Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36246 del 03/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 36246 Anno 2013
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MUTO FRANCESCO N. IL 13/05/1940
avverso la sentenza n. 380/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 03/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 03/04/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata il 3 maggio 2012 la Corte di appello di
Catanzaro ha confermato la sentenza emessa il 13 ottobre 2011 dal
Tribunale di Paola, con la quale Muto Francesco era stato dichiarato
responsabile del reato previsto dall’art. 9, comma 2, legge n. 1423 del
1956, perché, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza
speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Cetraro per il periodo di

l’autovettura Smart, targata CT 619 SE, senza aver mai conseguito la
patente di guida, in Cetraro, il 16/08/2011; e per tale fatto condannato,
previa esclusione della recidiva e riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, alla pena di sei mesi di reclusione all’esito di giudizio
abbreviato.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Muto tramite i suoi difensori di fiducia, avvocati Michele Rizzo e Nicola
Guerrera, i quali deducono due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo denunciano l’erronea qualificazione del fatto
come delitto ai sensi del comma secondo dell’art. 9 legge n. 1423 del 1956
anziché come contravvenzione a norma del comma primo dello stesso
articolo.
2.2. Con il secondo motivo lamentano la violazione di legge con
riferimento agli artt. 25, commi 2 e 3, Cost. e all’art. 1 cod. pen., in
relazione agli artt. 5, comma 3, e 9, commi 1 e 2, della legge n. 1423 del
1956; e prospettano questione di illegittimità costituzionale dei predetti
articoli della legge n. 1423 del 1956 per contrasto con gli artt. 25, comma
2, e 3 Cost.

CONSIDERATO in DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza di entrambi i
motivi.
1.1.

Il

primo motivo è manifestamente infondato, poiché, come

riconosce lo stesso ricorrente, la costante giurisprudenza di questa Corte
ritiene che l’art. 9, comma secondo, della legge n. 1423 del 1956, nel testo
novellato dalla legge 31/07/2005, n. 155, punisca come delitto qualunque
tipo di inosservanza sia degli obblighi, sia delle prescrizioni inerenti alla
sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, e non solo la
1

quattro anni, in violazione dell’art. 6 della legge n. 575 del 1965, conduceva

violazione delle disposizioni in tema di soggiorno (c.f.r., ex plurimis, Sez. 1
n. 47766 del 6/11/2008, dep. 23/12/2008, Lungari, Rv. 242748).
1.2. Anche il secondo motivo e la prospettata questione di illegittimità
costituzionale sono manifestamente infondati.
Con recente sentenza n. 282 del 2010 la Corte costituzionale ha
affermato la legittimità costituzionale dell’art. 9, comma secondo, legge n.
1423 del 1956 e successive modifiche, in relazione all’art. 5, comma terzo,

della prescrizione di “rispettare le leggi”. Il giudice delle leggi ha osservato
che la suddetta prescrizione non è indeterminata, in contrasto con l’art. 25
Cost., poiché si riferisce al dovere, imposto al prevenuto, di rispettare tutte
le norme a contenuto precettivo che impongano, cioè, di tenere o non
tenere una certa condotta e, dunque, non solo le norme penali, ma qualsiasi
disposizione la cui inosservanza sia ulteriore indice della già accertata
pericolosità sociale; ha aggiunto che non vale addurre che il rispetto delle
leggi è un obbligo generale, riguardante tutta la collettività, perché il
carattere generale dell’obbligo, da un lato, non ne rende generico il
contenuto, e, dall’altro, conferma la sottolineata esigenza di prescriverne il
rispetto a persone nei cui confronti è stato formulato, con le garanzie
proprie della giurisdizione, il giudizio di pericolosità sociale, senza perciò
violare il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Cost.
Coerentemente la giurisprudenza di questa Corte ammette il concorso
formale tra ogni singolo reato, commesso dal soggetto sottoposto alla
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, e la simultanea violazione della
prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi, ai sensi dell’art.
9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, (c.f.r., tra le molte, Sez. 1, n.
4893 del 15/01/2009, dep. 04/02/2009, Rullo, Rv. 243350).

2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il
minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

2

stessa legge, laddove sanziona con la pena della reclusione l’inosservanza

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, in data 3 aprile 2013.

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