Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36317 del 23/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36317 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) De Iuliis Fabio, nato il 03/07/1970;

Avverso l’ordinanza n. 795/2014 emessa il 09/07/2014 dal G.I.P. del
Tribunale di Roma;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Giulio
Romano, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza
impugnata;

Data Udienza: 23/06/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 09/07/2014 il G.I.P. del Tribunale di Roma,
quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza formulata nell’interesse di Fabio
De Iuliis, ai sensi degli artt. 666 e 673 cod. proc. pen., con la quale si chiedeva
la rideterminazione della pena originariamente inflitta all’esecutato con la
sentenza emessa dallo stesso organo giurisdizionale il 26/09/2012, divenuta
irrevocabile, quantificata in anni due e mesi otto di reclusione e 13.000,00 euro

Si riteneva, infatti, che la pena irrogata al De Iuliis doveva ritenersi legale,
rientrando nei parametri edittali prevista dalla norma dell’art. 73 del d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309, così come riconfigurata dalla sentenza della Corte
costituzionale 11 febbraio 2014, n. 32.
Tali ragioni imponevano il rigetto dell’istanza.

2. Avverso tale ordinanza l’esecutato ricorreva per cassazione, a mezzo
dell’avv. Flavio Rossi Albertini, deducendo la nullità dell’ordinanza impugnata per
violazione ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del
1990.
Si deduceva, in particolare, che il giudice dell’esecuzione non doveva
necessariamente rideterminare la pena sulla base degli attuali parametri edittali,
ma doveva comunque applicare un criterio di proporzionalità della sanzione
irrogata al De Iuliis, tenendo conto del fatto che, pur non potendo entrare nel
merito della vicenda processuale, non poteva non rivalutare il trattamento
sanzionatorio irrogato alla luce dell’attuale normativa.
In questi termini, la sanzione irrogata al De Iuliis doveva ritenersi
illegittima, atteso che la pena base veniva calcolata tenendo conto di parametri
edittali che non si sarebbero dovuti applicare laddove fossero stati rispettati dal
legislatore i principi costituzionali risultati violati con la sentenza della Corte
costituzionale n. 32 del 2014.
Per queste ragioni, l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione doveva
essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato,
In via preliminare, deve rilevarsi che l’istanza proposta nell’interesse di
Fabio De Iuliis pone il problema della disciplina applicabile nelle ipotesi in cui si
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di multa.

procede per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, dopo la sentenza
della Corte costituzionale n. 32 del 2014, con cui veniva dichiarata
l’incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, in
quanto ritenuti in contrasto con i principi di ragionevolezza, uguaglianza e
proporzionalità della pena.
Com’è noto, questa pronunzia della Corte costituzionale aveva eliminato con
efficacia ex tunc la disciplina che aveva introdotto un trattamento più severo per
lo spaccio delle cosiddette droghe leggere, ripristinando il più mite trattamento

Sulle conseguenze applicative di questa pronunzia si determinava un
contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte che imponeva l’intervento
delle Sezioni unite (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014, P.M. in proc. Gatto,
Rv. 260700).
La questione che era stata demandata alle Sezioni unite, originariamente,
scaturiva dall’interpretazione della sentenza della Corte costituzionale 5
novembre 2012, n. 251, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 69 cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza
dell’attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Tuttavia, in tale ambito, compulsate sulle conseguenze derivanti dal suddetto
intervento della Corte costituzionale in sede esecutiva, le Sezioni unite si
pronunciavano anche sulle conseguenze della sentenza n. 32 del 2014, nel
frattempo sopravvenuta, affermando i principi di diritto, qui di seguito,
sinteticamente richiamati
Le Sezioni unite, innanzitutto, sulle conseguenze sistematiche prodotte dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, affermavano che, in questo
caso, l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo
oggettivo, in quanto derivante dall’applicazione di una norma di diritto penale
sostanziale dichiarata incostituzionale dopo il passaggio in giudicato della
sentenza, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non
può essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta
dall’art. 27, comma 3, Cost. Infatti, l’illegittimità della pena irrogata costituisce
un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché viene avvertita
come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già determinata dal
giudice nell’esercizio dei suoi legittimi poteri giurisdizionali, ma imposta da un
legislatore che ha violato la costituzione (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014,
P.M. in proc. Gatto, cit.).
Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, qui succintamente
richiamata, le Sezioni unite affermavano il seguente principio di diritto:
«Successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione
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sanzionatorio previgente.

d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma
incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la
rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del
giudice dell’esecuzione» (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014„ P.M. in proc.
Gatto, Rv. cit.).

2.1. A questo intervento chiarificatore ne seguiva un secondo, che
riguardava le ipotesi in cui si discuteva dell’esecutività di una sentenza

cod. proc. pen., assimilabili a quella che si sta considerando in questa sede
processuale (cfr. Sez. un., n. 42858 del 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon,
informazione provvisoria).
In presenza di tali condizioni processuali, occorreva tenere conto dei
parametri ermeneutici affermati nel recente arresto giurisprudenziale delle
Sezioni unite, le quali intervenivano sulla questione, proposta dalla Sezione
penale terza, con ordinanza di rimessione adottata il 18/03/2014, nei seguenti
termini: «Se la pena applicata su richiesta delle parti per delitti previsti dall’art.
73 d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia
divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del
2014 debba essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione».
Si tratta di condizioni processuali che sono certamente ricorrenti nel caso di
specie, tenuto conto del fatto che veniva applicata al De Iuliis ex art. 444. cod.
proc. pen. la pena di anni due e mesi otto di reclusione e 13.000,00 euro di
multa, assumendo come pena base quella di anni sei di reclusione e 26.000,00
euro di multa (cfr. Sez. un., 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon, cit.).
Nel caso in esame, infatti, ci si trova di fronte a un’ipotesi in cui la forbice
sanzionatoria di cui le parti tenevano conto nella formulazione di una richiesta di
pena ex art. 444 cod. proc. pen., prevedeva la pena della reclusione tra sei e
venti anni di reclusione e della multa tra 26.000,00 euro e 260.000,00 euro. Si
assumeva, dunque, come pena base il minimo della pena della reclusione
prevista dalla norma successivamente dichiarata incostituzionale, che
corrispondeva al massimo edittale della pena prevista dalla norma ripristinata
dopo l’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014.
A tale questione ermeneutica le Sezioni unite fornivano una risposta
soluzione positiva, precisando che, in questi casi, la pena deve essere
rideterminata attraverso una vera e propria rinegoziazione dell’accordo
precedentemente intervenuto, che dovrà essere ratificato dal giudice
dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione, dunque, viene coinvolto nella
decisione della questione attraverso l’incidente di esecuzione attivato dal
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intervenuta su concorde richiesta delle parti processuale ai sensi dell’art. 444

condannato ovvero dal pubblico ministero e in caso di mancato accordo – ovvero
di esito negativo della rinegoziazione effettuata tra le parti – provvederà alla
rideterminazione della pena in base ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.
(cfr. Sez. un., 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon, cit.).
In questa direzione, del resto, non può non rilevarsi che posto che
l’operazione di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. è il frutto di una scelta che il
giudice della cognizione compie, attraverso una discrezionalità guidata, in un
ambito edittale predefinito, è evidente che il mutamento radicale della cornice

esecutiva – anche attesa la tipologia di sostanza stupefacente per la quale era
stata concordata la pena applicata al De Iuliis – una rivalutazione di tale profilo
sanzionatorio, conformemente al seguente principio di diritto: «Per effetto delle
sentenze della Corte costituzionale nn. 251 del 2012 e 32 del 2014, il giudice
dell’esecuzione, ove il trattamento sanzionatorio non sia stato ancora
interamente eseguito, deve rideterminare la pena in favore del condannato pur
se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato,
potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione,
fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di
norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali» (cfr. Sez. 1, n. 53019 del
04/12/2014, Schettino, Rv. 261581).

3. Per questi motivi, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio
al G.I.P. del Tribunale di Roma affinché provveda a un nuovo esame dell’istanza
proposta nell’interesse di Fabio De Iuliis, conformandosi ai principi che si sono
richiamati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di
Roma.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23 giugno 2015.

derivante dalla declaratoria di incostituzionalità rende necessaria in sede

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