Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36386 del 07/07/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36386 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria nel
procedimento nei confronti di
Squillaci Katia, nata a Torino il 3/9/1975
Mallamaci Vincenzo, nato a Cosenza il 7/2/1964

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Reggio Calabria in data
14/8/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14/8/2014, il Tribunale di Reggio Calabria – nell’ambito
del procedimento a carico di Katia Squillaci e Vincenzo Mallamaci, indagati per i
reati di cui agli artt. 110, 54, 1161 cod. nav., 44, comma 1, lett. c), 64, 65, 71,
93, 95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 389, 142 e 181, comma 1-bis, d. Igs. 22

Data Udienza: 07/07/2015

gennaio 2004, n. 42, tutti relativi ad opere realizzate su un lido nel Comune di
Motta San Giovanni – autorizzava il custode della struttura balneare in esame posta sotto sequestro preventivo – a rimuovere i sigilli e, riattivata la fornitura
dell’acqua da parte del Comune, consentire l’accesso agli addetti per la cura delle
piante ivi presenti.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Reggio Calabria, deducendo, con unico motivo, l’abnormità del
provvedimento. In particolare, il Giudice avrebbe consentito ciò che la legge

aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare le loro forniture per
l’esecuzione di opere prive del permesso di costruire, con conseguente nullità dei
relativi contratti; e per tacer, poi, del fatto che il provvedimento nulla avrebbe
disposto quanto agli oneri legati alla riattivazione dell’utenza idrica. La

ratio

sottesa al provvedimento, quale la cura delle piante, risulterebbe infine del tutto
infondata, atteso che le opere esistenti – in quanto abusive e su area vincolata sarebbero destinate comunque alla demolizione.
3. Con requisitoria scritta depositata il 7/1/2015, il Procuratore generale
presso questa Corte ha chiesto accogliersi il ricorso. Il provvedimento
impugnato, pur essendo in astratto manifestazione di un legittimo potere, si
sarebbe esplicato al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di
ogni ragionevole limite; specie considerando che le modalità di esecuzione del
sequestro rientrano nella competenza esclusiva del pubblico ministero, ed il
Giudice può intervenire soltanto nelle forme dell’incidente di esecuzione, nel
contraddittorio delle parti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato.
Osserva preliminarmente il Collegio che una lunga e diffusa elaborazione
giurisprudenziale ha condotto, negli ultimi due decenni, ad un sempre più
definito inquadramento dogmatico della categoria dell’abnormità, intesa quale
vizio che connota in radice un provvedimento, senza però identificarsi nella sua
nullità o inesistenza giuridica. In particolare, le Sezioni unite di questa Corte, già
nel 1997, hanno affermato che è affetto da abnormità non solo il provvedimento
che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero
ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto
manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle
ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto
processuale – si è ulteriormente precisato – può riguardare tanto il profilo

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espressamente impedisce, atteso che l’art. 48, d.P.R. n. 380 del 2001 vieta alle

strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema
organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur
non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e
l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, Di Battista, Rv.
209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, Magnani, Rv. 215094. Di seguito, ex
plurimis, Sez. 2, n. 2484 del 21/10/2014, Tavoloni, Rv. 262275; Sez. 2, n.
29382 del 16/5/2014, Veccia, Rv. 259830; Sez. 3, n. 3739 del 24/11/2000,
Puppo, Rv. 218666).

di Reggio Calabria abbia emesso un provvedimento che, pur essendo in astratto
manifestazione di un legittimo potere, si è esplicato al di fuori dei casi consentiti
e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite.
Al riguardo, in particolare, questa Sezione ha affermato più volte il principio
– che va ribadito, come anche ricordato dal Procuratore generale – secondo cui,
nell’ambito di una misura cautelare reale, le modalità di esecuzione della stessa
rientrano, a norma dell’art. 655 cod. proc. pen., nella competenza esclusiva del
pubblico ministero; il Giudice – G.I.P. nella fase delle indagini preliminari e
giudice del dibattimento in quelle successive – è invece chiamato a verificare, su
impulso di parte, la sussistenza dei presupposti, così come la permanenza degli
stessi, in ordine alla misura cautelare. Con lo strumento dell’incidente di
esecuzione, poi, il medesimo Giudice può dirimere – nel contraddittorio delle
parti – eventuali controversie sorte in ordine alle modalità di esecuzione della
misura medesima; in tale caso, al Giudice compete, a richiesta di parte, un
potere di controllo ex post sull’operato del pubblico ministero, al fine di accertare
se le finalità cautelari del provvedimento di sequestro possano essere attuate
con modalità diverse da quelle dallo stesso individuate. Nell’occasione, però, egli
non potrà provvedere de plano, ma dovrà seguire le forme prescritte dall’art.
666 cod. proc. pen., ovvero instaurando un procedimento di esecuzione.
Alla luce di questi principi, risulta dunque evidente che il Tribunale di Reggio
Calabria – nell’autorizzare la momentanea rimozione dei sigilli su un immobile in
sequestro, peraltro in vista di uno scopo (annaffiare le piante) implicitamente
incompatibile con la lettera e ratio dell’art. 48, d.P.R. n. 380 del 2001, sopra
richiamato – abbia emesso un provvedimento del tutto eccentrico, con il quale ha
disatteso la previsione di cui all’art. 655, comma 1, cod. proc. pen. citato, a
mente della quale l’esecuzione dei provvedimenti costituisce competenza
esclusiva del pubblico ministero.
L’ordinanza, pertanto, deve essere annullata senza rinvio.

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Orbene, ciò premesso, ritiene la Corte che, nel caso in esame, il Tribunale

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2015

Il Presidente

nsigliere estensore

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