Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36302 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36302 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALATOLO RAFFAELE N. IL 18/07/1950
avverso l’ordinanza n. 12/2014 CORTE ASSISE APPELLO di
PALERMO, del 30/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
,uck. e, jk,
lette/se~ le conclusioni del PG Dott. 5 –

Uditi difensor Avv.;

L61- (A, emtp

-e,

Data Udienza: 03/06/2015

Ritenuto in fatto.

1.11 30 giugno 2014 la Corte d’assise d’appello di Palermo, in funzione di

giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da Galatolo Raffaele, volta ad
ottenere la sostituzione della pena dell’ergastolo, inflitta con sentenza della locale
Corte d’assise d’appello del 20 novembre 2003 (divenuta irrevocabile il 20 aprile
2005) con quella di trenta anni di reclusione.

quella esaminata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Scoppola
c/Italia.
Galatolo, nel corso della celebrazione del dibattimento di primo grado, aveva
chiesto, ai sensi dell’art. 4-ter, commi 2 e 22, d.l. 7 aprile 2000, n. 82, convertito in
I. n. 144 del 2000, la definizione del processo nelle forme del giudizio abbreviato
La Corte, con ordinanza emessa il 22 giugno 2000, aveva accolto la richiesta. A
seguito dell’entrata in vigore dell’art. 7 del d.l. n,. 341 del 2000, convertito con
modifiche nella 1. n. 4 del 2001, Galatolo aveva revocato – avvalendosi del disposto
di cui all’art. 8 del suddetto d.l. n. 341 del 2000 – la richiesta di giudizio abbreviato
in precedenza formulata. Il processo era, pertanto, proseguito nei suoi confronti
nelle forme ordinarie e si era concluso con la condanna all’ergastolo con isolamento
diurno.
2.Avverso la suddetta ordinanza Galatolo, tramite il difensore di fiducia, ha
proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge e vizio della
motivazione in relazione alle ragioni poste a base del rigetto della domanda.
Ai sensi dell”art 7 della Convezione europea dei diritti dell’uomo, nel caso in
cui la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e quelle
successive, intervenute prima della condanna definitiva, siano differenti, il giudice
deve applicare le disposizioni in concreto più favorevoli al reo.
L’art. 442 c.p.p., a prescindere dalla sua collocazione nel codice di rito, deve
considerarsi una disposizione di diritto penale sostanziale e il principio di legalità
convenzionale di cui all’art. 7 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo del 17 settembre 2009, (Scoppola c. Italia),
garantisce non soltanto la irretroattività della legge penale più sfavorevole, ma
anche la retroattività della lex mitior. La revoca della richiesta di ammissione al
giudizio abbreviato era avvenuta in base al d.l. n. 341 del 2000 che aveva introdotto
1

Il giudice osservava che la fattispecie sottoposta al suo esame era diversa da

una norma sostanziale più sfavorevole. Il principio di legalità della pena, che è un
valore di rango costituzionale, permea di sé l’intero sistema e, integrando il diritto
vivente, costituisce un nuovo elemento di diritto idoneo a superare la preclusione
del giudicato.
In subordine, in caso di mancato accoglimento delle censure sopra illustrate,
prospetta questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 d.l. n. 341 del 2000 per
contrasto con l’art. 3 Cost.e con gli artt. 117 Cost. e 7 C.e.d.u. come interpretato

legalità secondo la Convenzione.

Osserva in diritto.

Il ricorso non è fondato.
LE quadro normativo interno nel cui ambito si pone la questione è caratterizzato

da una successione di varie leggi.
La disposizione originaria dell’art. 442, comma 2, c.p.p. prevedeva, nel caso di
giudizio abbreviato, la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di trenta
anni di reclusione. Questa norma è stata però dichiarata costituzionalmente
illegittima per eccesso di delega (Corte Cost., sentenza n. 176 del 1991) e, di
conseguenza, tra il 1991 e il 1999, l’accesso al rito abbreviato, sulla base degli artt.
438 e 442 c.p.p., all’epoca vigenti, è stato precluso agli imputati dei delitti puniti
con l’ergastolo.
L’art. 30, comma 1, lettera b), della legge n. 479 del 1999, entrata in vigore il 2
gennaio 2000, ha modificato l’art. 442, comma 2, c.p.p., reintroducendo la
possibilità di procedere con il giudizio abbreviato per i reati punibili con
l’ergastolo, e ha previsto la sostituzione di questa pena con quella di trenta anni di
reclusione.
Il decreto-legge n. 341 del 24 novembre 2000, entrato in vigore lo stesso 24
novembre 2000, e convertito dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, all’art. 7, ha
modificato nuovamente l’art. 442 c.p.p.., stabilendo, in via di interpretazione
autentica della precedente modifica, che <> (art. 7, comma 1), e aggiungendo, alla fine del comma 2
dell’art. 442 c.p.p.,. la proposizione: <> (art. 7, comma 2). In via transitoria, l’art. 8 del medesimo decretolegge ha consentito a chi avesse formulato una richiesta di giudizio abbreviato nel
vigore della legge n. 479 del 1999 di revocarla entro trenta giorni dall’entrata in
vigore del decreto-legge con conseguente prosecuzione del processo con il rito
ordinario. In seguito a quest’ultima modifica normativa, il giudizio abbreviato, che
si conferma applicabile alla generalità dei delitti puniti con l’ergastolo, consente al
condannato di beneficiare della sostituzione della pena dell’ergastolo senza

pena dell’ergastolo con isolamento diurno con quella dell’ergastolo semplice.
2.Parallelamente il legislatore, nell’anno 2000, dettava le regole sulla operatività
nei processi in corso delle nuove disposizioni in tema di rito abbreviato, stabilendo
(cfr. art 4-ter, del d.l. 7 aprile 2000 n.82, nel testo modificato dalla legge di
conversione 5 giugno 2000 n.144) che esse fossero applicabili ai processi in corso
nei quali, ancorché fosse scaduto il termine per la proposizione della richiesta, non
fosse ancora iniziata l’istruzione dibattimentale o, nei processi d’appello, non fosse
ancora esaurita l’istruzione dibattimentale disposta ai sensi dell’art. 603 c.p.p. Tali
previsioni ben si armonizzavano con la funzione deflattiva che, anche in regime
transitorio, continuava a caratterizzare il giudizio abbreviato e giustificava la
speciale diminuzione di pena in caso di condanna.
3.Con sentenza n. 210 del 2013 la Corte Costituzionale, in parziale
accoglimento dell’incidente sollevato dalle Sezioni Unite di questa Corte con
ordinanza n. 34472 del 19 aprile 2012, dichiarava l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito,
con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4 in base al rilievo che,
costituendo l’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rispetto all’art.
117, primo comma, Cost., una norma interposta, la sua violazione, riscontrata dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza della Grande Camera del 17
settembre 2009, Scoppola contro Italia, comportava l’illegittimità costituzionale
della suddetta norma.
Al contempo la Consulta dichiarava inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 24 novembre 2000, n.
341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, sollevata, in
riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dalle Sezioni Unite di questa Corte con
l’ordinanza in precedenza richiamata.
3

isolamento diurno con quella di trenta anni di reclusione e della sostituzione della

Infine, dichiarava inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 8 del decreto-legge 24 novembre 2000, n.
341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, sollevata, in
riferimento agli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in
relazione all’articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto
1955, n. 848, sollevata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la medesima

4. Tanto premesso in ordine al contesto normativo in cui si colloca la questione,
il Collegio osserva che dal testo del provvedimento impugnato emerge che Raffaele
Galatolo formulava per la prima volta, ai sensi dell’art. 4-ter, comma 2,1. n. 144 del
2000, richiesta di ammissione al giudizio abbreviato nel corso del giudizio di primo
grado, dopo l’approvazione della legge 16 dicembre 1999 n. 479 (vigente dal 2
gennaio 2000), il cui art. 30, comma 1, lett. b) reintroduceva l’ammissibilità del
giudizio abbreviato per i reati punibili con l’ergastolo, stabilendo genericamente
che, in caso di condanna, la pena perpetua doveva essere sostituita con quella di
trenta anni di reclusione.
Risulta, inoltre, che successivamente all’entrata in vigore del d.l. n. 341 del
2000, Galatolo revocava la richiesta di giudizio abbreviato, in precedenza
formulata, avvalendosi del disposto di cui all’art. 8 d.l. n. 341 del 2000.
5. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non può riconoscersi natura
sostanziale alla disciplina applicata dal giudice della cognizione che, preso atto
dell’intervenuta revoca della richiesta di giudizio abbreviato avanzata
dall’imputato, ha disposto la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie. Il
legislatore, infatti, in presenza del mutato quadro ordinamentale e delle profonde
innovazioni che avevano contrassegnato l’intero scenario, sul piano dei presupposti
e delle cadenze, del rito alternativo, consentiva, in via transitoria e in presenza di
precisi presupposti tassativamente elencati (astratta punibilità dei reati contestati
all’imputato con la pena dell’ergastolo con isolamento diurno; precedente
formulazione della domanda in base alle modifiche introdotte all’art. 442, comma
2, c.p.p. dall’art. 30 comma 1, lett. b, I. n. 479 del 1999 ovvero in base all’art. 4-ter
del d.l. 7 aprile 2000 n.82, nel testo modificato dalla legge di conversione 5 giugno
2000 n.144; rispetto del termine di trenta giorni decorrente dalla data di entrata in
vigore del suddetto decreto-legge) la revoca della domanda di giudizio abbreviato
4

ordinanza sopra indicata.

in precedenza presentata. Tale scelta costituiva un ragionevole bilanciamento tra il
mutato quadro normativo di riferimento e le esigenze di deflazione insite – anche in
regime transitorio – nel giudizio abbreviato rispetto all’ordinario epilogo
dibattimentale con conseguente speciale diminuzione della pena in ipotesi di
condanna.
Da tali considerazioni derivano due evidenti corollari. Per un verso, infatti,
risolvendosi la diminuente di pena in un trattamento premiale accessorio che

probatoria eventuale e contratta, è evidente che un siffatto trattamento sanzionatorio
vive e trae la propria ragione d’essere esclusivamente nell’alveo del rito cui accede,
senza pertanto assumere – come pure il ricorrente pretenderebbe – l’autonomia
tipica di una disciplina di natura sostanziale. Sotto altro profilo, è del tutto evidente
che il riconoscimento della diminuente del rito, pur in presenza dell’intervenuta
revoca della domanda di accesso allo stesso in precedenza avanzata, sarebbe del
tutto eccentrica rispetto ad un ipotetico “recupero” di facoltà ormai naturalmente
precluse, attesa l’omessa rinuncia al diritto alla prova nel contraddittorio di merito,
essendo stato tale diritto per definizione già integralmente esercitato.
Paradossalmente, non accedendo a tale ipotesi ricostruttiva, si assisterebbe ad un
incoerente “privilegio”, giacché, senza alcuna giustificazione, si dovrebbe applicare
una diminuente di pena, totalmente disancorata da qualsiasi riconducibilità al rito
speciale ed alle “limitazioni” probatorie che da esso conseguono.
6.Non può neppure ritenersi che l’intervenuta revoca della richiesta di giudizio
abbreviato sia stata “viziata” dalla disciplina contenuta nell’art. 7 del decreto-legge
24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio
2001, n. 4, atteso che l’imputato è stato posto in grado di esercitare una libera e
consapevole scelta tra le maggiori garanzie derivanti dalla celebrazione del
dibattimento e i benefici premiali scaturenti dalla scelta del rito abbreviato.
7. Una conclusione del genere appare coerente con i principi elaborati dalla

giurisprudenza di questa Corte in tema di preclusione. Ancor prima di esplicarsi
quale limite estremo segnato dal giudicato, la preclusione assolve la funzione di
scandire i singoli passaggi della progressione del processo e di regolare i tempi e i
modi dell’esercizio dei poteri delle parti e del giudice, dai quali quello sviluppo
dipende, con la conseguenza che la preclusione rappresenta il presidio apprestato
dall’ordinamento per assicurare la funzionalità del processo in relazione alle sue
5

scaturisce dalla scelta, ormai unilaterale, di un rito che si configura a struttura

peculiari conformazioni risultanti dalle scelte del legislatore. Il processo, infatti,
quale sequenza ordinata di atti, modulata secondo un preciso ordine cronologico di
attività, di fasi e di gradi, è legalmente tipicizzato in conformità di determinati
criteri di congruenza logica e di economicità procedimentale in vista del
raggiungimento di un risultato finale, nel quale possa realizzarsi l’equilibrio tra le
esigenze di giustizia, di certezza e di economia.
In quest’ottica é evidente che la preclusione costituisce un istituto coessenziale

normativamente coordinati tra toro, ciascuno dei quali – all’interno dell’unitaria
fattispecie complessa a formazione successiva – è condizionato da quelli che lo
hanno preceduto e condiziona, a sua volta, quelli successivi secondo precise
interrelazioni funzionali. L’istituto della preclusione, attinente all’ordine pubblico
processuale, è intrinsecamente qualificato dal fatto di manifestarsi in forme
differenti, accomunate dal risultato di costituire un impedimento all’esercizio di un
potere del giudice o delle parti in dipendenza dell’inosservanza delle modalità
prescritte dalla legge processuale, o del precedente compimento di un atto
incompatibile, ovvero del pregresso esercizio dello stesso potere. Nel caso di
specie, Galatolo, revocando la domanda di giudizio abbreviato in precedenza
avanzata, ha compiuto un atto inconciliabile con la volontà di avvalersi del suddetto
rito semplificato e delle conseguenze premiali da esso derivanti e ha già
“consumato” l’esercizio delle facoltà a lui assegnate.
Tali principi, come autorevolmente affermato dalla Corte Costituzionale
(sentenze n- 236 del 2011 e n. 210 del 2013) non sono estranei alla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, come si desume dalla sentenza Scoppola che vi ha
ravvisato un limite all’espansione della legge penale più favorevole. E’, quindi, da
ritenere che, in linea di principio, l’obbligo di adeguamento alla Convenzione, nel
significato attribuitole dalla Corte di Strasburgo, non concerne i casi, diversi da
quello oggetto della decisione nel caso Scoppola, connotato da significative
diversità rispetto a quello oggetto del presente scrutinio, nei quali (come quello in
esame) per l’ordinamento interno si è formato il giudicato, e che le deroghe a tale
limite vanno ricavate, non dalla CEDU, che non le esige, ma nell’ambito
dell’ordinamento nazionale (Corte Cost. sent. n. 210 del 2013). Sotto questo
profilo, dunque, non sussiste alcuna violazione dell’art. 3 Cost. né alcuna

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alla stessa nozione di processo, non concepibile se non come serie ordinata di atti

inosservanza del principio di legalità ai sensi del combinato disposto degli artt. 117
Cost. e / C.e.d.u.
8.Sulla base delle considerazioni sinora svolte il Collegio ritiene che il ricorso
debba essere rigettato e che il ricorrente debba essere condannato al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Così deciso, in Roma, il 3 giugno 2015.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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