Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3633 del 14/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3633 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 14/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di MARITANO Marco, nato a Rivoli
(TO) il 30.03.1975, attualmente detenuto per questa causa presso la
casa circondariale “X. e Cutugno” di Torino, rappresentato e
assistito dall’avv. Roberto Brizio, avverso l’ordinanza n. 6395/2013
del Tribunale di Torino Sezione del riesame in data 04.04.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del sostituto procuratore generale dott. Paolo
Canevelli, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio
del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1

1.

Con ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso
il Tribunale di Torino in data 21.03.2013, MARITANO Marco veniva
attinto dalla misura cautelare della custodia in carcere in quanto
gravemente indiziato della commissione di quattro rapine in
farmacia, l’ultima delle quali tentata ed ascritta altresì al coindagato
Nasca Alessio.

2.

Avverso detto provvedimento, nell’interesse di MARITANO Marco,

veniva proposto ricorso ex art. 309 cod. proc. pen. avanti al
Tribunale di Torino in funzione di giudice del riesame.
3.

Con ordinanza in data 04.04.2013, il Tribunale di Torino Sezione del
riesame, in parziale accoglimento del ricorso, annullava l’ordinanza
impugnata per carenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione a
tre delle quattro incolpazioni, mentre con riferimento all’ultima
incolpazione (la tentata rapina), previa esclusione delle aggravanti
dell’uso di un’arma e di cui all’art. 628, comma 3-bis cod. pen., la
misura cautelare in atto veniva confermata.

4.

Avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame di Torino,
nell’interesse di MARITANO Marco veniva proposto ricorso per
cassazione.
Nel gravame il ricorrente chiedeva:
di volersi dichiarare la nullità del provvedimento impugnato per
manifesta illogicità e contraddittorietà della relativa motivazione,
con conseguente revoca della misura cautelare in atto, per avere
nuovamente il giudice del riesame desunto la sussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, concernenti sol ar una delle
contestazioni elevate, sulla base di impianto accusatorio che, se
pure suggestivo, risultava solo apparentemente indiziante e,
oltretutto, difficilmente suscettibile di approfondimento d’indagini
a cura dell’Autorità requirente (artt. 606, comma 1 lett. e), 273,
comma 1, cod. proc. pen.);
– di volersi annullare, previa diversa e corretta qualificazione del
fatto di reato più grave originariamente ascritto, l’ordinanza
impugnata per erronea applicazione della legge penale (artt.
606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen., 56, 628 cod. pen., sub
specie

riconoscimento della causa di non punibilità della

desistenza) come pure per manifesta contraddittorietà ed
illogicità della motivazione risultante dallo stesso tenore del

2

provvedimento (art. 606, comma 1 lett. e cod. proc. pen.), con
conseguente richiesta di declaratoria di intervenuta inefficacia
della cautela in atto

In particolare, con riferimento al primo motivo, lamenta il ricorrente
come il Tribunale di Torino abbia adottato criteri assolutamente
presuntivi; se, invero, era plausibile che i due indagati si fossero
recati in zona per compiere un sopralluogo, nulla poteva escludere

che altro potesse essere il bersaglio dell’azione e che, di contro,
l’autore del tentativo dell’apertura della porta d’ingresso della
farmacia potesse essere stato un normale utente. Inoltre,
l’apprestamento di accorgimenti per il travisamento ovvero la
presenza della vettura ove in seguito vennero controllati il
MARITANO ed il coindagato, nei pressi della farmacia, non appariva
configurare un quadro indiziario sufficiente per inferire che univoci
fossero stati gli atti posti in essere per la perpetrazione della
condotta di reato ipotizzata.
Con riferimento al secondo motivo, si contesta la qualificazione
giuridica del fatto erroneamente sussumibile in quella di tentata

rapina (e non piuttosto in quella di furto) ed il mancato
apprezzamento della condotta di desistenza rispetto all’originario
proposito criminoso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è infondato e, come tale, va rigettato.
6. Anzitutto è necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di
questa Corte delle decisioni adottate dal giudice del riesame dei
provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce al giudice di legittimità alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate
(ivi compreso lo spessore degli indizi) né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato (ivi
compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate) trattandosi di apprezzamenti rientranti nel
compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del

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riesame.
Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto
all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il
testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo
e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di
legittimità:
1)

l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo

2)

hanno determinato;
l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle

argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento
(Cass. Sez. 6, n. 2146 del 25/05/1995-dep. 16/06/1995, rv.
201840; Cass. Sez. 1, n. 1700 del 20/03/1998-dep. 04/05/1998, rv.
210566).
7.

Con riguardo al tema dei limiti del sindacato di legittimità, delineati
dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., come vigente a
seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa
Corte Suprema ha ripetutamente affermato che la predetta novella
non abbia comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di
effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione
finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già
effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità
limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali
può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora
comporti il cd. travisamento della prova, purché siano indicate in
maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere
state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura
degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro
lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame
parcellizzato.

8.

L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
essere di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze
e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non

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espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed
adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal
senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise,
Cass. Sez. un., n. 24 del 24/11/1999, Spina, rv. 214794; Id., n. 12
del 31/05/2000, Jakani, rv. 216260; Id., n. 47289 del 24/09/2003,
Petrella, rv. 226074). A tal riguardo, devono tuttora escludersi la

possibilità di «un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed
atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi
imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi
ad essi relativi» (Cass. Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio,
rv. 233621; conforme, Cass. Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008,
Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il giudice di legittimità di
una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. Sez. 6, n. 27429 del
04/07/2006, Lobriglio, rv. 234559; Id., n. 25255 del 14/02/2012,
Minervini, rv. 253099).
9. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato
od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito
dell’apparato motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a
pena di inammissibilità (Cass. Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006,
Salaj, rv. 234115; Cass. Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano,
rv. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale
atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato
probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto
processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione;

5

(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”
all’interno

dell’impianto

argomentativo

del

provvedimento

impugnato;
(e)

nell’ipotesi che la prova omessa o travisata abbia natura

dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il

contenuto, non potendosi limitare ad estrapolarne alcuni brani,
giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di
apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni
e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Cass. sez.
4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, rv. 241023).
Di contro, il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606
cod. proc. pen., il compito di accertare (Cass. Sez. 6, n. 35964 del
28/09/2006, Foschini ed altro, rv. 234622; Cass. Sez. 3, n. 39729
del 18/06/2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; Cass. Sez. 5, n.
39048 del 25/09/2007, Casavola ed altri, rv. 238215):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d)

la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.

«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu °cui/ ed assuma
anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli
elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio
valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non
manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio).
10. Fermo quanto precede si osserva come il ricorrente abbia ripercorso,
in termini di assoluta genericità ed apoditticità, le medesime

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questioni sottoposte al giudice dell’impugnazione del merito ed alle
quali è stata data corretta e logica risposta.
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come il ricorso vada
rigettato. Con lo stesso non si denunciano infatti reali vizi di
legittimità, ma si censurano in concreto le valutazioni e gli
apprezzamenti probatori, operati dai giudici di merito, ed espressi
nel provvedimento impugnato con una giustificazione che risulta

completa, nonché fondata su argomentazioni giuridicamente
corrette, adeguate e coerenti, nonché indenni da vizi logici. Per
risalente giurisprudenza, eccede infatti dalla competenza della Corte
di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e
fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo
del giudice di merito.
Al riguardo non è superfluo evidenziare che, rilevare il vizio di
motivazione per erronea valutazione delle prove, significa
prospettare una diversa analisi del merito della causa e tanto non è
consentito in sede di legittimità. In tale modo, il ricorrente
contrasterebbe infatti il risultato dell’attività svolta dal giudice di
appello in ordine alla valutazione ed all’apprezzamento dei fatti e
delle risultante probatorie, attività il cui espletamento costituisce
prerogativa del giudice del merito. Spetta infatti solo a quest’ultimo
individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove,
controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze
istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione,
dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Il sindacato di
legittimità è limitato, invece, al riscontro estrinseco della presenza di
una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare
le ragioni della decisione e

l’iter

argomentativo seguito nel

provvedimento impugnato. Le doglianze avanzate avverso la
decisione di merito non meritano dunque accoglimento, poiché le
stesse si risolvono sostanzialmente nella richiesta di una lettura delle
risultanze probatorie del tutto ipotetica e comunque diversa da
quella data dal giudice del gravame e in un complessivo riesame di
merito del materiale probatorio non consentito in sede di legittimità.
Il tutto è perfettamente in linea con la costante giurisprudenza della

Suprema Corte secondo cui la deduzione con il ricorso per cassazione
di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al

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giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di
controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito;
risulta infatti del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione
ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo
giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze

degli atti di causa. Va infatti evidenziato come la Suprema Corte di
Cassazione più volte ha confermato tale principio stabilendo che, le
censure concernenti vizi di motivazione, per meritare accoglimento,
devono indicare quali siano i vizi logici che rendono del tutto
irrazionale il ragionamento decisorio e non possono risolversi in una
lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal
giudice di merito. Il preteso vizio di motivazione, può legittimamente
dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito,
sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di
punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili
d’ufficio, ovvero quando esiste insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della
decisione. Nel caso in questione, le valutazioni che il giudice di
appello ha operato delle risultanze istruttorie risultano congruamente
motivate in relazione a tutte le evidenze processuali emerse e sono
immuni da contraddizioni e vizi logici: dette valutazioni, in sostanza,
si risolvono in una opzione interpretativa del materiale probatorio
che si presenta del tutto ragionevole e, come tale, incensurabile in
questa sede.
11. Fermo quanto precede, si osserva come il provvedimento impugnato
fornisca congrua e logica motivazione alla ricostruzione dei fatti ed
all’individuazione del coinvolgimento negli stessi da parte del
MARITANO avendo riconosciuto come quest’ultimo, unitamente al
coindagato Nasca, avesse tentato di introdursi nella farmacia,
desumendo tale conclusione dal fatto che i due fossero stati colti
mentre si allontanavano dal luogo del fatto avendo ancora addosso
gli indumenti necessari per compiere l’impresa criminosa (a partire
dai guanti di lattice), il tutto associato alla circostanza, non meno
certa, della presenza dell’autovettura del Nasca sul luogo del fatto al

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momento del compimento dell’azione criminosa nonché in fasi
precedenti, ampiamente compatibili con l’effettuazione di un
sopralluogo. Inoltre, evidenzia il Tribunale di Torino come
l’allontanamento ingiustificato e frettoloso dal luogo senza attendere
l’apertura della porta del negozio ovvero la comparizione di
qualcuno, il preventivo accurato travisamento e l’uso dei guanti di
lattice costituivano circostanze chiare della volontà di compiere

agendo indisturbati all’interno dell’esercizio in presenza di altri
soggetti costretti all’inazione da una minaccia in atto: minaccia che,
a detta del Tribunale di Torino, ben poteva essere costituita dalla
mera presenza di individui che manifestano con il loro
comportamento un’intenzione palesemente ed oggettivamente
aggressiva firializz.ata a uonbeguii e un obbiettivo

altrettanto

palesemente illecito a qualunque costo imposto ai danni di soggetti
non in grado di poter rifiutare di subire l’aggressione. Infine, con
riferimento all’invocata desistenza, il provvedimento impugnato
motiva congruamente evidenziando come l’ostacolo costituito dalla
chiusura anticipata della porta d’ingresso dell’esercizio costituiva un
impedimento imprevisto ed insormontabile, come tale inconciliabile
con un’ipotizzata condotta volontaria, indispensabile per la
configurabilità della desistenza.
12. Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deliberato in Roma il 14.1.2014

l’azione criminosa, correttamente qualificata come di tentata rapina,

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