Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36353 del 23/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36353 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Machhour Hichen, nato in Tunisia il 30-01-1988
avverso la sentenza del 14-07-2014 del tribunale di milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
lette le conclusioni del Procuratore Generale che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

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Data Udienza: 23/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Hichen Machhour ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata
in epigrafe emessa dal tribunale di Milano, ai sensi dell’articolo 444 codice di
procedura penale, con la quale gli è stata applicata, su accordo delle parti, la
pena di mesi 8 di reclusione ed euro 2000 di multa per il reato previsto
dall’articolo 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 (ritenuta l’ipotesi di cui all’articolo
73, comma 5, stessa legge) perché deteneva sulla propria persona grammi 98,2

tempo, luogo e circostanze di detenzione doveva ritenersi destinata a fini di
cessione. In Milano il 4 luglio 2014.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza Hichen Machhour solleva, a
mezzo del difensore, un unico motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi dell’art.
173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la
motivazione.
Con esso il ricorrente eccepisce la nullità assoluta del procedimento e della
conseguente sentenza per violazione del diritto di difesa in relazione agli articoli
178, lettera c), e 179 codice di procedura penale (articolo 606, comma 1, lettera
c), codice di procedura penale).
Sostiene il ricorrente di aver nominato, all’atto dell’arresto, il proprio
difensore di fiducia il quale non è stato avvisato dell’avvenuto arresto e per di più
dell’udienza di convalida celebrata in data 5 luglio 2014, con la conseguenza che
la mancata conoscenza del processo fin dalla sua installazione avrebbe
comportato una gravissima violazione del diritto di difesa, essendo sempre
prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti
l’intervento, all’assistenza e la rappresentanza dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

2. Questa Corte ha stabilito che, in tema di udienza di convalida dell’arresto
in flagranza e del fermo, deve ritenersi “non reperito”, ai fini della nomina del
difensore d’ufficio, il difensore che non sia stato possibile rintracciare sulla base
delle informazioni disponibili ed a seguito di una seria ricerca (Sez. 4, n. 39274
del 25/09/2008, Proietti ed altro, Rv. 242180).
Nel caso di specie, risultano non soltanto i ripetuti tentativi telefonici di
avviso diretti a rintracciare il difensore di fiducia, ma anche dei ritardi provocati

2

di hashish in un unico panetto, sostanza stupefacente che per quantitativo,

dalla prolungata ricerca (il difensore d’ufficio è stato avvisato solo 4 ore dopo
l’arresto).
Ne consegue che la ricerca, eseguita dagli ausiliari del giudice per assicurare
all’indagato la difesa fiduciaria anche nel corso dell’udienza di convalida, deve
considerarsi “seria” e l’imputato è stato comunque posto in condizioni di godere
di una difesa tecnica mediante il difensore di ufficio, solo per irreperibilità di
quello di fiducia.
Peraltro, quest’ultimo, come risulta dal verbale, era presente all’udienza

richiesta delle parti e nulla ha eccepito riguardo alla precedente fase culminata
nella convalida dell’arresto, fase che – per la sua íncidentalità e per lo scopo
processuale cui è finalizzata (accertamento della legittimità dell’arresto eseguito
motu proprio

dalla polizia giudiziaria ed eventuale applicazione di misure

cautelari nel corso di processo di merito)—è, in ogni caso, indipendente sia dal
corso che dagli esiti del procedimento principale, fatti salvi gli atti (nulli o
inutilizzabili) che, formatosi nel corso dell’incidente cautelare, siano utilizzati in
quello principale.
Di ciò tuttavia non vi è alcuna doglianza nel motivo di ricorso.

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto
che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per
il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 23/04/2015

camerale nella quale è stato raggiunto l’accordo per l’applicazione della pena su

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