Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36377 del 03/07/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36377 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
SASSARI nel proc. c/:
– CASU GIUSEPPE, n. 21/11/1990 a Sassari

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di SASSARI in data 7/01/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. P. Gaeta, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. C. Ammirati, sostituto processuale
dell’Avv. S. Porcu, che ha chiesto il rigetto del ricorso del P.M.;

Data Udienza: 03/07/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 7/01/2015, depositata in data 12/01/2015, il
tribunale del riesame di SASSARI ha annullato il decreto di sequestro preventivo
disposto dal GIP del medesimo tribunale in data 10/12/2014 avente ad oggetto il
canile “Pippolandia”, procedendosi nei confronti dell’indagato per i reati di cui agli

2. Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
SASSARI, impugnando la ordinanza predetta con cui deduce quattro motivi, di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., sotto il profilo della violazione dell’art. 727, comma secondo, cod.
pen. e difetto di motivazione quanto alla sussistenza del fumus.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il P.M. ricorrente dopo aver premesso che l’art. 727, comma secondo, cod. pen. non prevede la
sussistenza del dolo e che la detenzione di animali in condizioni incompatibili con
la natura degli stessi è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso che le
condizioni in cui gli stessi sono tenuti devono provocare uno stato di “grave
sofferenza” – elenca i sopralluoghi eseguiti dalla PG (settembre 2014 e 15
novembre 2012) che davano conto dell’esistenza di gravi irregolarità nella
gestione del canile; analogamente, ciò sarebbe avvenuto nel corso del
sopralluogo del 5/12/2013 (in cui si attestava che agli animali non era concessa
la “sgambatura” nelle apposite aree per un periodo di tempo sufficiente; che non
vi era reparto di isolamento per gli animali di nuova introduzione; che la rete
metallica era logora; che la parte interna dei box era scarsamente pulita e vi era
presenza di alghe negli abbeveratoi); la carenza di importanti aspetti strutturali e
gestionali del canile, con grave carenza dello stato sanitario e di benessere degli
animali ospitati, poi, risulterebbe confermata anche da ulteriori sopralluoghi
(10/07 e 11/10/2013); il P.M. ricorrente si sofferma, quindi, a svolgere alcune
valutazioni in fatti su quanto accertato in data 5/02/2013 e 10/07/2013,
osservando che erano giorni di martedì e mercoledì, e che, quindi, non si
trattava di giorni successivi a quelli di riposo del personale addetto; analoghe
valutazioni fattuali vengono svolte in relazione al sopralluogo del 23/12/2014
all’atto del sequestro preventivo (si osserva che il numero dei cani sarebbe stato
in aumento; che le aree destinate allo sgambamento risultavano di insufficiente
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artt. 727, comma secondo, cod. pen. e 356 cod. pen.

estensione; che i cani usufruivano di poco spazio, rappresentato dal piccolo box
in cui vivono; che le riprese fotografiche confermavano la presenza di urine e feci
e lo stesso veterinario USL aveva concluso che gli animali si trovavano in una
“situazione di benessere molto carente”); da tutto ciò, quindi, poteva
ragionevolmente presumersi l’esistenza del

fumus, contrariamente a quanto

affermato dal tribunale del riesame.

profili di doglianza svolti, meritano una congiunta illustrazione -, il vizio di cui
all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione ed erronea
interpretazione dell’art. 3, comma settimo, lett. b), comma quinto, lett. b) e
comma quindicesimo, lett. a), n. 3, della D.P.G.R. 1/99 sui requisiti delle
strutture di ricovero (caratteristiche costruttive dei canili/gattili) nonché dell’art.
11 della predetta D.P.G.R. sul dimensionamento delle strutture di accoglienza.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il P.M. ricorrente
rileva che, al momento del sequestro in data 22/12/2014, il numero dei cani
ospitati era superiore a 365, condizione di evidente sovraffollamento; il tribunale
del riesame avrebbe errato, anzitutto, nell’interpretare l’art. 11 della D.P.G.R. n.
1/99 che fissa il dimensionamento delle strutture di accoglienza, in quanto la
norma prevede che ogni canile “deve” (e non “dovrebbe”, come ritenuto dal
tribunale del riesame) comprendere 150/250 posti cane, sicchè deve escludersi
che il limite di 250 cani/struttura sia indicativo o programmatico in quanto si
tratta di limite massimo; quanto, poi, all’erronea interpretazione dell’art. 3 della
predetta D.P.G.R., il tribunale avrebbe errato nel sostenere, in base a quanto
affermato dal responsabile sanitario del canile, che la presenza di un reparto di
isolamento non sarebbe necessaria in un canile rifugio; diversamente, si
sostiene, le disposizioni dettate dall’art. 3, D.P.G.R. citato sono chiare nel
prevederne la necessità e che detto reparto manchi sarebbe confermato da
plurimi elementi (esiti delle ispezioni del 5/02/2013 e 16/09/2014 nonché
sopralluogo del 22/12/2014); ne discenderebbe, in conclusione, che sarebbe
“evidente” (ma su ciò vi sarebbe un’omessa motivazione del tribunale) il rischio
di trasmissione di malattie infettive, connesso sia all’elevato numero di cani sia
al fatto che i cani prelevati dalla strada dopo la cattura, pur potenzialmente
portatori di malattie infettive, verrebbero introdotti nella struttura rifugio in
difetto del preventivo periodo di osservazione sanitaria e profilassi della rabbia
presso il canile sanitario, in violazione delle regole previste dalla legge statale e
regionale.

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2.2. Deduce, con il secondo ed il terzo motivo – che, attesa l’omogeneità dei

2.3. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., sotto il profilo della inosservanza ed erronea applicazione dell’art.
356 cod. pen. e difetto di motivazione quanto alla sussistenza del fumus.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto, sostiene il P.M.
ricorrente, il tribunale del riesame ha escluso la configurabilità del reato di cui
all’art. 356 cod. pen. valorizzando quanto affermato, tra l’altro, dai dirigenti dei
vari Comuni convenzionati; secondo il P.M., invece, da un lato, il dolo del reato è

dirimenti, in quanto il reato si realizza in ogni caso in cui è stato violato il
principio della buona fede nel contratto; la ripetuta violazione degli obblighi
indicati, dunque, integrerebbe la fattispecie penale in esame.

3.

Con memoria depositata presso la Cancelleria di questa Corte in data

19/06/2015, la difesa dell’indagato ha chiesto dichiararsi inammissibile e/o
rigettarsi il ricorso del P.M.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è manifestamente infondato.

5. Ed invero, il tribunale del riesame: a) esclude la configurabilità del fumus del
reato di cui all’art. 727 cod. pen. sia attraverso l’interpretazione dell’art. 11,
D.P.G.R. n. 1/99, oggetto di contestazione da parte del P.M. circa il numero dei
cani “ospitabili” sia, soprattutto, valorizzando elementi di cui il P.M. ricorrente
non ha fatto menzione nel ricorso, quali la concessione rilasciata dalla P.A. per la
gestione del canile che può ospitare fino a 500 cani (donde del tutto in regola si
presentava il canile al momento del sequestro essendovi ospitati 343 cani)
nonché ritenendo errata la valutazione della polizia giudiziaria circa lo spazio
riservato ai cani con riferimento alle dimensioni dei box, avendo separato la zona
notte dalla zona giorno; b) svolge, poi, una serie di considerazioni circa la
necessità o meno di un reparto di isolamento nonché circa la pulizia regolare dei
box, la confutazione delle contrarie risultanze dell’ispezione eseguita nel 2013
(dovuta al fatto che la giornata precedente era una domenica) nonché in ordine
all’asserita mancanza di cibo ed acqua, concludendo, quindi, che le accuse
attinenti a violazioni presunti di legge riverberanti i loro effetti sul benessere dei
cani non sussistevano; c) sulla configurabilità del delitto di cui all’art. 356 cod.
pen., infine, i giudici del riesame motivano richiamando le dichiarazioni dei
dirigenti dei Comuni convenzionati con la struttura, i quali avevano confermato

generico e, dall’altro, le attestazioni dei predetti dirigenti non sarebbero

che mai i responsabili del canile si erano resi inadempienti agi obblighi
contrattuali.

6. A fonte di tale articolato percorso argornentativo, il P.M. ricorrente oppone
invece censure quasi integralmente fattuali, richiamando, al fine di contestare le
argomentazioni del tribunale del riesame, elementi che impongono valutazioni di
merito (come, ad esempio, in relazione al secondo e terzo motivo di ricorso,

erano avvenute le ispezioni ricadenti infrasettimanalmente, ciò che avrebbe
smentito le argomentazioni dei giudici del riesame circa il grado di pulizia del
canile o, ancora, quando si ipotizza, sulla base di valutazioni meramente
probabilistiche, sganciate da qualsiasi elemento oggettivo, che il mancato
rispetto delle dimensioni della struttura di ricovero per la presunta violazione
degli artt. 3 ed 11, D.P.G.R. n. 1/99, comporterebbe il rischio di trasmissione di
malattie infettive, laddove, si noti, non risulta dall’ordinanza impugnata né
tantomeno dal ricorso che siano stati riscontrati episodi in tal senso).

6.1. Quanto, poi, in relazione al primo motivo di ricorso, alla configurabilità della
contravvenzione di cui all’art. 727, comma secondo, cod. pen., va qui precisato
che la norma sanziona non la semplice detenzione degli animali in condizioni
incompatibili con la loro natura, ma richiede anche che le stesse siano produttive
di gravi sofferenze; dagli atti valutabili ed in possesso di questa Corte e, in
particolare dallo stesso ricorso,emerge che gli animali si trovavano, al più, in uno
stato “di benessere molto carente” (come attestato dal veterinario USL),
concetto profondamente diverso che non va confuso con le “gravi sofferenze” di
cui parla la norma in esame, ditalchè infondato appare il sillogismo del
ragionamento del P.M. secondo cui dalle carenze gestionali del canile sarebbe
derivato uno stato di detenzione incompatibile con gravi insofferenze,
affermazione, peraltro, fondata su valutazioni di tipo soggettivo

(“lasciano

ragionevolmente presumere”, si legge a pag. 6 del ricorso) e non di tipo
oggettivo, non risultando svolta alcuna valutazione circa l’evidenza di tali “gravi
sofferenze” su nessuno dei 343 animali ospitati, tanto più che lo stesso tribunale
del riesame evidenzia come non potesse neppure parlarsi di sovraffollamento,
essendo la struttura autorizzata ad ospitare 500 cani.
Questa Corte, del resto, ha più volte, anche di recente, affermato che in tema di
maltrattamento di animali, il reato permanente di cui all’art. 727 cod. pen. è
integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi
sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più
5

quando contesta la giustificazione del tribunale relativamente ai giorni in cui

note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune
esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali
(Sez. 3, n. 37859 del 04/06/2014 – dep. 16/09/2014, Rainoldi e altro, Rv.
260184, principio affermato in relazione a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto
legittimo il sequestro preventivo di un canile in cui gli animali erano ospitati in
misura superiore ai limiti consentiti dalla legislazione regionale, circostanza non
ravvisabile nel caso in esame, visto che il limite dei 500 era ben lungi dall’essere

6.2. Quanto, infine, al quarto motivo di ricorso, relativo alla configurabilità del
delitto di cui all’art. 356 cod. pen., la censura svolta dal P.M. ricorrente appare
puramente contestativa, avendo affermato il tribunale del riesame l’insussistenza
del fumus di tale reato in base alle dichiarazioni dei dirigenti dei Comuni
convenzionati con il canile.
Del resto, si osserva, il mero inadempimento contrattuale non sarebbe nemmeno
sufficiente ad integrare il reato, richiedendo la norma incriminatrice un

“quid

pluris” che va individuato nella malafede contrattuale, ossia nella presenza di un
espediente malizioso o di un inganno, tali da far apparire l’esecuzione del
contratto conforme agli obblighi assunti (Sez. 6, n. 5317 del 10/01/2011 – dep.
11/02/2011, Incatasciato, Rv. 249448), situazione di fatto che il tribunale ha
sostanzialmente escluso non avendo, del resto, fornito adeguati elementi in
senso contrario il P.M. ricorrente. Non risultano, peraltro, contestati specifici vizi
od inadempienze (Sez. 6, n. 38346 del 15/05/2014 – dep. 18/09/2014, Moroni,
Rv. 260269), anzi escluse dai dirigenti sentiti.

7. Il ricorso del P.M. dev’essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del P.M.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 3/07/2015

superato, ospitando al momento del sequestro la struttura 343 animali).

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