Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36265 del 12/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 36265 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SALVATO SALVATORE N. IL 06/03/1948
avverso la sentenza n. 66/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
02/05/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;

Data Udienza: 12/06/2013

Ritenuto in fatto e in diritto.

Con sentenza del giorno 2.5.2011 la corte d’appello di Milano confermava la
pronuncia del Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, in data
26.2.2010 di condanna alla pena di mesi due di arresto ed euro 5000 di ammenda di
SALVATO Salvatore, per il reato di cui all’art. 22 c. 12 d.lgs 286/1998 per aver
occupato alle proprie dipendenze un cittadino extracomunitario sprovvisto di permesso
di soggiorno, così come era stato accertato in Cassano Magnago il 15.2.2007. La Corte

atteso che il fatto che due stranieri stessero lavorando nel cantiere edile di Cassano
Magnago uno per la Edilkricoli srl e l’altro per la CK sas di Cepele Kujtim era stato
accreditato dalle dichiarazioni del geom. Fumò e del brigadiere Ragazzoni , testi
indifferenti, oculari e qualificati che indicarono i due stranieri ( Emisha e Popaj )
vestiti con abiti da lavoro, impegnati a lavorare al momento del loro intervento , a nulla
rilevando che si fosse trattato del loro primo giorno di lavoro.

Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa del solo
Salvato per dedurre manifesta illogicità della motivazione. I motivi di ricorso venivano
ribaditi e ulteriormente argomentati a mezzo di memoria pervenuta in data 24.5.2013.
Non sarebbe stata compiutamente ricostruita la posizione lavorativa dei cittadini
extracomunitari, i due cittadini extracomunitari non risulta che siano stati sentiti, ragion
per cui non sarebbe dato sapere per chi stessero lavorando quando arrivarono i
carabinieri. In particolare, Emisha è stato ritenuto che lavorasse per Edilkrucoli ( di cui
Salvato era presidente del consiglio di amministrazione), sulla base di una mera
presunzione, non ricorrendo alcuno ancoraggio per affermare che fosse stato instaurato
un regolare rapporto di lavoro. Si duole poi la difesa che sia stato ritenuto che il reato
fu compiuto al fine di trarre profitto, laddove al momento in cui il reato fu commesso
tale requisito non era richiesto,per cui era stato sollecitata, senza avere riscontro,
l’espunzione dell’espressione nel capo di imputazione.

Il ricorso è inammissibile perché i motivi involgono valutazioni in fatto e sono
manifestamente infondati. Sull’ultimo motivo indicato va detto che la connotazione
fattuale dell’elemento psicologico in ipotesi contravvenzionale non comporta alcuna
nullità, né deve ritenersi vietata, cosicchè la doglianza non ha alcuna ricaduta sulla
legittimità della sentenza. Quanto agli asseriti deficit motivazionali, va detto che il
discorso giustificativo è stato completo ed aderente alle evidenze disponibili (contributi
testimoniali) che hanno consegnato una inequivoca realtà in cui due cittadini stranieri,
senza regolare permesso di soggiorno furono colti a lavorare nel cantiere di Cassano
Magnago e questo è quanto basta per configurare il reato contravvenzionale in

2.

territoriale riteneva che la ricostruzione dei fatti compiuta in primo grado era corretta,

questione per il quale deve rispondere l’amministratore della società a vantaggio della
quale le prestazione erano indirizzate.
La sentenza di secondo grado è intervenuta prima del decorso del termine di anni
cinque, con il che non poteva essere dichiarato estinto il reato per prescrizione. Oggi,
seppure il termine sia decorso, detta declaratoria è preclusa dal fatto che non si é
correttamente instaurato il rapporto processuale; a causa dell’inammissibilità del
ricorso, è irrilevante il decorso del tempo maturato successivamente (Sez. Un.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare
in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p.

p.q.m.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 12.6.2013.

22.3.2005, n. 23428, Bracale).

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