Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3633 del 28/11/2014
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3633 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LI VOLSI GIUSEPPE N. IL 24/06/1973
avverso la sentenza n. 819/2012 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
09/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;
Data Udienza: 28/11/2014
1) Con sentenza del 9.4.2013 la Corte di Appello di Trieste confermava la sentenza del
Tribunale di Udine, emessa in data 6.10.2011, con la quale Li Volsi Giuseppe era stato
condannato per i reati di cui agli artt.110 c.p., 2 D.L.vo 74/2000 (capo a) e 5 D.L.vo
74/2000 (capo f) alla pena di mesi 8 di reclusione, da applicare in aumento sulla pena
inflitta con la sentenza 21.12.2010 del &IP del Tribunale di Udine.
Ricorre per cassazione l’imputato, denunciando la violazione di legge e la mancanza di
motivazione in riferimento alla determinazione dell’aumento di pena apportato ex
art.81 c.p..
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) Il ricorrente ripropone, in questa sede di legittimità, rilievi già correttamente
disattesi dalla Corte territoriale.
Questa ha, invero, adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per cui il
trattamento sanzionatorio non era suscettibile di alcuna modificazione in senso
favorevole all’imputato.
Ha infatti evidenziato che l’aumento di pena per la ritenuta continuazione risultava
assolutamente modesto e, comunque, proporzionato “alla non minima entità dei fatti, in
relazione al valore economico significativo delle illecite operazioni..” ed al grave
precedente penale specifico.
Il riferimento a tali elementi oggettivi e soggettivi giustifica sul piano argomentativo
il criterio seguito nell’esercizio del potere discrezionale.
Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, è necessaria soltanto se la pena
sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti
essere sufficiente a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art.133 c.p. le
espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” (cfr. Cass.pen. Sez. 2 n.36245 del
26.6.2009).
2.2) Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in euro
1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
E’ appena il caso di aggiungere che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità
di dichiarare la prescrizione, maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 28.11.2014
OSSERVA