Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36326 del 30/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36326 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VALLE FORTUNATO N. IL 06/07/1962
avverso l’ordinanza n. 43/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
18/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
exu
lette/sriTtite le conclusioni del PG Dott. f :Q.A.
(_9

Uditi difensor Avv.;

GU4-t.

Data Udienza: 30/06/2015

Ritenuto in fatto.

1.11 18 dicembre 2014 la Corte d’appello di Milano rigettava la dichiarazione di
ricusazione presentata il 24 maggio 2013 da Fortunato Valle nei confronti del dott.
Luigi Martino, Presidente del Collegio della quarta sezione penale della Corte
d’appello di Milano, investito della cognizione del procedimento penale n.

associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alla commissione di
delitti contro il patrimonio, la libertà individuale, all’acquisizione, diretta e
indiretta, alla gestione e al controllo di attività economiche soprattutto nel settore
edilizio, immobiliare, della ristorazione, all’acquisizione di appalti privati,
all’ostacolo del libero esercizio del diritto di voto, nonché di diversi episodi di usura
ed estorsione. In relazione a tali delitti l’imputato è stato condannato in primo
grado dal Tribunale di Milano.
2.La Corte osservava che non sussistevano i presupposti per l’accoglimento
della ricusazione, atteso che i fatti oggetto del processo pendente dinanzi alla Corte
d’appello di Milano erano sostanzialmente diversi da quelli (associazione per
delinquere finalizzata alla commissione di reati di usura) per i quali Fortunato Valle
era già stati in precedenza separatamente giudicato dal Collegio della quarta sezione
penale della Corte d’appello di Milano, presieduto dal dott. Luigi Martino, ed era
stata pronunziata, il 4 marzo 2008, sentenza n. 963/2008 ai sensi dell’art. 599,
comma 4, c.p.p.
Rilevava, inoltre, che la sentenza pronunciata dal dott. Martino nei confronti di
Fortunato Valle in data 4 marzo 2008 atteneva a fatti commessi dagli anni ’90 fino
al 2002, dunque risalenti ad oltre cinque anni prima dei reati contestati a Fortunato
Valle nel procedimento penale pendente dinanzi alla Corte d’appello di Milano,
sezione quarta penale, presieduta dal dott. Martino, fatti contestati come commessi
dal 2006 al 2009.
Riteneva irrilevante la circostanza che parte offesa del reato di usura contestato
al capo 10) del procedimento nei confronti di Francesco Valle e Antonio Spagnuolo
fosse la stessa persona in danno della quale risultava consumato il delitto di usura
contestato nel procedimento in corso, trattandosi di fatti diversi che si assumono
commessi da soggetti diversi.

1

835/2013 R.G. App., nell’ambito del quale Fortunato Valle é imputato del delitto di

Evidenziava, poi, che la data di consumazione del reato di usura contestato al
capo 10) non poteva esplicare alcuna influenza sull’epoca di realizzazione del già
giudicato reato di associazione di stampo mafioso, oggetto di sentenza passata in
giudicato nell’ambito della quale il giudici osservavano testualmente che, “pur
essendo stato contestata, quale data iniziale dell’associazione, quella del 1997,
tuttavia il periodo che può essere preso in considerazione decorre dal 2002, per

La Corte d’appello di Milano aggiungeva che, nell’ambito del procedimento n.
5709/06, a Fortunato Valle viene contestato il delitto di associazione a delinquere
finalizzata alla commissione di reati di usura, mentre nel procedimento in corso
viene contestato il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso.
Sottolineava che i reati contestati a Francesco Valle e Antonio Spagnuolo hanno
in comune, rispetto al delitto di usura per il quale Fortunato Valle è stato giudicato
con sentenza emessa a norma dell’art. 599, comma 4, c.p.p., unicamente la parte
lesa, ma riguardano imputati diversi e un episodio differente sia da un punto di vista
oggettivo che sotto un profilo temporale.
La Corte argomentava, infine, che il dott. Martino, con la sentenza pronunziata
ai sensi dell’art. 599, comma 4, c.p.p., si era limitato a prendere atto della rinunzia
ai motivi da parte di Fortunato Valle e della insussistenza di cause di
proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., ma non aveva in alcun modo accertato
la fondatezza della contestazione ex art. 416 c.p.p., preclusa dall’intervenuta
rinunzia al relativo motivo d’appello.
3.Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite
il difensore di fiducia, Fortunato Valle, il quale formula le seguenti censure.
Lamenta violazione di legge per omesso avviso dell’avviso di fissazione
dell’udienza camerale al difensore di fiducia nominato dal ricorrente il 9 dicembre
2014 con contestuale revoca dei due precedenti legali di fiducia, avv. Oreste
Dominioni e Camilla Rosa.
Deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 34, comma 2, e 37,
comma 1, c.p.p., così come modificati a seguito delle pronunce della Corte
Costituzionale e illogicità della motivazione in relazione alle ragioni poste a base
del rigetto dell’istanza. Rileva che, nel presente giudizio, sono state acquisite e
hanno contribuito a fondare il giudizio sulla sussistenza della contestata
associazione per delinquere di stampo mafioso le sentenze emesse il 22 marzo
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effetto del giudicato”.

2005, all’esito di giudizio abbreviato, dal gup del Tribunale di Vigevano e il 4
marzo 2008 dalla Corte d’appello di Milano – di cui faceva parte il dott. Martino pronunziata, ai sensi dell’art. 599 c.p.p. nei confronti, tra gli altri, di Fortunato
Valle. Osserva che tutte le parti motive della sentenza del Tribunale di Milano n.
8629/2012, dedicate alla tematica della sussistenza dell’associazione per delinquere
di stampo mafioso, riprendono e apprezzano i medesimi fatti giudicati dall’Autorità

Lamenta il travisamento dell’episodio di usura con apparente parte offesa
Pecoraro che, a prescindere dalla diversa strutturazione dell’addebito, è identico nei
due procedimenti e il mancato esame dei capi 41) della rubrica, definito in appello
con la sentenza n. 963/2008), e n. 7) del procedimento attuale, in tema di esercizio
abusivo del credito, anch’essi identici.

Osserva in diritto.

Il ricorso non è fondato.
1.In merito alla prima censura in rito il Collegio, previo esame degli atti,

consentito trattandosi di denuncia di error in procedendo (Sez. Un. 31 ottobre
2001, ric. Policastro), rileva che la stessa è priva di pregio.
Il decreto di fissazione dell’udienza camerale è stato emesso il 22 novembre
2014 e il relativo avviso è stato ritualmente dato ai due difensori di fiducia che, in
quel momento, assistevano Fortunato Valle, ossia l’avv. Oreste Dominioni e
l’avv. Camilla Rosa.
Il 9 dicembre 2014 Fortunato Valle revocava i due difensori di fiducia. 11 18
dicembre 2014 Valle, nel confermare la revoca dei due legali di fiducia, designava
quale suo difensore di fiducia l’avv. Manlio Morcella.
All’udienza camerale celebrata il 18 dicembre 2014 dinanzi alla Corte
d’appello di Milano partecipava l’avv. Camilla Rosa, la quale dichiarava di essere
presente anche in sostituzione dell’avv. Oreste Dominioni.
Tanto premesso in fatto, è evidente l’insussistenza della dedotta violazione di
legge.
L’avviso di fissazione dell’udienza deve essere effettuato al difensore di
fiducia dell’imputato che rivestiva tale qualità all’atto della fissazione
dell’udienza e non anche all’avvocato che acquisti solo successivamente tale
veste, in quanto con l’emissione dell’avviso si cristallizza la situazione
3

giudiziaria di Vigevano e da quella milanese.

processuale relativa agli adempimenti di cancelleria (Sez. U, n. 8 del 06/07/1990,
dep. 26/09/1990, Scarpa, Rv. 185438; Cass., sez. 2, n. 16942 del 29/03/ 2001,
dep. 26/04/2001, Peerpetal, Rv. 218881; Cass., sez. 1, n. 4736 del 19/12/2002,
dep. 31/01/2003, Amico, Rv. 223172; Cass., sez, 6, n. 18360 del 24/02/ 2003,
dep. 17/04/2003, D’Ottavi, Rv. 225895; Cass., sez. 5, n. 48088 dell’8/11/2004,
dep. 14/12/2004, Stefanelli, Rv. 230511; Cass, sez. 1, n. 19442 del 23/04/2008,

successivamente alla notificazione dell’avviso di udienza, il difensore scelto
dall’imputato ha il diritto di intervenire alla stessa, ma non di essere avvisato,
spettando al suo assistito informarlo della relativa data (Sez. U., 26 marzo 2015,
Maritan).
Nel caso di specie, quindi, nessun avviso era dovuto all’avv. Morcella,
nominato da Fortunato Valle in epoca successiva alla fissazione dell’udienza
camerale.
2.Anche le ulteriori censure sono prive di pregio.
A seguito della declaratoria di parziale illegittima dell’art. dell’art. 37, comma
1, c.p.p., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il
giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia
espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo
stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto (cfr. Corte Costituzionale
sentenza n. 283 del 2000), è stata introdotta nell’ordinamento giuridico una nuova
causa di ricusazione. Nell’ambito della predetta sentenza la Consulta ha
argomentato che è affidato all’elaborazione giurisprudenziale il compito di
definire i vari casi di applicazione della predetta causa di ricusazione, così come è
avvenuto per le altre cause di astensione e ricusazione già previste dal codice. Con
tale affermazione la Corte Costituzionale non ha invitato il giudice ordinario ad
un’interpretazione estensiva dei casi di ricusazione, ma ha soltanto ribadito che
egli deve individuare i casi concreti di ricusazione, nell’ambito del quadro
generale delineato dalla legge.
Sulla base di questa premessa generale è evidente che, affinché sussista
l’ipotesi di ricusazione sopra richiamata. occorre che vi sia stata una precedente
valutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti dello stesso soggetto.
3.11 provvedimento impugnato, con motivazione esauriente, immune da vizi
logici e giuridici, ha messo in luce una serie di elementi obiettivi, idonei a
4

dep. 15/05/2008, Errante, Rv. 240289). Pertanto, in caso di nomina formalizzata

dimostrare l’insussistenza dei presupposti per l’ accoglimento della richiesta di
ricusazione.
La sentenza pronunziata dal Collegio (composto, tra gli altri, dal dott.
Martino) della Corte d’appello di Milano in data 4 marzo 2008 nell’ambito del
proc. pen. n. 5709/2006 riguarda un’associazione per delinquere finalizzata alla
commissione di resati di usura e, quindi, fatti diversi da quelli oggetto del

commessa in un diverso arco temporale e finalizzata alla commissione di una
pluralità di reati contro il patrimonio, la libertà individuale estorsioni, usura,
abusivo esercizio di attività finanziaria, intestazione fittizia di beni, frodi
attraverso l’esercizio di videogiochi, nonché all’acquisizione e al controllo di
attività economiche, in particolare nel settore edilizio, immobiliare, della
ristorazione, ad acquisire appalti, ad ostacolare il libero esercizio del voto..
E’ indiscutibile, come evidenziato nel provvedimento impugnato, la totale
diversità delle due contestazioni, riconducibili a distinte fattispecie incriminatrici,
contraddistinte da piena autonomia e differenza dei rispettivi elementi costitutivi.
In tale contesto è stata, altresì, ritualmente richiamata la diversa epoca di
consumazione degli illeciti.
La Corte d’appello, con puntuale richiamo dei principali passaggi
argomentativi delle sentenze, ha spiegato, con motivazione coerentemente
sviluppata in adesione ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, le
ragioni per le quali i brani estrapolati dalla difesa sulla evoluzione criminale del
gruppo Valle non hanno comportato la conoscenza e la valutazione del medesimo
materiale probatorio nei distinti processi, e ha in proposito correttamente
richiamato la circostanza che le considerazioni sul rapporto tra i delitti ex artt. 416
e 416 bis c.p. rappresentavano la risposta alle difese degli imputati che avevano
posto la questione per dimostrare l’insussistenza degli elementi costitutivi del
delitto di associazione mafiosa e sollecitavano la diversa qualificazione giuridica
del fatto ai sensi dell’art. 416 c.p.
La motivazione è, all’evidenza, esente da censure anche nella parte in cui ha
messo in luce l’ontologica differenza esistente tra il delitto di abusivo esercizio di
attività finanziarie e quello di usura, la diversità dei vari episodi di usura
contestati nei distinti processi a soggetti diversi – episodi tutti tenuti presenti nel
contesto argomentativo – e l’irrilevanza, in tale ottica, della coincidenza della
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successivo processo, avente ad oggetto un’associazione di stampo mafioso,

parte offesa rispetto ad alcuni fatti realizzati in tempi non coincidenti. In tale
prospettiva è stato giustamente rilevato che nel procedimento definito in primo
grado, all’esito di giudizio abbreviato, dal gup del Tribunale di Vigevano e deciso
in appello con la sentenza del 4 marzo 2008, Fortunato Valle era imputato del
delitto di usura in danno di Roberto Pecoraro, commesso in S. Pietro all’Olmo tra
marzo e aprile del 1999, mentre nel processo in corso Francesco Valle e Antonio

aggravato ai sensi dell’art. 7 1. n. 203 del 1991, commesso in danno di Roberto
Pecoraro in Milano dal 1999 al 2001 (capo 10),
L’ordinanza della Corte d’appello di Milano è immune da vizi logici e
giuridici anche nella parte in cui ha argomentato che la sentenza pronunziata il 4
marzo 2008 è stata emessa ai sensi dell’art. 599 c.p.p. e, quindi, non ha
comportato alcun esame del merito del thema probandum a seguito della rinuncia
a tutti i motivi d’appello, salvo quelli inerenti il trattamento sanzionatorio e che
l’ambito della valutazione ex art. 129 c.p.p. ha come esclusivo parametro di
valutazione l’insussistenza, sulla base degli atti, delle condizioni legittimanti il
proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p., non essendo il giudice tenuto ad
affrontare il pieno merito della responsabilità penale secondo i canoni di
valutazione imposti dall’art. 530 c.p.p. (v. tra le altre Sez. U., n. 36847 del 26
giugno 2014; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995; Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992).
L’ordinanza ha correttamente argomentato l’irrilevanza, nella prospettiva di
cui all’art. 37 c.p.p., della identità della persona fisica che è parte lesa del delitto
di usura – contestato al capo 10 del processo in corso nei confronti di persone
diverse (Francesco Valle e Antonio Spagnuolo ) dall’odierno ricorrente – e altresì
del delitto del processo in corso, sottolineando la diversità dei fatti e la loro
ascrivibilità soggettiva a imputati diversi
Il provvedimento impugnato è pure, all’evidenza, esente da censure nella parte
in cui ha messo in luce l’irrilevanza, rispetto al giudicato formatosi in ordine al
delitto di associazione mafiosa, dell’epoca di commissione del reato di cui al capo
10 (dal 1999 al 2001), di per sé inidoneo a incidere, modificandola, sull’epoca di
realizzazione del reato ex art. 416-bis c.p.
Sulla base di quanto sin qui esposto è possibile affermare che, oltre alla non
identità dei soggetti imputati nei distinti processi, non sussiste neppure l’identità
del “fatto”, inteso, ai fini dell’applicazione dell’art. 37 c.p.p., come
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Spagnuolo sono chiamati a rispondere, in concorso fra loro, del delitto di usura,

corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in
tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso casuale) e con riguardo
alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. Un., 28 giugno 2005, n.
34655; Sez. I, 21 aprile 2006, n. 19787; Sez. II, 18 aprile 2008, n. 21035).
Né, d’altra parte, possono trovare ingresso in questa sede mirate e parziali
estrapolazioni degli atti processuali relativi ai diversi procedimenti trattati nei

fatti – già apprezzati in sede di cognizione — funzionale a suffragare l’istanza di
ricusazione di cui non ricorrono i presupposti.
4.Le norme sulla ricusazione, derogando in nome dell’imparzialità al principio
del giudice naturale, non ammettono interpretazione estensiva o analogica, e,
quindi, non autorizzano una lettura degli artt. 36 e 37 c.p.p., che pretenda di
assimilare interessi emergenti dal caso concreto – non espressamente considerati
dall’ordinamento – a quelli oggetto di specifica regolamentazione.
In conformità con i principi espressi dalla Corte Costituzionale (cfr. in
particolare, ordinanza n. 368 del 2000 e sentenza n. 283 del 2000), correttamente
richiamati nel provvedimento impugnato, è, quindi, possibile affermare che la
funzione pregiudicante può essere ravvisata non già in qualsiasi attività
processuale precedentemente svolta dallo stesso giudice nel medesimo o in altro
procedimento penale, a carico dello stesso imputato, bensì soltanto in una
valutazione di merito espressa dal giudice, sia sulla sussistenza del medesimo
fatto-reato, sia sulla colpevolezza dello stesso imputato. E’, pertanto evidente che,
i prospettati presupposti di ricusazione evocati dalla difesa esulano, nel caso in
esame, da quelli tassativamente previsti dall’ordinamento, non avendo il giudice
ricusato espresso il proprio giudizio contenutistico di merito in una precedente
decisione sugli stessi fatti-reato, relativamente ai medesimi imputati.
5.A1 rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al
amento delle spese processuali.

P.Q.M.
‘Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma, il 30 giugno 2015.

confronti di Fortunato Valle al fine di sollecitare una diversa ricostruzione dei

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