Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36246 del 10/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36246 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
,
I
Sutricorsdi proposti da:
4)

PROCURATORE GENERALE presso la Corte d’appello di Bologna
Nei confronti di
NATIVI LIVIO

n. il 29.03.1964

2). Nonché dallo stesso
NATIVI LIVIO

avverso la sentenza n. 2756/2012 della Corte d’appello di Bologna del
4.12.2012
Visti gli atti, la sentenza ed i ricorsi
Udita all’udienza pubblica del 10 giugno 2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Francesco Iacoviello che
ha concluso per il rigetto del ricorso.

Gli avv.ti Rita Nanetti e Libero Mancuso, difensori delle parti civili, chiedono il
rigetto del ricorso dell’imputato e l’accoglimento dei motivi del ricorso del
P.G., depositano conclusioni scritte e nota spese.

Data Udienza: 10/06/2014

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 2.2.2012, ha ritenuto
NATIVI LIVIO responsabile del delitto di omicidio colposo, con violazione
delle norme sulla circolazione stradale, per aver tamponato il ciclomotore Ape
Piaggio che lo precedeva, condotto dal quindicenne CORRADINI MATTIA, in
fase di regolare svolta a sinistra, sbalzandolo nella corsia opposta dove
sopraggiungeva altra autovettura condotta da ELMI GIANNI, che, non
potendo evitare l’impatto, provocava al CORRADINI lesioni personali tali da

149 CDS (guida con velocità tale da non poter mantenere il controllo del
veicolo e compiere le manovre di arresto in sicurezza, e mancato rispetto
delle distanze di sicurezza); nel guidare l’autovettura in stato di alterazione
da assunzione di sostanze alcoliche (2° comma lett. a) art. 186 del C.d.S.);
nonché del reato di omissione di soccorso ex at. 189 CDS non avendo
ottemperato all’obbligo di fermarsi e di sottoporsi al test alcoolimetrico, in
Granaglione il 7.1.2011.
Il Tribunale ne riteneva dimostrata la responsabilità sulla base degli
atti da cui risultava che il veicolo del CORRADINI, fermo sulla via Porrettana
in fase di regolare svolta a sinistra, con la freccia direzionale accesa, era stato
da dietro tamponato dal veicolo che lo seguiva e sbalzato sulla opposta corsia
dove sopraggiungeva la BMW condotta da ELMI che lo aveva inevitabilmente
investito uccidendolo. Sul posto era stato trovata una fascia sagomata in
plastica di una Punto e alcune telecamere avevano ripreso allontanarsi un
veicolo con un faro anteriore sinistro spento; l’auto era stata, poi, ritrovata,
danneggiata, dai CC il giorno successivo, poco distante da dove il NATIVI era
rintracciato presso la convivente ed arrestato.
NATIVI aveva ammesso il tamponamento, ma giustificandosi che si
era trovato all’improvviso il mezzo davanti e che si era allontanato
terrorizzato.
Le consulenze tecniche avevano concluso univocamente nel senso
della disattenzione e della violenza dell’impatto del NATIVI, e della
inevitabilità dell’urto con ELMI, che urtò l’APE rovesciata, dal poco resistente
tettuccio, le cui lamiere introflesse avevano causato alla vittima lesioni
mortali; le testimonianze avevano confermato che NATIVI era in evidente
stato di ebbrezza, avendo bevuto molto a pranzo e anche dei superalcolici in
un vicino bar poco dopo, che dopo l’incidente aveva chiamato la convivente e
si era presentato da lei chiedendole se i carabinieri l’avevano cercato e
prospettandole di dire che era lei alla guida.

.2._

cagionarne la morte; colpa specifica consistita in violazione degli artt. 141 e

La Corte d’appello di Bologna, adita dall’imputato, con la sentenza
indicata in epigrafe, in parziale riforma di quella di primo grado, ha
rideterminato la pena, confermando l’affermazione di responsabilità,
ritenendo i motivi di grave sul punto infondati.
Ricorrono per cassazione il NATIVI e il Procuratore generale presso la
Corte d’Appello di Bologna.
Il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Si
argomenta che la motivazione appare illogica laddove, in ordine al profilo

dell’indicazione della misura della divergenza tra la condotta tenuta dal
prevenuto e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare a
cui attenersi. Ed in particolare, male si concilia il percorso logico seguito con
la conseguente pena irrogata, che appare sproporzionata se riferita al poco
significativo grado di colpa. Quanto al ritenuto stato di ebbrezza, al momento
della guida, esso non è affatto rimasto provato, desunta dai giudici solo sulla
base di quanto riferito dalle persone presenti al pranzo consumatosi nelle ore
precedenti al sinistro, per cui è irragionevole l’attribuzione del reato di cui
all’art. 186 del C.d.S..
In sostanza, l’erronea applicazione della legge penale si evince nella
valutazione del grado della colpa, e dunque la scelta di irrogare una pena di
gran lunga superiore al minimo edittale dimostra come i criteri di valutazione
siano stati del tutto omessi.
In linea con la manifesta illogicità della pronuncia si pone la mancata
applicazione delle circostanze attenuanti generiche
Il Procuratore generale censura la sentenza impugnata per avere con
motivazione illogica e contraddittoria, a fronte di un comportamento di guida
gravemente colposo e di quello successivo di allontanamento dal posto del
sinistro senza preoccuparsi di portare soccorso alla vittima dell’incidente da
lui causato, diminuito la pena irrogata dal Tribunale.

RITENUTO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi vanno rigettati, apparendo i relativi motivi infondati
(qualcuno del ricorso del NATIVI anche non consentito in sede di legittimità).
A ben vedere le censure mosse dai ricorrenti alla sentenza
impugnata riguardano la pena, ed infatti, con il primo motivo del ricorso,
l’imputato denuncia violazione di legge, sotto il profilo di carenza o
contraddittorietà della motivazione, per la divergenza del grado della colpa
ritenuto in sentenza, non elevato, giustificato da alcune circostanze

oggettivo della colpa, si caratterizza per la sommarietà, poiché carente

contingenti (la distanza di sicurezza con il veicolo che lo precedeva, la
contenuta velocità e la distrazione dovuta ad un litigio con il passeggero della
sua auto, e la mancata prova dello stato di ebbrezza), e l’eccessività della
pena inflitta, per altro, senza neanche il riconoscimento delle attenuanti
generiche. Dal suo canto, il Procuratore generale ricorrente censura la
motivazione della Corte d’appello analizzando le stesse circostanze addotte
dalla difesa, con particolare riferimento alla condotta di guida (velocità
sostenuta) ed al comportamento di fuga successivo all’incidente con

legittimare la diminuzione della pena inflitta dal Tribunale.
Ciò precisato, va ricordato che la determinazione della misura della
pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere
discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se
abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133
c.p. (da ultimo, Cass., Sez. 4″, 13 gennaio 2004, Palumbo) e che deve
ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla
determinazione in concreto della misura della pena, allorchè siano indicati
nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della
complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
(V da ultimo Sez. 1, Sentenza n. 3155 del 25/09/2013 Ud. Rv. 258410). A
ciò dovendosi aggiungere che non è neppure

4 necessaria una specifica

motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una
fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (di recente, Cass., Sez. 4^, 4
dicembre 2003, Cozzolino ed altri).
La Corte distrettuale in ordine alla richiesta dell’imputato di riduzione
della pena ha puntualmente evidenziato, ancorché a fronte di un
comportamento di guida gravemente colposo, che le giustificazioni addotte
dal NATIVI, benché non possano scusare in alcun modo la sua riprovevole
condotta, tuttavia, insieme alla considerazione della quasi incensuratezza,
hanno potuto legittimare la rideterminazione del trattamento sanzionatorio
applicato dal primo giudice:
Quanto poi, alla rinnovata censura dell’imputato inerente a vizio di
motivazione con riguardo alla denegata concessione delle attenuanti
generiche si osserva che sul punto ritiene il Collegio di dover evidenziare che,
secondo il condiviso orientamento di questa Corte, “in tema di attenuanti
generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è
quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole
all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari

omissione di soccorso, evidenziando che esse erano di ostacolo a poter

e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso
si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento
non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo
all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di
giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al
contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se
ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in
positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione

17/01/2013 Ud. ; Rv. 254716Sez. 6,

(Sez. 5, Sentenza n. 7562 del
Sentenza n. 14556 del

25/03/2011 Ud. Rv. 249731Cass. sez. 1, 19.10.1992 n. 11361,rRy
192381).
Orbene, nel caso di specie, a parte la censura di contraddittorietà
della motivazione nella quantificazione della pena, deve rilevarsi che nessun
argomento a favore della tesi della concessione delle suddette attenuanti
generiche è stato proposto o sviluppato dal ricorrente in modo convincente,
ma è stato solo meramente prospettato ; e deve altresì rilevarsi che
correttamente i giudici di merito, nel rigettare la richiesta di applicazione delle
circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., hanno fatto
riferimento nell’esercizio del Oro ampio potere discrezionale ai parametri di
cui all’art. 133 c.p. evidenziando, per come si legge nella sentenza di primo
grado, le cui motivazioni si integrano con quelle del giudice di appello, alla
gravità dei fatti ed all’assenza di qualsivoglia comportamento processuale di
resipiscenza in qualche modo valutabile in favore dello stesso.
Ritiene il Collegio che, a fronte di tale motivazione, il potere
discrezionale in punto di trattamento dosimetrico, alla luce della pena inflitta,
è stato dalla Corte del merito correttamente esercitato.
Del tutto infondata è la censura relativa al vizio di motivazione in
ordine alla ritenuta responsabilità di una guida in stato di ebbrezza, ancorché
penalmente non rilevante, avendo la Corte richiamato le numerose
testimonianze che confermavano l’assunzione di alcolici da parte del NATIVI,
pertanto, la questione si risolve in un accertamento in fatto non proponibile in
questa sede di legittimità.
Il NATIVI va condannato al pagamento delle spese processuali;
ricorrono giusti motivi, atteso il mancato accoglimento del ricorso del
Procuratore della Repubblica, cui si erano riportati i difensori di parte civile, di
compensare le spese di questo giudizio tra le parti private.

del trattamento sanzionatorio”

P.Q.M.
Rigetta I ricorsi e condanna l’imputato al pagamento delle spese
processuali.
Compensa le spese tra le parti private del presente giudizio.
Così deciso in Roma all’udienza del 10 giugno 2014
Il Presidente

nsigliere estensore

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