Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36366 del 04/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36366 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PUGLISI FRANCESCO N. IL 30/08/1989
avverso la sentenza n. 3164/2013 TRIBUNALE di CATANIA, del
18/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEP GRASSO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. rAtu (46
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Uditi dife

Avv.;

Data Udienza: 04/07/2014

FATTO E DIRITTO

1. Il Tribunale di Catania con sentenza del 18/11/2013, all’esito di richiesta delle
parti ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., applicò nei confronti Puglisi
Francesco, imputato di violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, la pena
concordata dalle parti medesime, applicate le attenuanti generiche ed effettuata
la riduzione del rito.

2. Avverso la sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione con il quale

riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al comma 5 dell’art. 73 cit.

3. Il motivo non ha pregio in quanto espone censure attinenti al merito delle
valutazioni, sottese al consenso prestato dalle parti medesime (giurisprudenza di
legittimità consolidata: Cass. Sez. 4 Sent. n. 20165 del 29/04/04, rv 228567;
Cass. Sez. 4 Sent. n. 3946 del 30/03/98, rv 210639; Cass. Sez. 1 Sent. n. 6898
del 24/01/97, rv 206642; Cass. Sez. 4 Sent. n. 8060 del 20/08/96, rv 205835;
Sez. III, 3/5/2011, n. 23804).
Condivisibilmente si è, di recente (Cass., Sez. IV, n. 27733 del 18/11/2011;
nello stesso senso, Cass., Sez. Fer., n. 32078 del 12/8/2010) chiarito che nel
procedimento di applicazione della pena su richiesta (art. 444 e ss. c.p.p.), le
parti (anche quella pubblica) non possono prospettare con il ricorso per
cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento, in
particolare afferenti le prove risultanti dagli atti del procedimento nonché la
qualificazione giuridica del fatto risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa
come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione. Ne
consegue che, una volta pronunciata la sentenza che ha recepito l’accordo, sul
quale il giudice ha preventivamente esercitato il suo potere di controllo, le parti
(anche quella pubblica) non possono più prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento all’applicazione delle circostanze e alla entità della pena,
che non sia illegale.
Né tale doglianza può essere formulata prospettando il difetto di motivazione, in
quanto, con l’accordo intervenuto tra loro, le parti hanno implicitamente
esonerato il giudice dell’obbligo di rendere conto (almeno “inter partes”) dei
punti non controversi della decisione, non potendosi pretendere l’esposizione dei
motivi di un convincimento che le parti stesse hanno già fatto proprio.

4. Non di meno la statuizione deve essere, per altra ragione, annullata. La Corte
costituzionale con la sentenza n. 32/014 ha dichiarato costituzionalmente

denunzia vizio motivazionale e violazione di legge in ordine al mancato

illegittima l’equiparazione trattannentale, a prescindere dalla qualità delle
sostanze stupefacenti, operata con la novella apportata all’art. 73 del d.P.R. n.
309/1990 dall’art. 4bis, comma 1, lett. b, D.L. 30/12/2005, convertito nella L.
21/2/2006, n. 49, con la consequenziale riviviscenza della pregressa disciplina
regolante la materia, la quale prevede trattamento sanzionatorio differenziato a
seconda che l’illecito concerna le c.d. droghe leggere o pesanti, cioè quelle
rientranti, rispettivamente, nelle tabelle II e IV (comma 4) e I e III (comma 1),
prevedendo per l’ipotesi reputata più grave una pena detentiva (per comodità si
trascura l’indicazione di quella pecuniaria) da otto a venti anni e per quella

Si pone, quindi, l’esigenza di sottoporre, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen.,
al giudice del merito il più favorevole assetto normativo sopravvenuto, pur non
essendo al medesimo vietato (salvo, ovviamente, il divieto di riforma
peggiorativa) di motivatamente mantenere il trattamento penale così come
disposto (ove compatibile con il nuovo range sanzionatorio), a condizione che
dimostri di tenere debitamente conto nella determinazione della pena dei nuovi
parametri sanzionatori introdotti dal legislatore.
In sede di legittimità, si è più volte chiarito (Cass., Sez. V, n. 345 del
13/11/2002, Rv. 224220; Sez. I, n. 1711 del 14/4/1994, Rv. 197464) in siffatti
casi che il rispetto del principio di legalità della pena (comb. disp. art. 2, comma
4, cod. pen. e 129, comma 2, cod. proc. pen.) impone annullamento d’ufficio
della statuizione di merito. Salvo a registrasi contrasto sull’idoneità del ricorso
inammissibile a dar vita ad un tale esercizio officioso (in senso contrario: Sez. II,
n. 44667 dell’8/7/2013, Rv. 257612; Sez. V, n. 36293 del 977/2004, Rv.
230636; nel senso dell’ininfluenza: Sez. VI, n. 21982 del 16/5/2013).
Siccome condivisamente illustrato in profondità nella sentenza di questa stessa
Sezione n. 13903/14 del 28/2/2014, il principio di retroattività della norma più
favorevole si fonda sulla legge ordinaria (art. 2, comma 4, cod. pen.) e,
giudicata non pertinente l’evocazione degli artt. 13 e 25, Cost., sull’art. 3 Cost.
Con la conseguenza che «Il livello di rilevanza dell’interesse preservato dal
principio di retroattività della lex mitior – quale emerge dal grado di protezione
accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale
e dal diritto comunitario – impone di ritenere che il valore da esso tutelato può
essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo
rilievo (quali – a titolo esemplificativo – quelli dell’efficienza del processo, della
salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della
funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell’intera
collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo; cfr.
sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del 1997, n.353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n.

minore, da due a sei anni.

54 del 1993). Con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3
Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più
favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non
essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente
irragionevole» (C. cost. sent. n. 393/2006; per la giurisprudenza di legittimità,
Sez. 3, n. 34117 del 27/04/2006 – dep. 12/10/2006, Alberini e altro, Rv.
235051).
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 19/7/2011, dopo aver ripreso
le norme sovranazionali rilevanti in materia, ha escluso che l’art. 7 CEDU

nella CEDU si rinviene il limite del giudicato, valicabile, invece, secondo lo stato
dell’elaborazione interna, oltre a segnare un’incidenza, per estensione di materia,
inferiore all’area delineata dall’art. 2, comma 4, cod. pen.
Ciò posto la sentenza impugnata, nel resto divenuta irrevocabile, deve essere
annullata in punto di quantificazione della pena, non ostandovi nessuna delle
superiori esigenze individuate dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 393,
sopra citata.

7. S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della statuizione, con
trasmissione degli atti per il prosieguo (giudizio ordinario o nuovo
patteggiamento).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la impugnata sentenza e dispone la trasmissione degli atti al
Tribunale di Catania per ulteriore corso.

Così deciso in Roma il 4/7/2014

Il

ons. st .

Il Presidente

imponga una maggior tutela della retroattività della lex mitior, anzi rilevando che

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