Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36303 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36303 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRAINA GIACOMO N. IL 28/05/1972
avverso l’ordinanza n. 12/2014 CORTE ASSISE di AGRIGENTO, del
16/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
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lette/sentite le conclusioni del PG Dott. F
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 03/06/2015

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Ritenuto in fatto.

1.11 16 settembre 2014 la Corte d’assise di Agrigento, in funzione di giudice
dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da Giacomo Traina, volta ad ottenere
l’applicazione della diminuente per il giudizio abbreviato sulla pena di ventiquattro
anni di reclusione irrogata dalla locale Corte d’assise con sentenza del 25 febbraio
1999, irrevocabile il 17 febbraio 2003.

marzo 2000, richiesta di ammissione al giudizio abbreviato, ai sensi dell’art. 4-ter,
d.l. n. 82 del 2000, ma che la domanda era stata respinta, in quanto non ricorrevano
i presupposti previsti dall’art. 4-ter, comma 2, del d.l. n. 82 del 2000, convertito con
modificazioni nella legge n. 144 del 2000 (nel caso di specie la riapertura
dell’istruttoria dibattimentale in grado d’appello)
3.Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite
il difensore di fiducia, Traina il quale formula le seguenti censure.
Lamenta violazione della legge penale con riferimento all’omessa applicazione
della lex mitior che trova un riconoscimento anche nei principi enunciati dalla Corte
Edu, principi che il giudice nazionale deve tenere presenti per verificare la
compatibilità della normativa interna con quella sopranazionale.
Deduce, inoltre, erronea applicazione della legge penale in relazione
all’interpretazione dell’art. 442, comma 2, c.p.p., nella formulazione vigente al
momento della proposizione della domanda.
In ogni caso, attesa la natura di disposizione di diritto sostanziale e non
processuale della disciplina per i suo effetti sul trattamento sanzionatorio, Traina
avrebbe dovuto essere ammesso al rito abbreviato anche a prescindere dalla
sussistenza o meno dei presupposti previsti dal d.l. n. 82 del 2000.

Osserva in diritto.

Il ricorso non è fondato.
1.Secondo la Corte Edu, il principio di legalità convenzionale sancito dall’art. 7
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non soltanto garantisce il principio
di non retroattività delle leggi penali più severe, ma impone anche che, nel caso in
cui la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e quelle
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2.11 giudice dell’esecuzione evidenziava che Traina aveva formulato, il 21

successive adottate prima della condanna definitiva siano differenti, il giudice deve
applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo. Pertanto, in caso di
successione di leggi penali nel tempo, costituisce violazione del principio di legalità
convenzionale l’applicazione della pena più sfavorevole al reo (Corte Edu,
Scoppola c. Italia; Morabito c. Italia). Ne consegue che le disposizioni che
definiscono i reati e le pene sottostanno a delle regole particolari in materia di
retroattività, che includono anche il principio di retroattività della legge penale più

in mitius costituisce, secondo il giudice sovranazionale, un corollario del principio
di legalità, consacrato dall’art. 7 della CEDU. Tale norma convenzionale, nella
interpretazione datane dalla Corte europea, ha una portata più circoscritta, limitata
alle sole norme che prevedono i reati e le relative sanzioni e ha, quindi, un campo di
operatività meno esteso di quello che il nostro ordinamento riserva all’art. 2,
comma quarto, c.p.
2. Nel caso in esame, in cui viene in rilievo la disciplina del giudizio abbreviato

per i reati punibili con la pena dell’ergastolo, si sono succedute nel tempo tre
diverse disposizioni di legge.
2.1.11 testo originario dell’art. 442, comma 2, secondo periodo, c.p.p. prevedeva

che nel giudizio abbreviato, in caso di condanna, «alla pena dell’ergastolo è
sostituta quella della reclusione di anni trenta». Tale disposizione è stata, però,
dichiarata incostituzionale per eccesso di delega, con sentenza n. 176 del 1991 del
Giudice delle leggi, con l’effetto che, tra la data di pubblicazione di tale decisione e
il successivo intervento legislativo di cui al punto che segue, era precluso agli
imputati di delitti punibili con l’ergastolo l’accesso al suddetto rito semplificato.
2.2. Con la legge 16 dicembre 1999, n. 479, entrata in vigore il 2 gennaio 2000,

veniva reintrodotta la possibilità per l’imputato di reati punibili con l’ergastolo di
accedere al rito abbreviato. L’art. 30, comma 1, lett. b), della predetta legge, infatti,
ripristinava la previsione: «alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della
reclusione di anni trenta».
2.3. L’art. 7 del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, entrato in vigore lo

stesso giorno e convertito dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, nel dichiarato intento
di dare un’interpretazione autentica del secondo periodo del comma 2 dell’art. 442
c.p.p., disponeva, per un verso, che l’espressione «pena dell’ergastolo» ivi
adoperata deve «intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno» e, per
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favorevole all’imputato (Corte Edu, Morabito c. Italia). Il principio di retroattività

altro verso, inseriva all’interno della stessa disposizione un terzo periodo, così
formulato: «alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di
reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo».
In via transitoria, peraltro, l’art. 8 del richiamato d.l. n. 341 del 2000, così come
sostituito in sede di conversione, consentiva a chi avesse formulato richiesta di
giudizio abbreviato nel vigore della sola legge n. 479 del 1999 o a norma dell’art.
4-ter, comma 2, d.l. 7 aprile 2000 n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5

potesse essere destinatario delle disposizioni di cui all’art. 7 del richiamato decretolegge n. 341 del 2000 di revocare la richiesta entro un determinato termine, con
conseguente prosecuzione del processo secondo il rito ordinario.
Parallelamente il legislatore, sempre nell’anno 2000, dettava le regole sulla
operatività nei processi in corso delle nuove disposizioni in tema di rito abbreviato,
stabilendo (cfr. art. 4-ter, comma 1, del d.l. 7 aprile 2000 n.82, nel testo modificato
dalla legge di conversione 5 giugno 2000 n.144) che esse fossero applicabili ai
processi in corso nei quali, ancorché fosse scaduto il termine per la proposizione
della richiesta, non fosse ancora iniziata l’istruzione dibattimentale o, nei processi
d’appello, non fosse ancora esaurita l’istruzione dibattimentale disposta ai sensi
dell’art. 603 c.p.p.. Tali previsioni ben si armonizzavano con la funzione deflattiva
che, anche in regime transitorio, continuava a caratterizzare il giudizio abbreviato e
giustificava la speciale diminuzione di pena in caso di condanna.
3.L’operatività delle regole insite nel principio di legalità convenzionale di cui
all’art. 7 della C.E.D.U., così come interpretate dalla Corte di Strasburgo nella
sentenza 17 settembre 2009 Scoppola c. Italia, non può essere ancorata al mero dato
formale delle diverse leggi succedutesi, bensì presuppone la coordinazione di tale
dato, di per sé neutro, con le modalità e i tempi di accesso al rito speciale, da cui
direttamente deriva, in base alla legge vigente, il trattamento sanzionatorio da
applicare. In altri termini, l’individuazione della pena sostitutiva da applicare in
sede di giudizio abbreviato per i reati punibili in astratto con l’ergastolo, con o
senza isolamento diurno, è subordinata al verificarsi di una fattispecie complessa
integrata dalla commissione di reati per i quali sia prevista tale sanzione e dalla
richiesta di accesso al rito speciale avanzata dall’interessato, elementi questi che, in
quanto inscindibilmente connessi fra loro, devono concorrere entrambi, affinché
possa trovare applicazione, in caso di condanna, la comminatoria punitiva prevista
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giugno 2000, n. 144, e a chi, per effetto dell’impugnazione del pubblico ministero,

dalla legge in vigore al momento della richiesta. E’ quest’ultima, infatti, che
cristallizza, in rapporto al reato o ai reati per i quali si procede, il trattamento
sanzionatorio vigente al momento di essa (Sez. Un. 12 aprile 2012, n. 34233).
4.Alla luce delle considerazioni sinora svolte non si pone alcuna problema di
successione di leggi penali sostanziali nel tempo; non rileva, quindi, neppure
stabilire se i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la
sentenza Scoppola c. Italia in precedenza richiamata abbiano una valenza

portata generale e astrattamente applicabile a fattispecie identiche, senza la
necessità, in tali casi, di adire preventivamente la giurisdizione sovranazionale.
A tale disciplina, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non può
riconoscersi natura sostanziale, dipendendo la sua attuazione solo dalla scelta,
ormai unilaterale, di un rito che si configura a struttura probatoria eventuale e
contratta. Il legislatore, in presenza del mutato quadro ordinamentale e delle
profonde innovazioni che avevano contrassegnato l’intero scenario, sul piano dei
presupposti e delle cadenze, del rito alternativo che vengono qui in discorso,
consentiva in via transitoria la proposizione di richieste, ormai precluse,
ancorandone l’ammissibilità a determinati presupposti, nel caso di specie
insussistenti (mancata riapertura dell’istruttoria dibattimentale in appello). Tale
scelta è del tutto ragionevole e si salda appieno con la funzione deflattiva che anche in regime transitorio – continuava a caratterizzare il giudizio abbreviato
rispetto all’ordinario epilogo dibattimentale e in sé giustifica la speciale
diminuzione di pena in ipotesi di condanna. Da tali premesse derivano due evidenti
corollari. Per un verso, infatti, risolvendosi la diminuente di pena in un trattamento
premiale accessorio che scaturisce dalla scelta, ormai unilaterale, di un rito che si
configura a struttura probatoria eventuale e contratta, è evidente che un siffatto
trattamento sanzionatorio vive e trae la propria ragione d’essere esclusivamente
nell’alveo del rito cui accede, senza pertanto assumere – come pure il ricorrente
pretenderebbe – l’autonomia tipica di una disciplina di natura sostanziale. Sotto
altro profilo, correlandosi il regime transitorio alla opzione per un modello
ontologicamente alternativo alla istruzione dibattimentale, è del tutto evidente che
la sede del giudizio d’appello in cui o non era mai stata disposta o, se disposta, si
era esaurita l’istruttoria dibattimentale, sarebbe stata del tutto eccentrica rispetto ad
un ipotetico “recupero” di facoltà ormai naturalmente precluse, proprio perché ad
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circoscritta alla specifica fattispecie esaminata o enuncino una regola di giudizio di

esso non sarebbe conseguita alcuna rinuncia al diritto alla prova nel contraddittorio
di merito, essendo stato tale diritto per definizione già integralmente esercitato.
Paradossalmente, non accedendo a tale ipotesi ricostruttiva, si sarebbe assistito ad
un incoerente “privilegio” riconosciuto in via esclusiva proprio nei confronti di
quanti versavano nelle condizioni dell’odierno ricorrente, giacché solo per essi, e
senza alcuna giustificazione, si sarebbe stabilita una diminuente di pena totalmente disancorata da qualsiasi riconducibilità al rito speciale ed alle

2000; Sez. 3, n. 10894 del 14 luglio 2000; Sez. 6, n. 159 del 18 ottobre 2000; Sez.
1, n. 15539 del 30 gennaio 2001).
5. La celebrazione di entrambi i giudizi sinora indicati secondo il rito ordinario,
vale a dire sulla base di moduli che, rifuggendo da ogni forma di semplificazione
deflativa, hanno garantito il più ampio spazio ai diritti delle parti processuali,
rimane estranea alla problematica di cui si discute, proprio perché manca il
presupposto processuale della celebrazione del giudizio abbreviato e,
conseguentemente, non viene in rilievo il tema della successione di leggi penali che
regolano, nel caso di ammissione a tale rito, il trattamento sanzionatorio dei reati
punibili in astratto con la pena perpetua (con o senza isolamento diurno).
6.A1 rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma, il 3 giugno 2015.

“limitazioni” probatorie che da esso conseguono (Sez. 1, n. 8967 del 07 luglio

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