Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36313 del 05/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36313 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PORCELLO MAURIZIO N. IL 19/08/1970
avverso l’ordinanza n. 519/2014 TRIB. LIBERTA’ di
CALTANISSETTA, del 18/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere DoVA GIACOMO ROCCHI;
12de/sentite le conc sio i del PG Dott.
(rg-41

Data Udienza: 05/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Caltanissetta
respingeva la richiesta di riesame proposta da Porcello Maurizio avverso quella
del G.I.P. dello stesso Tribunale di applicazione della custodia cautelare in
carcere per il delitto di cui agli artt. 2, 4 e 7 legge 895 del 1967, contestato per
avere detenuto e portato, in concorso con Giarratana Michele e Macaluso
Salvatore, un fucile cal. 16 con relativo munizionamento, nonché per il delitto di

Il fucile era stato rinvenuto nel corso di una perquisizione nell’abitazione di
Di Prima Salvatore, nonno di Macaluso Salvatore.
I Carabinieri erano giunti al rinvenimento in forza di intercettazioni
telefoniche svolte nei giorni precedenti, nelle quali era stato ascoltato Macaluso
Salvatore conversare con Faulisi Salvatore, i due concordare il prezzo di euro
300,00 per il fucile e poi sentirsi più volte in vista della consegna della merce e
per l’occultamento del fucile; inoltre, Macaluso era stato ascoltato conversare
con Porcello Maurizio, intenzionato ad utilizzare l’arma e impegnatosi a
procurarsi le munizioni.
Un’intercettazione successiva alla perquisizione sembrava indicare che
Giarratana fosse a conoscenza della presenza del fucile, avendo egli chiesto a
Macaluso se i Carabinieri lo avessero trovato.
Macaluso aveva ammesso di avere acquistato il fucile su incarico di Porcello
Maurizio, Faulisi di averlo venduto a Macaluso, sostenendo che l’arma gli era
stata consegnata da Gìarratana; Scalzo Raimondo aveva confermato la
circostanza della consegna del fucile (nascosto in un sacco) da Faulísi a
Macaluso.
Giarratana, da parte sua, aveva confermato di conoscere Porcello e
Macaluso e aveva riferito di avere presentato loro Faulisi; aveva sostenuto, però,
di essere del tutto estraneo alla compravendita del fucile; aveva ancora
dichiarato di conoscere l’intenzione di Porcello di sparare al maresciallo Manna
della Stazione Carabinieri di Resuttano e di avere avvisato del pericolo i
carabinieri (circostanza, quest’ultima, riscontrata da numerose annotazioni di
servizio del Manna, l’ultima delle quali risalente al 23/10/2014; agli atti
emergono numerosi controlli dei carabinieri nei confronti di Porcello e Macaluso
per vari reati e nelle conversazioni intercettate vi erano diversi riferimenti al
Maresciallo Manna); Giarratana aveva sostenuto che Porcello voleva sparare
anche a lui per un debito insoluto, circostanza anch’essa segnalata ai Carabinieri
(anche quest’ultimo elemento era confermato da un’annotazione di servizio del
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ricettazione della stessa arma, di provenienza furtiva.

Maresciallo Manna).
L’odierno ricorrente aveva ammesso di avere saputo che Macaluso aveva un
fucile, di cui i due parlavano in una conversazione intercettata; aveva sostenuto
di avere avuto dei problemi con il maresciallo Manna, che gli aveva sequestrato
un’autovettura e lo sottoponeva a continui controlli e che egli intendeva
denunziare per la sua attività persecutoria; aveva negato, tuttavia, di avere
chiesto a Macaluso di fare del male al militare; aveva, infine, sostenuto di avere

Il Tribunale riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico
dell’indagato: le ragioni di astio di Porcello nei confronti del Maresciallo Manna
emergevano dalle annotazioni di servizio, dalle intercettazioni telefoniche e dalle
dichiarazioni di Macaluso e Giarratana; Porcello era sicuramente consapevole
dell’esistenza del fucile, come emergeva da due conversazioni intercettate con
Macaluso, nella seconda delle quali gli interlocutori facevano riferimento a due
nascondigli; i propositi di vendetta nei confronti delle forze dell’ordine, del resto,
erano stati ribaditi anche in conversazioni successive al sequestro del fucile;
inoltre, nella conversazione del 6/11/2014, Macaluso e Porcello si erano riferiti
anche ad una pistola (un “ferro”) di cui avevano la disponibilità e che doveva
servire contro Giarratana. Macaluso, dopo gli interrogatori, aveva fatto ritrovare
una pistola cal. 32 agli inquirenti.

Il Tribunale riteneva sussistenti le esigenze cautelari e, sottolineando la
personalità negativa di Porcello, pregiudicato per maltrattamenti, detenzione
illegale di armi, rapina e minaccia, riteneva unica adeguata la misura più grave.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Porcello Maurizio, deducendo vizio
della motivazione.
Il Tribunale si era limitato ad elencare descrittivamente elementi di fatto
ritenuti apoditticamente indizianti, senza alcuna valutazione degli stessi: i
presunti motivi di astio nei confronti del maresciallo Manna nonché due
conversazioni dalle quali, al più, poteva evincersi la conoscenza dell’indagato
dell’esistenza dell’arma, ma non la sua detenzione e porto.
Il Tribunale non aveva specificato quale fosse stato il ruolo dell’indagato;
aveva, inoltre, tralasciato aspetti favorevoli come la circostanza che Macaluso,
pur sostenendo di avere acquistato il fucile “perché lo voleva il Porcello”, aveva
aggiunto che il ricorrente non aveva mai visto l’arma e non sapeva nulla
dell’acquisto, che egli gli aveva rivelato successivamente. Anche Giarratana
aveva attribuito al solo Macaluso l’acquisto del fucile: si trattava di elementi

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troncato ogni rapporto con Giarratana, che definiva persona pericolosa.

tralasciati nell’ordinanza impugnata.

In un secondo motivo il ricorrente deduce l’apparenza della motivazione in
punto di esigenze cautelari e di scelta della misura, non essendo chiarito perché
le esigenze prospettate non potessero essere soddisfatte con una misura meno
afflittiva. Il Tribunale menzionava, inoltre, il pericolo di fuga sulla base di
circostanze riferibili al solo Giarratana.
Il ricorrente sottolinea che a Scalzo, Macaluso e Faulisi erano stati concessi
gli arresti domiciliari, a dimostrazione che l’unico motivo di applicazione della

custodia cautelare in carcere nei suoi confronti erano i precedenti penali.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto svolge considerazioni in fatto e,
comunque, perché è basato su motivi manifestamente infondati.

Non si deve dimenticare che il sindacato del giudice di legittimità sulla
motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che
quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le
ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia
“manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della
logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile”
con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente
nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o
radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica
l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel
loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti
tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare
obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di
consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico

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Lv

composto da lettori razionali del provvedimento.
E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per
sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati
di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in
grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determinare
al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla

internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti
del processo”. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a
fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una
correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere
necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e
sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la corte nell’ennesimo
giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino
autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca
razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal
giudice per giungere alla decisione. (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep.
15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516)

Tali principi si attagliano al ricorso proposto da Porcello: di fronte ad una
messe di indizi di natura diversa – intercettazioni telefoniche, dichiarazioni dei
coindagati, parziali ammissioni dell’indagato, dichiarazioni testimoniali,
rinvenimento e sequestro dell’arma, annotazioni di servizio dei carabinieri
pregresse – il Tribunale giunge ad attribuire credibilità alle dichiarazioni di
Macaluso – acquirente dell’arma da Faulisi – secondo cui l’acquisto era stato
commissionato da Porcello che intendeva utilizzarlo, tanto da impegnarsi a
reperire le munizioni necessarie, evidenziando i numerosi riscontri.

Il ricorrente non dimostra affatto che questo quadro – in verità, affollato di

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persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e

indizi numerosi – sia radicalmente errato in conseguenza di un travisamento di
un elemento di prova decisivo o di una manifesta illogicità dell’argomentazione:
si limita a sostenere che la portata delle intercettazioni è minore (non diversa, né
tanto meno opposta) di quanto ritenuto dal Tribunale e che le dichiarazioni di
Macaluso sono leggermente differenti da quanto esposto nell’ordinanza.
Su quest’ultimo aspetto, il ricorso manca chiaramente di autosufficienza,
perché il verbale dell’interrogatorio del coindagato Macaluso non è prodotto, ma
solo citato per una frase che è impossibile inquadrare in un discorso
complessivo. D’altro canto, il ricorrente ammette che – sebbene, a suo dire,

Macaluso aveva sostenuto che Porcello non sapeva niente dell’acquisto del fucile
– il coindagato aveva anche riferito che l’acquisto derivava dalla richiesta dello
stesso Porcello (la cui conoscenza dell’acquisto dell’arma è dimostrata
dall’intercettazione telefonica intervenuta il giorno stesso della consegna).

In ogni caso: si tratta di argomentazioni che non integrano il motivo di
ricorso di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., ma che sollecitano
una rivisitazione parziale del merito della vicenda; quindi non spendibili in questa
sede, ma davanti al giudice di merito.

2. Le censure in punto di esigenze cautelari e di scelta della misura sono,
infine, manifestamente infondate.

Del tutto ininfluente è la circostanza che nei confronti di altri coindagati
erano stati concessi gli arresti domiciliari: in materia cautelare non vige un
principio di “parità di trattamento” tra i coindagati e la valutazione delle esigenze
cautelari e del tipo di misura adottata non può che essere personalizzata.

Il Tribunale ha, quindi, buon gioco nel sottolineare la pericolosità del
soggetto in relazione ai suoi precedenti penali specifici nonché di minaccia e
violenza alle persone e, d’altro canto, non può non considerare l’astio nei
confronti dei Carabinieri – confermato dall’indagato in udienza – e il contenuto
davvero preoccupante di alcune conversazioni intercettate e delle dichiarazioni di
Giarratana e Macaluso sui propositi di utilizzo del fucile da parte di Porcello.
La motivazione è, quindi, del tutto logica e conforme al dettato normativo.

3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non

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esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.

direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 5 giugno 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al

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