Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36291 del 08/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36291 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAROFOLO WALTER N. IL 23/04/1968
avverso l’ordinanza n. 177/2014 GIP TRIBUNALE di ROMA, del
13/05/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
lette/s~ite le conclusioni del PG Dott•

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 08/05/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13 maggio 2014, il Giudice per le indagini preliminari
del tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza
presentata da Garofolo Walter, diretta ad ottenere l’applicazione della disciplina
della continuazione in executivis, in relazione a reati per violazione della
disciplina degli stupefacenti, di cui alle sentenze del tribunale di Roma del 2
dicembre 2010 (irrevocabile il 9 marzo 2012 per fatti commessi il 29/10/2010) e
del G.U.P del tribunale di Roma del 23 marzo 2012 ex art. 444 cod. proc. pen.

2.

Richiamati i principi enunciati in tema di continuazione dalla

giurisprudenza di legittimità e la differenza del reato continuato da uno stile di
vita che induce alla reiterazione di condotte criminose, il giudicante escludeva la
comunanza tra gli episodi giudicati, mancando un sicuro e concreto
accertamento della sussistenza dell’unicità del disegno criminoso.

3.

Rigettava altresì l’ulteriore istanza presentata da Garofolo di

rideterminazione della pena in conseguenza della sentenza della Corte
Costituzionale n. 32 del 2004 che aveva determinato la reviviscenza della
normativa antecedente (cd. “Jervolino – Vassalli”), ritenendo carente in capo al
giudice la possibilità di modificare il giudicato.

4. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione Garofolo
Walter, a mezzo del difensore di fiducia, e ne chiede l’annullamento per vizio di
motivazione e violazione di legge. Il giudice dell’esecuzione non aveva valutato
che l’istanza era stata formulata con riferimento allo stato di tossicodipendenza
del condannato. Inoltre, pur in presenza del giudicato era possibile la
rideterminazione delle pena in base alla attuale normativa, più favorevole
rispetto a quella applicata in sede di cognizione che stabiliva in otto anni di
reclusione il minimo edittale.

5. Il Procuratore generale presso questa Corte, ritenuta la fondatezza del
ricorso sotto entrambi i profili denunciati, ha chiesto di annullare l’ordinanza.

CONSIDERATO IN DIRMO
1. Il ricorso è fondato e l’ordinanza impugnata va annullata.
Relativamente, allo stato di tossicodipendenza (risultante nel caso in esame
dalla certificazione del Ser.T. di Roma del 2/3/2013) ed alla modifica introdotta
dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, è stato chiarito che l’innovazione legislativa
1

(irrevocabile il 13 marzo 2013).

deve essere interpretata alla luce della volontà del legislatore, che ha inteso
attenuare le conseguenze penali della condotta sanzionatoria nel caso di
tossicodipendenti, con la conseguenza che tale “status” può essere preso in
esame per giustificare la unicità del disegno criminoso con riguardo ai reati che
siano ad esso collegati e dipendenti, sempre che sussistano anche le altre
condizioni individuate dalla giurisprudenza per la sussistenza della continuazione
(Cass. pen., Sez. 1, 14/02/2007, n. 7190).
Ed allora, non può non rilevarsi che il giudice a quo non abbia di questi

novellatrice dell’art. 671 cod. proc. pen., comma 1.

2. Va ancora considerato che questa Corte di legittimità, nella sua massima
espressione, con le coeve sentenze 26 febbraio 2015, ricorrenti Jazouli, Sebbar e
Marcon, cui si presta adesione, ha risolto i dubbi circa la possibilità di
applicazione della disciplina più favorevole in sede esecutiva, quale conseguenza
della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, dichiarativa della
incostituzionalità degli artt. articoli 4 bis e 4 vicies ter introdotti con il decreto-

legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49
(cd. “Fini-Giovanardi”). È stato quindi accolto il principio per cui pena illegale non è
solo quella superiore alla sanzione edittale massima reintrodotta per effetto della
pronuncia di incostituzionalità, ma anche quella applicata in base alla sanzione prevista
dalla norma incostituzionale. In particolare, si rileva che la sentenza Sebbar, esprimendo
un principio applicabile anche in sede esecutiva, ha rilevato “la valutazione discrezionale
del giudice nella individuazione della pena in concreto da applicare non può prescindere
dagli “indicatori astratti” (il minimo e il massimo edittale) che il legislatore gli ha fornito.
È nell’ambito di quello spazio sanzionatorio che il giudicante deve compiere la sua
valutazione. Con la conseguenza che se detto spazio muta (si restringe o si dilata),
mutano inevitabilmente i parametri entro i quali la valutazione in concreto deve essere
effettuata. Per altro, in tema di sostanze stupefacenti, tale spazio sanzionatorio, con il
ripristino della distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, conseguente alla
sentenza del Giudice delle leggi n. 32 del 2014, è stato sensibilmente ridisegnato,
consentendo, di nuovo, il ricorso ad una forbice edittale (tanto per limitarsi alla sola pena
detentiva) – da due a sei anni di reclusione – di gran lunga meno ampia (e meno severa)
rispetto a quella posta a base delle statuizioni contestate, vale a dire da sei a venti anni
di reclusione (tanto che, come si è anticipato, il massimo della prima corrisponde al
minimo della seconda), così da comporre un quadro di riferimento non paragonabile a
quello tenuto presente al momento delle pronunzie dei giudici del merito e da realizzare,
pertanto, un sostanziale ridimensionamento dello stesso disvalore penale del fatto.

2

principi fatto puntuale applicazione, avendo del tutto ignorato la disciplina

Ed è sostanzialmente per tale ragione che, ad esempio, nella sentenza n.
26340/2014 (Di Maggio), si osserva in particolare che la ripristinata distinzione della
risposta repressiva (che tiene conto della diversa natura delle sostanze stupefacenti),
implicando una così marcata differenza del trattamento sanzionatoti°, comporta la
necessità di rideterminare la pena in concreto (a suo tempo) ritenuta congrua ed
applicata. Invero, una volta mutato il parametro di riferimento, il giudice del merito deve
inderogabilmente riesercitare il potere discrezionale conferitogli dagli artt. 132 e 133 cod.

3. Come specifica Sez. 1, Sentenza n. 32 del 2015 il compito di rimuovere tale
illegittimità compete al giudice dell’esecuzione. Quanto ai poteri di intervento del
giudice dell’esecuzione, la citata pronuncia, ricollegandosi alle SU n. 42858 del
2014, Gatto, ha osservato che esso deve ritenersi dotato dei poteri valutativi
necessari per rimuovere la illegittimità del trattamento sanzionatorio derivante
dalle norme dichiarate costituzionalmente illegittime, fermo restando che
nell’esercizio di tale potere-dovere il giudice dell’esecuzione non ha la stessa
libertà del giudice della cognizione, dovendo procedere nei limiti in cui gli è
consentito dalla pronuncia della cognizione.

4. Alla stregua delle esposte considerazioni l’ordinanza in esame va cassata
con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame che
tenga conto dei rilievi motivazionali innanzi esposti.
Il giudice dell’esecuzione, in particolare, è tenuto a compiere le seguenti
valutazioni:
a) verifica dell’incidenza concreta dello stato di tossicodipendenza ai fini
dell’accertamento della unicità del disegno criminoso con riguardo ai reati che
siano collegati e dipendenti a detto stato, sempre che sussistano anche le altre
condizioni

individuate dalla giurisprudenza per la sussistenza della

continuazione;
b) in ogni caso, procedere alla rideterminazione della pena alla luce della
più favorevole cornice edittale applicabile per tali violazioni in conseguenza della
reviviscenza della precedente disciplina determinatasi per effetto della sentenza
della Corte Costituzionale n. 32 del 2014.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del
Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2015
3

pen.”.

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