Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3636 del 09/10/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 3636 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da STOCCO SANDRO nato a VERONA (VR) il 16-06-1950,
avverso la sentenza del 22.11.2012 della Corte d’appello di Brescia,
Udita la relazione fatta in camera di consiglio dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Gioacchino Izzo che ha
concluso per il rigetto dei ricorso;
la Corte osserva:

Data Udienza: 09/10/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 31/5/2011, il Tribunale di Bergamo dichiarava
Stocco Sandro colpevole del reato di cui all’art. 10 ter D. L.vo 74/2000, perché,
in qualità di rappresentante legale della Cover Srl, con sede in mezzo la loro, non
versava entro il 27 dicembre 2006, termine previsto per il versamento
dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore
aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale afferente all’anno 2005 per
l’ammontare complessivo di euro 50.397.

oltre al pagamento delle spese processuali e alle sanzioni accessorie previste per
legge.
Il tribunale considerava che la società Cover s.r.l. aveva con l’erario un
debito IVA per l’anno 2005 pari ad C 50.397,00, mai versato, neppure dopo la
notifica dell’avviso di accertamento.
Legale rappresentante della società al momento della presentazione della
dichiarazione (30 ottobre 2006) era un soggetto diverso dall’imputato, cui era
subentrato il 5 dicembre 2006 (e sino al giugno 2007, data delle sue dimissioni)
lo Stocco, che era pertanto l’amministratore allo spirare del termine per il
versamento dell’acconto IVA per l’anno 2006, scadente il 27 dicembre 2006. Ai
fini della fattispecie penale, il 27 dicembre 2006 era quindi il termine ultimo
entro il quale avrebbe dovuto essere eseguito il versamento dell’Iva dovuta per
l’anno 2005. Aveva sostenuto l’imputato di essere stato nella sostanza vittima di
un raggiro, poiché i precedenti soci ed amministratori della Cover s.r.l. non gli
avevano rappresentato la reale situazione debitoria della società, scoperta la
quale il prevenuto aveva deciso di rivendere le quote e fin dal gennaio 2007 era
di fatto uscito dalla società medesima, salvo formalizzare la cessazione dalla
carica di amministratore solo nel giugno 2007.
Il primo giudice disattendeva tuttavia la tesi difensiva, considerato che
l’imputato aveva acquistato le quote societarie ed aveva assunto la carica di
amministratore, potendo così prendere visione dei bilanci e sincerarsi
conseguentemente delle condizioni reali della società. Egli inoltre, pur avendo
asserito di essere stato turlupinato, si era ben guardato dal presentare denuncia
a carico dei precedenti amministratori.
2. Avverso la sentenza interponeva appello il difensore dell’imputato,
riproponendo la tesi difensiva già svolta in primo grado.
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 22 novembre 2012,
confermava la sentenza del tribunale di Bergamo e condannava l’appellante al
pagamento delle spese processuali.

8581/3 r.g.n

2

u.p. 9 ottobre 2013

Ritenuta la recidiva, lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione,

3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione
con due motivi con cui deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata.
La corte d’appello non avrebbe considerato che il ricorrente non aveva verificato
le scritture contabili e quindi doveva considerarsi in buona fede con conseguente
insussistenza dell’elemento soggettivo del contestato reato.
Inoltre il ricorrente si lamenta della mancata concessione delle attenuanti
generiche.
4. Il ricorso è inammissibile.

l’acquisto di quote della società e la conseguente assunzione della carica di
amministratore comportano, per comune esperienza, una minima verifica della
contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi. Ove ciò non
avvenga, è evidente che colui che subentra nelle quote e assume la carica si
espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da
pregresse inadempienze. Nel caso in esame, non si trattava di un debito verso
l’erario particolarmente remoto o nascosto, poiché si trattava dell’IVA dovuta
sulla base dell’ultima dichiarazione (presentata nello stesso anno 2006) e quindi
bastava, prima di acquistare le quote ed assumere la carica di amministratore,
chiedere di visionare la dichiarazione e l’attestato di versamento all’erario
dell’IVA a debito che la stessa evidenziava.
La Corte territoriale ha quindi escluso qualsivoglia raggiro o truffa
(peraltro mai denunciata) di cui potesse essere stato vittima lo Stocco, posto che
anche qualora il bilancio non evidenziasse “debiti verso l’erario”, l’ultima
dichiarazione (presentata nello stesso anno di subentro dello Stocco) evidenziava
il debito sulla base del quale è stata elevata l’imputazione. Non può parlarsi di un
addebito “colposo” poiché le verifiche in base alle quali lo Stocco era in grado di
apprendere che l’Iva emergente dalla dichiarazione non era stata versata e che
conseguentemente il termine ultimo sarebbe scaduto il 27/12/2006, erano invero
assai semplici e coincidevano con i minimi riscontri d’obbligo che debbono essere
eseguiti prima del subentro nella carica. In altre parole, si trattava di un debito
(con conseguente obbligo di versamento) risultante dall’ultima dichiarazione
fiscale e quindi facilmente costatabile. Ammesso che lo Stocco non avesse
eseguito neppure tale elementare riscontro, si tratterebbe comunque di un fattoreato addebitabile a titolo di dolo eventuale, quale sarebbe l’elemento psicologico
di colui che (in ipotesi) acquista quote sociali e diviene amministratore di una
s.r.l. senza alcun previo controllo di natura puramente documentale almeno sugli
ultimi adempimenti fiscali.
Quanto ai restanti motivi di gravame, la Corte territoriale ha
puntualmente motivato rilevando per ciò che concerne le attenuanti generiche,
858/13 r gn

3

up. 9 onobre 2013

La corte d’appello ha puntualmente motivato in proposito ritenendo che

che i precedenti penali (per pluralità e varietà di reati), uniti all’assenza di
elementi valorizzabili in senso positivo, non consentivano di accogliere la relativa
richiesta, peraltro del tutto generica

5. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.
Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria

delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00

PER QUESTI MOTIVI
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA