Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36273 del 08/07/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36273 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CARCANO DOMENICO

Data Udienza: 08/07/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LENTINI MICHELE N. IL 26/12/1971
avverso l’ordinanza n. 920/2014 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 16/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO
CARCANO;
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Utte.lsentite le conclusioni del PG Dott.

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Ritenuto in fatto.
1.La difesa di Michele Lentini impugna l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro che, in
funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento di applicazione della custodia
cautelare in carcere adottato, nei confronti del ricorrente, dal giudice per le indagini preliminari
per il delitto di estorsione aggravata ex art. 7 legge n. 203 del 1991 in danno dì Saverio
Mustara, titolare dell’impresa Mustara Costruzioni S.r.l., alla quale l’amministrazione
provinciale di Catanzaro affidato in appalto i lavori di pulizia e di costruzione dei relativi argini
2.Ad avviso del giudice del riesame, Saverio Mustara, nonostante abbia escluso danni ai
mezzi e richieste estorsive e ammesso soltanto furti di carburante, mostrava in termini
inequivoci uno stato di soggezione nei confronti di esponenti della locale criminalità come
riferito dal collaboratore di giustizia Bruno Procopio e poi emerso anche nel corso delle
conversazioni intercettate tra Lentini e Gerardo Procopìo tra febbraio e novembre 2011.
Inoltre, elementi significativi, secondo il giudice del riesame, emergono anche dalla
conversazioni del 6 giugno 2011 tra Michele Lentini e Francesco Procopio, intercettate
all’interno dell’autovettura di Gerardo Procopio, nel corso della quale entrambi parlavano di
incontri con Gerardo Procopio. Nei giorni successivi, dalle intercettazioni emergevano numerosi
contatti tra Francesco Procopio e Michele Lentini, in cui si parla di fissazione di incontri e al
richiamo a necessità alimentari e il riferimento è a assidue frequentazioni di Lentini con alcuni
componenti del sodalizio, come descritto descritte dal collaboratore di giustizia Bruno Procopio.
Il Tribunale ritiene altresì che vi siano elementi per confermare l’aggravante dell’art. 7
legge n. 203 del 1991, poiché la vicenda si inserisce in un contesto che, come descritto
Vincendo e Domenico Todaro, riferibile al sodalizio mafioso “Mogiardo-Procopio”, all’epoca
gruppo egemone delle altre organizzazioni presenti nel territorio.
2. La difesa del ricorrente deduce:
2.1.Vizio di motivazione e violazione di legge in ordine al giudizio relativo alla gravità
indiziaria avuto riguardo alla due imputazioni in contestazione residuate in esito alla verifica
operata dal Tribunale del riesame e si fa riferimento a quanto riferito dalla persona offesa. La
fonte del collaboratore sarebbe lo stesso accusato Michele Lentìni.
Si evocano i principio affermati dalla giurisprudenza di legittimità richiesti per la
configurazione di una associazione mafiosa che si distingue come gruppo criminale volto al
controllo del territorio mediante condotte illecite rivolte a un numero indeterminato di soggetti,
mediante intimidazioni che si concretizzano anche per la sua sola esistenza e la capacità di
incutere timore; elementi non ravvisabili nelle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia
Domenico e Vincenzo Todaro.
2.2. Quanto all’estorsione attribuita a Domenico Lentini, la difesa ripercorre i punti
significativi delle dichiarazioni rese da Procopio Bruno, smentiti dalla dichiarazioni della stessa
persona offese dell’asserita estorsione, Saverio Mustara il quale nega di avere mai dato
somme di danaro o subito richieste estorsive

in pietra nell’alveo del fiume “Alca di Sostene Marina”.

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2.3.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante prevista
dall’art. 7 legge n. 203 del 1991, della quale non ricorrono gli elementi richiesti per la sua
configurazione.
L’aggravante è configurabile là dove la condotta violente è percepita come espressione
del gruppo mafioso e comunque realizzata per agevolare l’organizzazione criminale mafioso.
Quid pluris che gli elementi posti a fondamento dell’ordinanza non rivelano e, peraltro, non
sono rinvenibili nelle dichiarazioni dei due collaboratori e dalle conversazioni intercettate.

1.11 ricorso è infondato.
L’impostazione dell’ipotesi d’accusa, ritenuta dal giudice del riesame e riscontrata in base a
quanto è emerso dalle indagini, è quella che emerge dagli elementi che, da un lato, danno
conferma all’esistenza del gruppo mafioso “Mangiardo-Procopio” e, dall’altro, all’operatività del
gruppo sul territorio mediante il controllo delle attività produttive e industriali nel cui ambito si
inserisce l’estorsione in danno dell’impresa “Mustara Costruzioni S.r.l.” aggiudicataria dei lavori
di pulizia del fiume Alaca e della costruzione dei relativi argini.
Il giudice del riesame, dunque, ripercorre il contesto in cui l’estorsione si è sviluppata in
danno della predetta impresa e chiarisce le ragioni per le quali il titolare della stessa tenta di
allontanare ogni sospetto sull’esistenza di atti estorsivi, la cui gravità indiziaria è fondata sulle
dichiarazioni rese da Vincenzo e Domenico Todaro, circa l’esistenza del gruppo criminale, e con
specifico riferimento all’estorsione da Bruno Procopio, il quale chiarisce il ruolo di Michele
Lentini nella vicenda e i collegamenti con esponenti del gruppo mafioso dai quali con i quali
Lentini erano in diretto contatto per tale estorsione. Elementi che trovano specifica conferma
nelle conversazioni intercettate, in sintesi descritte in narrativa.
Sono queste le ragioni per le quali, sulla base delle conversazioni intercettate e delle
parole del collaboratore Bruno Procopio, il giudice del riesame ha ritenuto che la condotta di
Lentini configurasse l’estorsione oggetto dell’ipotesi d’accusa a suo carico, aggravato dal più
volte citato articolo 7 legge n. 203 del 1991; condotta estorsiva che, in tal modo, e rendeva
altresì incontrovertibile la conclusione che l’estorsione era realizzata con metodo mafioso e
finalizzata ad agevolare il “gruppo”.
Quanto alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991, la
decisione dei giudici cautelari è corretta. Le condotte che offrono un contributo significativo
configurano l’aggravante là dove realizzino un agevolazione e un consolidamento funzionale
al perseguimento dei suoi fini, a condizione che tale comportamento risulti assistito, sulla base
di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del
sodalizio criminale.
Il giudice del riesame ha posto la complessiva ricostruzione effettuata dal giudice per le
indagini preliminari con l’ordinanza genetica e, con proprio apprezzamento critico, ha condiviso
l’impostazione accusatoria.

Considerato in diritto

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La completezza che caratterizzata l’ordinanza del giudice del riesame, si consolida per lo
specifico richiamo al contesto territoriale nel quale si inserisce l’attività estorsiva volta al
consolidamento del predominio del gruppo “Mangiardo-Procopio”, per il coerente ragionamento
indiziario sviluppato, in base a quanto descritto nell’ordinanza genetica e acquisto alle indagini,
sulla penetrante operatività nel “territorio” dell’anzidetto gruppo mafioso.
Accreditata, allo stato di alta probabilità indiziaria, la ricostruzione operata dal giudice per
le indagini preliminari, il Tribunale del riesame, mediante accurata e specifica analisi di ogni

Lentini, ma il metodo e le finalità mafiose, ravvisabili anche dall’atteggiamento di omertà della
vittima del reato.
In conclusione, la prognosi indiziaria è stata correttamente sviluppata, in termini del tutto
coerenti con gli elencati dati indiziari e verificata nella complessiva ricostruzione effettuata dal
giudice del riesame che, con proprio apprezzamento critico, ha condiviso l’impostazione
accusatoria nei termini descritti nell’ordinanza genetica.
2. Infine quanto alle esigenze cautelari, la tenuta sussistenza dell’aggravante in funzione
agevolatrice della consorteria mafiosa e la condotta di partecipazione all’associazione
configurano la presunzione prevista dall’art.275 comma 3 c.p.p..
3.11 ricorso va, dunque, rigettato e, a norma dell’art.616 c.p.p., il ricorrente va
condannato al pagamento delle spese processualì.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla
Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, 8 luglio 2015.

elemento acquisito agli atti, non soltanto ritiene corretta l’attribuzione della condotta a Michele

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