Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36311 del 05/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36311 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPADA EFISIO N. IL 01/04/1971
avverso l’ordinanza n. 237/2014 TRIB. LIBERTA’ di CAGLIARI, del
09/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
1 t4e/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difens Avv.;

~-3-A

Data Udienza: 05/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Cagliari, provvedendo
sulla richiesta di riesame proposta da Spada Efisio avverso quella del G.I.P. dello
stesso Tribunale di applicazione della custodia cautelare in carcere, confermava il
provvedimento impugnato.
Spada è stato arrestato nella quasi flagranza del delitto di tentato omicidio
ai danni di Carcassi Michela, sua ex convivente; così come concordato con la

consegnare le chiavi da una vicina di casa per ritirare i propri effetti personali;
aveva però atteso il rientro della Carcassi e l’aveva colpita cinque o sei volte alla
testa con un martello, aggredendola dal retro, facendola rovinare a terra,
continuando a farle sbattere la testa e cercando di soffocarla; la Carcassi era
riuscita a fuggire e la testimone Biancu l’aveva vista tutta insanguinata che
fuggiva inseguita dallo Spada; quando le due donne erano riuscite a fuggire,
Spada era salito sul tetto dell’immobile minacciando di suicidarsi, intento da cui
era stato dissuaso dai Carabinieri nel frattempo intervenuti.
Davanti al Tribunale del riesame, Spada aveva negato di aver voluto
uccidere la donna, sottolineando le modeste dimensioni del martello usato.
Il Tribunale riteneva, al contrario, esistente un movente (la fine della lunga
relazione) e il dolo quanto meno alternativo di omicidio o lesioni, dimostrato non
soltanto dai colpi di martello alla testa, ma anche dal tentativo di soffocamento;
l’azione sarebbe proseguita se la vittima non fosse riuscita a divincolarsi, ma la
testimone aveva osservato Spada inseguirla; non era decisivo il dato della
prognosi di pochi giorni riportata dalla Carcassi, mentre i due bigliettini che
Spada aveva lasciato nell’appartamento della donna prima dell’aggressione
dimostravano il suo astio.
Secondo il Tribunale sussistevano le esigenze cautelari di cui all’art. 274,
lett. c) cod. proc. pen., tenuto conto della premeditazione, della gravità della
condotta e dell’astio mostrato verso la persona offesa; nonostante
l’incensuratezza dell’indagato, solo la misura della custodia in carcere poteva
tutelare tali esigenze.

2. Ricorre per cassazione Spada Efisio, deducendo vizio della motivazione
con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il ricorrente, davanti al Tribunale del riesame, aveva riferito di avere
passato un periodo di depressione durante il quale non mangiava e aveva negato
di avere avuto l’intenzione di uccidere la Carcassi. Si trattava di dichiarazione
attendibile: i bigliettini che egli aveva lasciato nell’appartamento della donna
1

persona offesa, l’indagato era entrato nell’appartamento della donna facendosi

manifestavano soltanto l’intento suicidiario; le lesioni riportate dalla donna erano
lievi e tra esse non vi erano segni di strangolamento; il martello era piccolo e,
soprattutto, sarebbe stato usato con violenza ben maggiore se Spada avesse
voluto uccidere la donna.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione con
riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c)
cod. proc. pen..

massima misura coercitiva per tutti i casi di estrema conflittualità che si
presentano dopo l’interruzione di un rapporto sentimentale. Secondo il
ricorrente, non sussiste il pericolo di recidiva e, comunque, le esigenze cautelari
possono essere soddisfatte con misure meno afflittive.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto i motivi esposti sono in fatto e,
comunque, manifestamente infondati.

Con riferimento alla ricostruzione della condotta, il ricorrente non fa che
riproporre la propria versione dei fatti, sottolineando alcuni aspetti e
tralasciandone altri, nel chiaro tentativo di sollecitare questa Corte a sovrapporre
la propria valutazione di merito a quella espressa dal Tribunale: operazione
preclusa in questa sede, atteso che il controllo di legittimità non consiste in un
giudizio di merito di terzo grado, ma è diretto esclusivamente a valutare la non
manifesta illogicità della motivazione e la sua non contraddittorietà con atti del
processo.
La trattazione in fatto emerge dalla considerazione dell’uso del martello: il
ricorrente sottolinea che era piccolo e che i colpi alla testa erano stati inferti non
troppo violentemente ma, contestualmente, tralascia di considerare il dato della
reiterazione dei colpi che il Tribunale individua – sulla scia della costante
giurisprudenza di questa Corte – come uno degli indici più significativi
dell’animus necandi.
Del resto, il ricorrente tralascia altri dati: quello della testa della vittima
sbattuta contro il pavimento, quello del tentativo di soffocamento – il ricorrente
pretende che in questa sede si valuti l’attendibilità della persona offesa,
confrontando le sue dichiarazioni con il contenuto del referto dell’ospedale – e
quello dell’inseguimento, osservato anche dalla testimone.

2

La motivazione dell’ordinanza impugnata sembrerebbe giustificare la

La non eccessiva gravità delle lesioni riportate dalla Carcassi viene
valorizzata per sostenere il consueto argomento in base al quale, se Spada
avesse voluto uccidere la Carcassí, lo avrebbe fatto: ma questa Corte ha
ripetutamente insegnato che la scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni
provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per sé
l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori
indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della
vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa (Sez. 1, n. 52043

reazione difensiva della Carcassi è stata veemente ed energica e, quindi, ben si
giustificano le lesioni come refertate.

Ancora in fatto è, infine, l’argomentazione che sostiene che – come
dimostrerebbero i bigliettini lasciati nell’appartamento – Spada aveva soltanto
intenzione di suicidarsi: in ogni caso, è evidente che il suicidio programmato non
era incompatibile con il previo omicidio dell’ex convivente.

2. Il motivo di ricorso attinente alle esigenze cautelari è, infine,
manifestamente infondato.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la motivazione
dell’ordinanza non giustifica affatto la misura coercitiva carceraria “in tutti i casi
di estrema conflittualità che si presentano dopo l’interruzione di un rapporto
sentimentale”; al limite, la indica come necessaria nei casi di estrema
conflittualità nei quali uno dei due ex conviventi tenti di uccidere l’altro (condotta
che non si riscontra frequentemente).

In ogni caso, il Tribunale non pretende di stabilire una regola generale, ma
si limita a valutare le esigenze cautelari del caso specifico: e argomenta
logicamente sul pericolo di recidiva e sull’insufficienza di misure diverse da quella
della custodia in carcere, sottolineando la violenza davvero notevole e la
premeditazione dell’azione.
Il fatto che la condotta sia stata posta in essere nell’ambito della
conflittualità derivante dall’interruzione di un rapporto sentimentale è
giustificazione logica dell’inadeguatezza di una misura diversa da quella
carceraria, ben potendosi temere che Spada reiteri la sua condotta verso la
stessa vittima.

3

del 10/06/2014 – dep. 15/12/2014, Vaghi, Rv. 261702); nel caso di specie, la

3. Alla declaratoria di inammissibilità dell ‘impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell ‘art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell ‘Istituto penitenziario, ai sensi dell ‘art. 94, comma 1 -ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 5 giugno 2015
Il Presidente

P.Q.M.

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