Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36298 del 22/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36298 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VINCIGUERRA GAETANO MARIO N. IL 17/08/1970
avverso l’ordinanza n. 2375/2014 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
30/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. h use (L,

LL.

c,trZivrip

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 22/05/2015

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ordinanza resa in data 2 gennaio 2015 il Tribunale di Catania – costituito
ai sensi dell’art. 310 cod.proc.pen. – ha confermato l’ordinanza emessa nei
confronti di Vinciguerra Gaetano Mario dal GUP della medesima sede, con cui è
stata applicata in data 11.12.2014 la misura della custodia in carcere ai sensi
dell’art. 275 co.1 bis cod.proc.pen.
Nei confronti del Vinciguerra risulta emessa decisione di merito in primo grado

cod.pen. e condanna alla pena di anni otto di reclusione (per appartenenza al
clan mafioso Santapaola-Ercolano, contestata sino al mese di aprile dell’anno
2010).
A parere del Tribunale la motivazione dell’ordinanza del GIP soddisfa i
presupposti normativi, dato che si è fatto riferimento alla pericolosità sociale del
Vinciguerra sia in rapporto al titolo di reato per cui è intervenuta condanna in
primo grado che in riferimento alla ricorrenza di precedenti penali, sì da
attualizzare il concreto pericolo di reiterazione, peraltro oggetto di presunzione
relativa ex lege.
Viene pertanto ritenuta non idonea a superare detta valutazione la produzione
documentale difensiva attestante il pregresso svolgimento di attività lavorativa e
la condizione di tossicodipendenza (risalente all’anno 2012).

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del
difensore – Vinciguerra Gaetano Mario, deducendo erronea applicazione di legge
e vizio di motivazione.
Nel ricorso si prospetta, al primo motivo, la nullità dell’ordinanza emessa dal GIP
per mancata esposizione delle ragioni fondanti il giudizio di sussistenza delle
esigenze cautelari, non rimediabile da parte del Tribunale in sede di decisione.
Al secondo motivo si deduce, in ogni caso, vizio di motivazione dell’ordinanza
impugnata per omessa valutazione di elementi a discarico, in tesi incidenti sulla
ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione.
Sia la contestazione (chiusa ad aprile dell’anno 2010) che i precedenti penali
risultano risalenti nel tempo e ciò comporta il dovere di motivare ‘in positivo’ la
ricorrenza del pericolo di reiterazione.
Era stata prospettata la possibilità di prosecuzione della attività lavorativa, il che
– anche in rapporto ai recenti esiti dei giudizi di costituzionalità riguardanti l’art.
275 co.3 cod.proc.pen. – avrebbe consentito l’applicazione di misure meno
afflittive.

2

con affermazione della penale responsabilità per il delitto di cui all’art. 416 bis

3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
Quanto al contenuto del primo motivo di ricorso, va affermato che il titolo di
reato per cui è intervenuta condanna in primo grado è quello della partecipazione
ad associazione mafiosa, il che determina la presunzione relativa ex lege di
sussistenza delle esigenze cautelari, cui si è fatto riferimento anche da parte del
giudice che ha emesso il titolo. Non può parlarsi, pertanto, di assenza di
motivazione sul tema e di conseguente nullità, ferma restando l’esistenza dei

motivazionali.
Quanto al secondo motivo, la valutazione espressa dal Tribunale poggia sulla
descritta presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari
specialpreventive, correlata al titolo del reato per cui è intervenuta condanna in
primo grado.
Trattandosi di reato associativo di stampo mafioso, la tendenza alla reiterazione
della condotta illecita è correlata al legame esistente tra il soggetto e la
compagine associativa e pertanto la «allegazione» difensiva non è stata ritenuta
idonea, con motivazione logica e coerente, a superare detta presunzione.
La doglianza, pertanto, finisce con il riproporre un tema di merito che è stato in

poteri integrativi da parte del Tribunale, idonei a colmare eventuali vuoti

realtà esaminato e non individua uno specifico vizio argomentativo del it”\—r
provvedimento impugnato.
In particolare, il Tribunale ha considerato l’epoca di contestazione ma ha con
logica considerazione ritenuto che in mancanza di atti concreti di rescissione del
vincolo, il livello di inserimento nel contesto mafioso determini anche a distanza
di tempo il mantenimento della descritta presunzione, supportata nel caso di
specie dalla esistenza di precedenti per la violazione degli obblighi correlati alla
sottoposizione a misura di prevenzione personale.
Non vi è pertanto alcuna omissione valutativa, nè appaiono pertinenti i richiami contenuti nel ricorso – alle decisioni con cui la Corte Costituzionale ha
ridimensionato la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere.
Il giudice delle leggi ha infatti ritenuto (da ultimo con sentenza n. 48 del 25
febbraio 2015) non conforme al principio di ragionevolezza la previsione di una
presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere per il soggetto
autore di un qualsiasi delitto aggravato dall’art. 7 d.l. n.152 del 1991 (sentenza
num. 57 del 2013) e per il concorrente esterno nella associazione mafiosa
(decisione n.48 del 2015).
I casi, pertanto, sono diversi da quello qui scrutinato, essendo il Vinciguerra
raggiunto da condanna in primo grado per il delitto di partecipazione alla
associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis cod.pen. e non per concorso esterno.

Peraltro, proprio nella decisione n.48 del 2015 la Corte Costituzionale, al fine di
esplicitare le ragioni della declaratoria di incostituzionalità evidenzia i tratti
differenziali tra la partecipazione ed il concorso esterno, affermando che nei
confronti del concorrente esterno non è ravvisabile quel vincolo di «adesione
permanente» al gruppo criminale che è in grado (per converso) di legittimare sul
piano ‘empirico-sociologico’ il ricorso in via esclusiva alla misura carceraria, come
unico strumento idoneo a recidere i rapporti dell’indiziato con l’ambiente
delinquenziale di appartenenza e a neutralizzarne la pericolosità.

adeguatezza della custodia in carcere per il soggetto indiziato di concorso
esterno nella associazione mafiosa possa essere argomento ‘spendibile’ per

t

raggiungere il medesimo risultato lì dove il reato – su cui sono stati raccolti i
gravi indizi di colpevolezza— sia quello di partecipazione alla associazione
medesimay trovandosi, al contrario, argomenti di conferma della ragionevolezza
dell’assetto normativo attuale proprio nella decisione emessa dalla Corte
Costituzionale sulla posizione del concorrente esterno.
Il ricorso va pertanto, nel suo complesso, rigettato.
Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p. comma 1
ter.

Così deciso il 22 maggio 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

E’ pertanto da escludersi che l’abolizione della presunzione assoluta di

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