Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36318 del 23/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36318 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Onori Romeo, nato il 13/02/1955;

Avverso l’ordinanza n. 1074/2014 emessa il 06/08/2014 dal G.I.P. del
Tribunale di Roma;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Giulio
Romano, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza
impugnata;

Data Udienza: 23/06/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 06/08/2014 il G.I.P. del Tribunale di Roma,
quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza formulata nell’interesse di
Romeo Onori, ai sensi degli artt. 666 e 673 cod. proc. pen., finalizzata a ottenere
la rideterminazione della pena originariamente inflitta all’esecutato con sentenza
emessa dallo stesso organo giurisdizionale, divenuta irrevocabile, quantificata in
anni tre, mesi otto e 17.000,00 euro di multa, per la detenzione di 911,50

commessi fino al 23/07/2011.
Il rigetto dell’istanza, in particolare, veniva giustificato sul presupposto che
la pena irrogata all’esecutato, così come computata tenendo conto della pena
base per il reato oggetto di contestazione, anche a seguito della sentenza della
Corte costituzionale 11 febbraio 2014, n. 32, rientrava nei limiti della pena
edittale.

2. Avverso tale ordinanza veniva proposto ricorso per cassazione, a mezzo
dell’avv. Domenico Lombardo, con cui si eccepiva la nullità dell’ordinanza
impugnata per violazione ed erronea applicazione della legge penale.
Si deduceva che, nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione non doveva
necessariamente rideterminare la pena partendo dall’attuale minimo edittale, ma
doveva comunque applicare un criterio di proporzionalità della sanzione irrogata
a Romeo Onori, tenendo conto del fatto che, pur non potendo entrare nel merito
della vicenda processuale, non poteva limitarsi a calcolare la pena tenendo conto
dei parametri edittali previsti dall’attuale normativa.
Si deduceva, inoltre, l’erronea applicazione della legge processuale penale,
con specifico riferimento agli artt. 666, 673, 178, lett. c), 179 cod. proc. pen.,
conseguente al fatto che il provvedimento impugnato era stato adottato de
plano, in violazione del procedimento applicabile nel caso di specie che imponeva
l’instaurazione di un contraddittorio partecipato tra le parti processuali.
Per queste ragioni, l’ordinanza impugnata doveva essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

In via preliminare, deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata risulta

adottata de plano, in violazione delle formalità previste a pena di nullità assoluta
dall’art. 666 cod. proc. pen., che impone lo svolgimento del procedimento
esecutivo nel contraddittorio delle parti, a pena di nullità, rilevante ai sensi
dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen.
2

grammi di marijuana e la cessione di vari quantitativi di cocaina e marijuana,

Infatti, il procedimento esecutivo deve sempre svolgersi, previo avviso alle
parti e ai difensori, con la partecipazione del pubblico ministero e con
l’obbligatoria assistenza del difensore, sia esso di fiducia o d’ufficio, ai fini della
regolare instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che qualora il giudice
dell’esecuzione abbia, invece, omesso di fissare l’udienza in camera di consiglio e
abbia adottato un provvedimento de plano fuori dei casi espressamente stabiliti,
si determina una nullità di ordine generale e di carattere assoluto, rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt. 178 e 179

3, n. 11421 del 29/01/2013, Prediletto, Rv. 254939).
Nel caso di specie, la patologia processuale da cui risulta affetto il
provvedimento impugnato è incontestabile, alla luce della giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui: «È affetta da nullità l’ordinanza con cui il giudice
dell’esecuzione, anziché decidere nel contraddittorio camerale con l’osservanza
delle formalità di cui all’art. 666 commi terzo e quarto cod. proc. pen., si
pronunci, al di fuori delle ipotesi di inammissibilità per manifesta infondatezza o
mera riproposizione di richiesta già rigettata, contemplate dallo stesso articolo,
“de plano”» (cfr. Sez. 3, n. 3550 del 20/06/2007, Manzo, Rv. 237529).

2. Il rilievo di cui al punto che precede risulta assorbente rispetto alla

doglianza riguardante la disciplina applicabile nelle ipotesi in cui si procede per il
reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, dopo la sentenza della Corte
costituzionale n. 32 del 2014, con cui veniva dichiarata l’incostituzionalità degli
artt. 4 bis e 4 vicies del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, pur imponendo di
richiamare succintamente i principi di diritto affermati da questa Corte, ai quali in
sede di rinvio ci si dovrà conformare.
Com’è noto, questa pronunzia della Corte costituzionale aveva eliminato con
efficacia ex tunc la disciplina che aveva introdotto un trattamento più severo per
lo spaccio delle cosiddette droghe leggere, ripristinando il più mite trattamento
sanzionatorio previgente.
Sulle conseguenze applicative di questa pronunzia si determinava un
contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte che imponeva l’intervento
delle Sezioni unite (cfr. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260700).
La questione che era stata demandata alle Sezioni unite, originariamente,
scaturiva dall’interpretazione della sentenza della Corte costituzionale 5
novembre 2012, n. 251, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 69 cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza
dell’attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Tuttavia, in tale ambito, compulsate sulle conseguenze derivanti dal suddetto
3

cod. proc. pen. (cfr. Sez. 3, n. 46786 del 20/11/2008, Bifani, Rv. 242477; Sez.

intervento della Corte costituzionale in sede esecutiva, le Sezioni unite si
pronunciavano anche sulle conseguenze della sentenza n. 32 del 2014, nel
frattempo sopravvenuta, affermando i principi di diritto, qui di seguito,
sinteticamente richiamati
Le Sezioni unite, sulle conseguenze sistematiche prodotte dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 32 del 2014, affermavano che, in questo caso,
l’esecuzione della pena è illegittima sia sotto il profilo oggettivo, in quanto
derivante dall’applicazione di una norma dichiarata incostituzionale dopo il

almeno per una parte, non può essere positivamente finalizzata alla rieducazione
del condannato imposta dall’art. 27, comma 3, Cost. Infatti, l’illegittimità della
pena irrogata ostacola il perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché viene
avvertita come ingiusta da chi la subisce, per essere stata ma imposta da un
legislatore che ha violato la costituzione (cfr. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014,
Gatto, cit.).
Sulla scorta di questa ricostruzione, qui sinteticamente richiamata, le
Sezioni unite affermavano il seguente principio di diritto: «Successivamente a
una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d’illegittimità
costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a
mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena,
che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell’esecuzione» (cfr.
Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, cit.).

3. Per questi motivi, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza
rinvio; consegue la trasmissione degli atti al G.I.P. del Tribunale di Roma per
l’ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al
G.I.P. del Tribunale di Roma per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23 giugno 2015.

passaggio in giudicato della sentenza, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto,

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