Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36255 del 02/07/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36255 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIRRI FRANCESCO N. IL 26/10/1980
avverso l’ordinanza n. 28/2013 CORTE APPELLO di MESSINA, del
16/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere D tt. GIUSEPPE GRASSO;
lette/se»fele conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 02/07/2015

FATTO E DIRITTO

1. Pirri Francesco, a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di appello di Messina, depositata il
6/2/2015, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta
detenzione subita, in regime di arresti domiciliari, dall’8/4/2011 al 18/2/2013,
per il delitto di rapina aggravata ed altro in concorso, dal quale verrà poi assolto.

2. La Corte territoriale ravvisò la circostanza escludente del diritto alla
10 comma, cod. proc. pen., e cioè di avere

concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave.

3.

Il Pirri, con l’unitaria esposta censura chiede l’annullamento

dell’ordinanza impugnata criticando il ragionamento della Corte territoriale,
anche sotto il profilo della violazione di legge.
Il Giudice dell’ingiusta detenzione, errando, aveva investito il ricorrente di un
improprio giudizio di responsabilità, invece smentito dal giudice del merito;
inoltre, con manifesta inadeguatezza motivazionale non aveva chiarito in cosa
fosse consistita la colpa grave del medesimo, al quale non si sarebbe potuta
addebitare la scelta del silenzio, manifestazione intangibile del diritto di difesa,
che non aveva l’obbligo di fornire al GIP una «plausibile ricostruzione». Né il
Giudice dell’ingiusta detenzione aveva inteso spiegare il nesso causale tra le
pretese rilevate discrasie e l’apparenza di colpevolezza.

4. In data 5/6/2015 perveniva atto costitutivo dell’Avvocatura Generale
dello Stato nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con il quale
si chiedeva rigettarsi il ricorso.

5. Il ricorso è fondato per quanto appresso.

5.1. La giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso
tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del
15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il
giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o

riparazione di cui all’art. 314,

violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
non contradditorio e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere
dallo istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo
della libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecito
contestato.

5.2. Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento

risarcimento in esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe
su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo,
della regola che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve
intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi
dell’art. 314 comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un
evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o
meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e
volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento per I -a riparazione con
il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza
comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e
di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui
interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art.
314 c.p.p., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per
evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di
leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non
voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si
sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o
nella mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995,
n. 43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia
processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non

in cui fa applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al

integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).
Peraltro, intangibile il diritto al silenzio e anche al mendacio, è evidente che
in presenza di una situazione fattuale che integri gravi indizi di colpevolezza a
carico dell’indagato, ove costui sia portatore di conoscenza capace di pienamente
ripristinare la verità dei fatti, non può pretendere di avvantaggiarsi
dell’indennizzo di legge, ove non abbia fornito tempestivamente quel minimo di
collaborazione che sarebbe stata idonea a fare piena luce.

comportamenti di cui sopra detto, estranei alla condotta di reato addebitata e,
tuttavia, risultati rilevanti per l’emissione del provvedimento restrittivo della
libertà personale, con grave incongruenza logica, dopo aver pedissequamente
riportato il contenuto dell’ordinanza custodiale, rinviene la colpa grave nella
seguenti circostanza: <> e a sposare la
tanto perentoria quanto vacua affermazione secondo la quale la scelta del
silenzio aveva

<>.

normativo e dal corretto logico inferire. Invero, solo dopo avere individuato una
condotta gravemente colposa del tipo di quelle che si è prima evidenziato il
giudice dell’indennizzo può pretendere che il richiedente renda plausibili
spiegazioni. Diversamente, costui, sarebbe chiamato a fornire la prova della
propria innocenza, nonostante la presenza della sentenza liberatoria, per
accedere al ristoro che la legge gli nega nel solo caso in cui abbia, con colpa
grave, tenuto comportamenti tali da aver interferito sulla determinazione
giudiziale che impose la restrizione cautelare.
In definitiva, deve concludersi nel senso che il silenzio dell’indagato non può
equipararsi a condotta gravemente colposa, salvo il caso in cui, come si è detto,
tale atteggiamento procuri una decisiva perdita di sapere, che la condotta
collaborativa avrebbe evitato.
Il giudizio valutativo,

poi, sulle ragioni dell’assoluzione, oltre che

inconcludente, risulta manifestamente irrilevante: al giudice dell’ingiusta
detenzione non è consentito rivalutare la sentenza di assoluzione; ma,
esattamente al contrario, utilizzando quanto accertato da questa, negare il
ristoro ove venga individuata una condotta del richiedente dolosa o gravemente
colposa che abbia perlomeno rafforzato il compendio indiziario posto a base della
misura cautelare.
Ora non solo* sono rimasti ignoti, come si è detto, i comportamenti
gravemente sospetti ai quali la Corte di merito fa riferimento, ma neppure viene
affermato che trattasi di condotte diverse da quelle contestate in sede penale e
non smentite dal giudice dell’imputazione. Condotte, come si è chiarito prima,
messe in atto con colpa grave, tali da aver fatto apparire plausibile il quadro
indiziario delineatosi a carico.
Ovviamente, proprio perché si tratta di fatti esterni alla sfera volitiva del
richiedente l’indennizzo, non può a costui addebitarsi il quadro indiziario in
generale, né, tantomeno, l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie di terzi;

Trattasi d’una inversione della prova del tutto disancorata dal testo

dichiarazioni, queste, che ben possono avere giustificato l’emissione della misura
cautelare e che, tuttavia, non hanno retto al vaglio di merito.
In definitiva, la Corte messinese confonde i piani della decisione che è
chiamata a rendere, che, esclusa ogni rivisitazione del giudizio assolutorio, deve
negare accesso all’indennizzo ove consti che il richiedente abbia, per grave
imprudenza, sciatteria, negligenza o violazione di norme, o, addirittura, per dolo,
contribuito ad ingenerare negli inquirenti il sospetto di colpevolezza (solo a titolo
d’esempio, basti pensare a condotte esibite per mera millanteria; conversazioni,
che per il linguaggio utilizzato corroborino la specifica accusa; omessa

specifico e liberatorio; comportamenti di sintomatico evitamento, quali fughe e
distruzione di oggetti che al momento appaiano di rilievo indiziario univoco;
frequentazioni immediatamente ricollegabili al fatto di reato addebitato, sulla
base di circostanze puntuali ecc.).

6. Nel giudizio di rinvio, conseguente all’annullamento dell’ordinanza
impugnata, la Corte territoriale dovrà verificare, sulla base dei principi sopra
enunciati, riscontrati dagli atti processuali, se e quali condotte del ricorrente, non
escluse dalla sentenza assolutoria, abbiano avuto efficacia causale nell’emissione
del provvedimento restrittivo. Condotte, ovviamente, implicanti violazione di
quelle minime regole di cautela il cui rispetto è da attendersi da tutti i consociati,
in base al principio di autoresponsabilità. Ciò significa che in sede di rinvio dovrà
farsi luogo all’approfondita individuazione dei comportamenti specifici di sospetto
messi in atto dal ricorrente, estranei al fatto di reato e rimasti non
giudizialmente smentiti; infine, alla verifica dell’effetto causale degli stessi
comportamenti sull’irrogazione della misura.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello
di Messina cui rimette il regolamento delle spese tra le parti del presente
giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio del 2/7/2015.

collaborazione al ripristino della verità, ove il soggetto sia portatore di un sapere

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