Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36371 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36371 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da : Ghirardi Alberto, n. a Parma il 30/06/1938;

avverso la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Milano del 25/06/2014;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale F. Baldi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Ghirardi Alberto ha proposto ricorso avverso la sentenza del G.i.p. del

Tribunale di Milano di applicazione della pena per il reato di cui all’art. 10 bis del
d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione all’omesso versamento di ritenute quale
liquidatore della società Euronnaglia S.a.s.

2. Con un primo motivo lamenta che il giudice, nel procedere al ragguaglio in
pena pecuniaria di quella detentiva irrogata a titolo di aumento per la
continuazione rispetto al più grave reato ex art. 10 ter già giudicato, ha calcolato
la somma di euro 250 e non quella di euro 38 per ogni giorno di pena detentiva

Data Udienza: 18/06/2015

tanto più essendo la violazione stata commessa quasi interamente sotto il vigore
della normativa anteriore alla legge n. 94 del 2009.

3. Con un secondo motivo lamenta il difetto di motivazione della sentenza sotto
un duplice profilo.
Sotto un primo profilo lamenta che il giudice abbia considerato più grave il reato

cost. n. 80 del 2014, meno grave posto che l’ammontare dell’evasione è stato di
soli 171.660 euro.
Sotto un secondo profilo lamenta l’omessa motivazione della sentenza con
riguardo alla disposta confisca per equivalente del profitto del reato supportata
nella specie unicamente da formule di stile.

4.

Con un terzo motivo eccepisce, in subordine, formalmente la illegittimità

costituzionale dell’art. 10 bis cit. laddove, a differenza di quanto disposto per il
reato di cui all’art. 10 ter a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale
citata, il fatto continua ad essere condizionato ad una soglia di punibilità di soli
50.000 euro e non di 102.291,38 con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.
stante la disparità di trattamento di situazioni del tutto identiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo, la doglianza sollevata non tiene conto del principio
secondo cui la pena destinata a costituire la base sulla quale operare gli aumenti
fino al triplo per i reati satellite – anche se puniti con una sanzione di genere
diverso – è esclusivamente quella prevista per la violazione più grave; infatti,
nell’aumento sulla pena base restano assorbite le pene previste per i reati
satellite, in quanto la continuazione determina la perdita dell’autonomia
sanzionatoria dei reati meno gravi (da ultimo, Sez. 3, n. 44414 del 30/09/2004,
Novaresio ed altri, Rv. 230490). Né tale principio può subire deroghe per il fatto
che la pena prevista per il reato più grave sia stata a suo tempo, come nella
specie, sostituita, in forza dell’art. 53 della I. n. 689 del 1981, con la pena
pecuniaria, giacché, una volta operata la sostituzione, la pena irrogata, sulla
quale operare poi l’aumento per la continuazione con i reati satelliti, è, a tutti gli

ex art. 10 ter pur essendo questo divenuto, per effetto della sentenza della Corte

effetti, come chiaramente indicato dall’art. 57, comma 2, della I. n. 689 del
1981, quella, appunto, pecuniaria.
Ne consegue come, nella specie, caratterizzata dal fatto che con il decreto penale
del 07/06/2010, esecutivo il 13/01/2012, venne inflitta, sia pure in sostituzione
di mesi sei di reclusione, la pena di euro 6.840,00, sia del tutto improprio il
richiamo, effettuato dal ricorrente, alla necessità di rispettare, per la pena da

pecuniaria vigenti all’epoca di commissione del fatto appunto perché, per quanto
appena detto, nessuna sostituzione di pena detentiva in pecuniaria andava
operata, dovendo direttamente farsi luogo all’ aumento della pena pecuniaria già
irrogata per il reato più grave nel rispetto dei limiti, interno ed esterno, posti
dall’art. 81 c.p.
Nessuna illegalità della pena (l’unica che consentirebbe di ritenere “aggredibile” il
patto stipulato tra le parti) appare dunque ravvisabile nella specie posto che il
G.i.p. del Tribunale di Milano ha applicato, in aumento sulla pena base di euro
6.840,00 di multa, la pena di euro 3.750,00 di multa che, da un lato (con
riguardo, cioè, al limite “interno” di cui all’art. 81, comma 1, c.p.), è certamente
contenuta all’interno del triplo rispetto alla violazione più grave, e, dall’altro (con
riguardo, cioè, al limite “esterno” dell’art. 81, comma 3, c.p.), non è superiore a
quella che sarebbe stata applicabile in base all’art. 78 c.p..
Il motivo è dunque manifestamente infondato.

6. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
A parità di trattamento sanzionatorio (sia l’ipotesi dell’art. 10 bis che quella
dell’art. 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000 sono infatti punite con la reclusione da
sei mesi a due anni di reclusione), correttamente il giudice, recependo il patto
intercorso tra le parti, ha ritenuto più grave il reato già giudicato in quanto
caratterizzato dal mancato versamento di un importo di euro 171.660,00,
indubitabilmente maggiore rispetto al mancato versamento di euro 63.803,00
caratterizzante il reato satellite; né il fatto che, con riguardo al primo, sia stata
dichiarata, con la sentenza n. 80 del 2014 della Corte costituzionale, l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10 ter cit. nella parte in cui, con riferimento ai fatti
commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta
sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per
importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad Euro 103.291,38, può
condurre a diverse conclusioni, essendo pur sempre, nella specie, il profitto del
reato dell’art. 10 ter cit. a suo tempo posto in essere, stato caratterizzato

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porre in aumento rispetto a quella, i criteri di ragguaglio della pena detentiva in

dall’intero importo non versato pari ad euro 171.660,00 appunto (cfr., Sez.6, n.
6705 del 16/12/2014, Libertone, Rv. 262394).
Né è condivisibile l’ulteriore censura afferente la disposta confisca avendo il
giudice esaustivamente motivato in ordine alla natura di profitto dell’imposta non
versata, da assoggettare a confisca per equivalente anche in caso di
patteggiannento secondo quanto previsto dall’art.1, comma 143, della I. n. 244

7. E’ infine manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale
dell’art. 10 ter cit. per violazione dell’art. 3 Cost. sollevata con l’ultimo motivo di
ricorso, essendo in tal senso già intervenuta la sentenza della Corte cost. n. 100
del 2015.

8.

In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro 1.500 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2015
e estensore

Il Presidente

del 2007.

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