Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36340 del 23/07/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36340 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CEKA ERJOL N. IL 04/02/1989
avverso l’ordinanza n. 439/2015 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
02/04/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott GIACOMO ROCCH1 .
e/sentite le conckisioni del PG Dott.
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Data Udienza: 23/07/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Torino respingeva la
richiesta di riesame proposta da Ceka Erjol, Prendi Klodian e Simoni Paulini
avverso quella del G.I.P. del Tribunale di Asti di applicazione della misura della
custodia cautelare in carcere.
I tre cittadini albanesi sono indagati, insieme a Filipi Gjergi (latitante, non
ricorrente), per il delitto di tentato omicidio premeditato e aggravato dai futili

locale notturno, aveva negato loro l’accesso; Ceka Erjol, secondo l’imputazione,
aveva sferrato due fendenti all’addome della vittima con un grosso coltello da
cucina, mentre gli altri due lo avevano ripetutamente colpito al capo con
spranghe e bastoni; Gnoka era riuscito a reagire facendo perdere l’equilibrio al
Ceka e successivamente era stato soccorso e sottoposto ad intervento
chirurgico.
L’aggressione era stata descritta dalla persona offesa e dai due titolari
dell’esercizio; gli oggetti utilizzati per l’aggressione erano stati rinvenuti e
sequestrati.
I tre indagati erano stati successivamente individuati sulla base di differenti
elementi: Ceka Erjol sulla base dell’individuazione fotografica dei tre testimoni
(Gnoka, Rizzo e Cirneanu), di intercettazioni telefoniche, del controllo di tabulati
telefonici e del sequestro di un bastone; Prendi Klodian sulla base del
riconoscimento di Gnoka e Rizzo e del rinvenimento di un cellulare a lui
intestato; Filipi, che si era reso protagonista di un episodio simile alcuni giorni
prima, sulla base del riconoscimento di tutti e tre ì testimoni; Paulin Simoni sulla
base del riconoscimento di Gnoka e Rizzo e delle dichiarazioni di Tuncu (che lo
indicava come sempre presente insieme al Filipi).
Mentre Ceka e Simoni avevano negato di essere stati presenti sul posto,
Prendi aveva sostenuto di essersi trovato fuori dal locale a fumare, dì essersi
avvicinato al gruppo che litigava e di avere cercato di dividere i contendenti,
ricevendo un pugno dal buttafuori, in conseguenza del quale aveva perso i sensi.
Secondo il Tribunale sussistevano gravi indizi di colpevolezza per tutti e tre
gli indagati. Ceka era stato riconosciuto con certezza; inoltre, nelle conversazioni
che aveva avuto per telefono con il padrone di casa, egli aveva fatto esplicito
riferimento all’aggressione posta in essere; anche Simoni era stato
attendibilmente riconosciuto da Gnoka (che lo conosceva già) e Rizzo e, del
resto, aveva ammesso di essere stato frequentatore di quella discoteca (anche
se aveva negato di essere stato presente quella sera); secondo Gnoka, per di
più, Simoni sembrava il capo del gruppo; la versione di Prendi, infine, da una
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motivi e dal tempo di notte di Gnoka Artur che, addetto alla sicurezza di un

parte confermava che egli era presente allo scontro, dall’altra era del tutto priva
di riscontri quanto alla circostanza del suo arrivo separato e della sua pregressa
presenza nel locale, nonché del suo tentativo di dividere i contendenti; la sua
versione, comunque, veniva ritenuta inverosimile.
Il Tribunale riteneva corretta la qualificazione della condotta come tentato
omicidio, attesa l’idoneità a provocare la morte, l’uso di un coltello di notevoli
dimensioni, la reiterazione dei colpi e l’essere stati gli stessi indirizzati verso la
zona del corpo dove si trovavano organi vitali; si trattava, per di più, di azione

altri portavano con sé bastoni e spranghe. Tutti gli indagati avevano partecipato
consapevolmente all’azione violenta.
Secondo il Tribunale sussisteva il concreto pericolo di reiterazione di reati
della stessa specie; per di più, Ceka e Simoni sono soggetti pregiudicati o
comunque denunciati per gravi reati, mentre Prendi era stato segnalato per la
frequentazione di soggetti pregiudicati. Per Ceka sussisteva altresì il pericolo di
fuga.
Il Tribunale riteneva che unica misura adeguata fosse quella della custodia
in carcere, risultando inadeguata quella degli arresti domiciliarì, anche con il
braccialetto elettronico.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Ceka Erjol, deducendo violazione di
legge e vizio di motivazione.
La difesa aveva evidenziato che la natura e l’entità delle lesioni non erano
elementi univoci per la qualificazione giuridica della condotta come tentato
omicidio, tenuto conto che esse si erano risolte con una malattia di dieci giorni.
In un contesto di reciproca animosità non era possibile desumere in termini
univoci l’intenzionalità omicida degli indagati. La versione di una spedizione
punitiva messa in atto a seguito di un precedente rifiuto all’ingresso nel locale,
risalente ad alcuni giorni prima, era solo un’ipotesi investigativa, priva di
riscontri oggettivi, rispetto alla quale sussisteva una plausibile ricostruzione
alternativa quale quella di un diverbio tra gli avventori del locale e un addetto
alla sicurezza.
Il dolo alternativo non poteva ritenersi provato, così come non sussisteva il
concorso di persone nel reato, mancando un accertamento del movente comune.
Il ricorrente contesta l’attendibilità dell’individuazione fotografica, rimarca le
divergenze tra le dichiarazioni di Gnoka e quelle di Cirneanu.

In un secondo motivo il ricorrente deduce mancanza o manifesta illogicità di
motivazione sul punto delle esigenze cautelari. Il Tribunale aveva fatto

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previamente concordata, nella quale, non a caso, Ceka aveva il coltello, ma gli

riferimento a formule di stile, i precedenti penali di Ceka non erano definitivi, il
pericolo di fuga era insussistente, tenuto conto che Ceka era ritornato in Italia
volontariamente; altra misura coercitiva poteva essere ritenuta idonea.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

considerazioni in fatto già valutate dal Tribunale del riesame senza affatto
dimostrare la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
impugnato; ciò facendo, sollecita questa Corte a sovrapporre la propria
valutazione nel merito della vicenda a quella espressa dal Tribunale, operazione
preclusa in sede di legittimità.

In ogni caso, la motivazione dell’ordinanza impugnata dà ampio conto della
attendibilità del riconoscimento di Ceka come autore principale dell’aggressione
ai danni del buttafuori, e degli ulteriori elementi a carico del ricorrente, tra cui
quello davvero significativo del messaggio telefonico inviato a Miroglio (del tutto
ignorato in ricorso).
Il ricorrente si limita a riproporre la tesi della divergenza tra le dichiarazioni
di Gnoka e di Cerneanu che il Tribunale, in maniera assolutamente puntuale,
smentisce sulla base dell’analisi delle dichiarazioni della persona offesa.

L’ordinanza fornisce un quadro assai chiaro di un’aggressione previamente
concordata e niente affatto interpretabile come “zuffa”; chiarisce l’idoneità delle
ferite inferte a provocare la morte della persona offesa e individua in maniera
convincente l’animus necandi di Ceka Erjol e la sua condivisione da parte degli
altri aggressori.

La circostanza che le lesioni subite da Gnoka abbiano prodotto una malattia
di breve durata è ovviamente irrilevante: la scarsa entità (o anche l’inesistenza)
delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad
escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili
anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto
movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa
(Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014 – dep. 15/12/2014, Vaghi, Rv. 261702): ciò
che rileva è l’idoneità della condotta a provocare la morte e il dolo omicidiario.
Tenuto conto della condotta posta in essere dal ricorrente (una violenta

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1. Il ricorso è inammissibile: il ricorrente, infatti, si limita a riproporre

coltellata all’addome, oltre che una ferita al volto), la tesi del ricorrente di un
dolo non omicidiario o di un dolo eventuale è priva di qualsiasi consistenza; il
movente della condotta, poi, è del tutto irrilevante alla luce degli elementi
oggettivi evidenziati nell’ordinanza impugnata.

Anche le censure in punto di esigenze cautelari sono manifestamente
infondate.
Il Tribunale deduce il pericolo di reiterazione di reati dai precedenti giudiziari

a pochi mesi prima nella medesima città di Asti), nonché dalla gravità della
condotta, dalla futilità dei motivi e dalla mancanza di segni di resipiscenza.
Il ricorrente si limita a sostenere che egli non aveva riportato condanne
definitive per quei reati: ma il Tribunale non era affatto vincolato alla
irrevocabilità delle sentenze di condanna e, comunque, l’ordinanza sottolinea
che, per l’episodio della sparatoria, era ancora in corso una misura cautelare (a
dimostrazione della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza).

Il pericolo di fuga viene poi dedotto dalla fuga all’estero effettivamente
posta in essere, dalla manifestata volontà di eludere le investigazioni e da una
precedente condanna per evasione.
Il ricorrente si limita a segnalare di essere rientrato volontariamente in
Italia: ma – in mancanza di prova di una volontaria consegna agli inquirenti – il
rientro non dimostra affatto l’inesistenza di un pericolo di fuga, ben potendo
essere stato operato nell’ignoranza di una propria identificazione e dell’emissione
di una misura cautelare nei suoi confronti: cosicché, anche in questo caso,
nessuna manifesta illogicità della motivazione emerge.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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riportati da Ceka, di gravità indiscutibile (una rapina ed una sparatoria risalente

Trasmessa copia ex art. 23
n1 i ter L. 3-8-9k j. 332
Roma, lì

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spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 23 luglio 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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