mai oggetto di alcuna valutazione o pronuncia nelle precedenti
statuizioni. Ancora, con riferimento alla possibile illegittimità del Piano di
riqualificazione del parco (la cui procedura di approvazione non è completata), il
Tribunale avrebbe confuso la pianificazione urbanistica, nella quale i diritti
edificatori sono meramente potenziali, con il futuro rilascio del permesso di
costruire che li renderà esercitabili. Infine, il Collegio avrebbe individuato un
profilo di criticità delle strutture in oggetto (la modifica dell’area in senso
commerciale), del tutto disatteso dal G.i.p., oltre che escluso dal secondo
progetto presentato al riguardo dal Comune.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per
cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc.
pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla
violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in
particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione
meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme
processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di
legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla
lett. e) dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004,
P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003,
Pellegrino S., Rv. 224611).
Ciò premesso, il ricorso è infondato.
Il Collegio di appello, infatti, ha steso una motivazione tutt’altro che assente
o meramente apparente, ma, anzi, diffusa e del tutto congrua, con la quale ha
confermato la misura in atto ed il carattere pregiudizievole delle opere in esame;
a tal fine, peraltro, valorizzando plurimi elementi già evidenziati nell’ordinanza

indicate nella motivazione della prima ordinanza. In particolare, il Collegio

impugnata, a differenza di quanto assunto dal Comune di Modena nel presente
ricorso.
Il Tribunale, invero, ha innanzitutto sottolineato – a titolo di premessa – che
la modifica del Piano di riqualificazione del parco (di cui alla delibera della Giunta
comunale n. 375 del 22/7/2014), non ancora completata, presenta elementi che,
con riguardo al caso di specie, potrebbero comunque configurare il fumus dei
reati urbanistici e paesaggistici contestati; in particolare, lo stesso
provvedimento prevede la possibilità di inserire strutture di dimensioni
considerevoli, con platea in cemento, stabilmente destinate alla
somministrazione di cibi e bevande, tali quindi da realizzare un significativo
impatto sul territorio.
Di seguito, il Collegio – riprendendo gli argomenti già esaminati dal G.i.p. ha evidenziato che la lettera dell’art. 13.21 del Regolamento urbanistico edilizio
(Ville, giardini e parchi di notevole interesse), la cui modifica risulta adottata
(con delibera del Consiglio comunale del 24/7/2014) ma non ancora approvata,
non consente di ritenere i chioschi in esame compatibili con la normativa
medesima; ciò alla luce dell’art. 19.21 del Regolamento medesimo, a mente del
quale si deve intendere, per chiosco, “un piccolo padiglione indipendente, con
funzioni particolari, avente il perimetro aperto”. Opera, quindi, che risulta
diversa da quelle poste sotto sequestro, «concepite come strutture chiuse, onde
consentire l’accesso degli avventori in tutte le stagioni». Quel che si aggiunge
allo stabile ancoraggio al suolo ed alle ragguardevoli dimensioni già valorizzate
dal primo Giudice, e ritenute dal Collegio non compatibili con la normativa
paesaggistica.
Da ultimo, la mancanza dell’autorizzazione dell’autorità preposta a questo
vincolo; quel che costituisce circostanza pacifica, al punto che – come riporta il
ricorso – il Comune aveva invocato il dissequestro delle opere evidenziando che,
in uno con la nuova versione del Piano di riqualificazione del parco,
l’amministrazione comunale avrebbe inteso intraprendere una «percorso
amministrativo urbanistico» comprendente, tra l’altro, “l’acquisizione del parere
favorevole da parte della Soprintendenza”.
Trattasi, pertanto, di una motivazione del tutto adeguata e sostenuta da
ampio percorso logico-giuridico, come tale non censurabile in questa sede nei
termini prospettati dal ricorrente; il quale, peraltro, con riferimento al punto
centrale della vicenda cautelare, quale il concetto di chiosco, si esprime in
termini eminentemente fattuali (dimensioni, ancoraggio), tali quindi da invocare
a questa Corte un’inammissibile rilettura degli stessi riscontri oggettivi già
esaminati dai Giudici di merito.

J

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

sigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2015

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