Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36232 del 03/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 36232 Anno 2013
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ASCIONE MICHELE N. IL 01/04/1981
avverso l’ordinanza n. 6601/2011 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 11/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 03/04/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata in data 11 maggio 2012 e depositata il
successivo 16 maggio, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il
reclamo avverso il decreto del Ministro della giustizia, in data 13 ottobre
2011, di proroga per anni due del regime differenziato, ex art. 41-bis Ord.
Pen., applicato nei confronti di Ascione Michele, detenuto in espiazione di

dall’il giugno 2007, per aver partecipato all’associazione per delinquere di
tipo mafioso, denominata Ascione-Papale, dal marzo 2003 al luglio 2005, e
per aver militato nell’associazione finalizzata al narcotraffico, con
l’aggravante della finalità di agevolazione del sodalizio mafioso, dall’aprile
2003 all’aprile 2005; in entrambi i casi senza rivestire ruoli apicali.
Ad avviso del Tribunale, la proroga del suddetto regime penitenziario è
giustificata, alla luce delle aggiornate informazioni assunte dalle autorità
competenti e puntualmente richiamate nella narrativa del provvedimento,
dai seguenti elementi: a) il profilo criminale del detenuto e la posizione
assunta in seno all’associazione criminale tale da qualificarlo, ancorché non
capo dell’omonima organizzazione e in posizione inferiore rispetto a quella
dello zio, Ascione Giovanni, come membro investito di incarichi di sicuro
rilievo (destinatario finale dei proventi dell’attività di spaccio, incaricato del
pagamento degli stipendi agli accoliti, delegato ad incontrare i reggenti dei
clan mafiosi limitrofi e investito di ampi poteri di organizzazione e gestione,
specie economica, quali il rifornimento degli stupefacenti, il commercio delle
armi, le estorsioni e le relative richieste intimidatorie); b) l’attualità della
faida che contrappone la cosca Ascione-Papale di appartenenza del
ricorrente alla cosca Birra-Iacomino, come indicato nell’ordinanza di
custodia cautelare in carcere del GIP di Napoli, in data 12/04/2011, di cui
era stato destinatario altro componente dell’associazione, Ascione Mario,
per il tentato omicidio di Langella Ciro, commesso nell’aprile 2008; c)
l’attualità dell’attività criminale attribuita alla medesima cosca, risultante da
altra ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 23 maggio 2011
dal GIP di Napoli nei confronti del capo, Ascione Giovanni, per estorsioni
aggravate commesse fino al dicembre 2009; d) il perdurante impegno
dell’associazione criminale a mantenere le famiglie dei detenuti, accertato
nella sentenza di condanna, a conferma della continuità del legame
associativo in corso di detenzione.
Sussistono, dunque, secondo il Tribunale, tutti gli elementi per ritenere,
in concreto, l’attuale pericolo di collegamenti del reclamante con la
i

condanna alla pena di anni dieci e mesi sei di reclusione, con decorrenza

criminalità organizzata, essendo Ascione Michele in grado di trasmettere
all’esterno ordini e disposizioni dirette all’organizzazione criminale, per la
sua posizione di rilievo nell’associazione, tuttora operativa, e per l’aura di
“rispetto” che l’avvolge.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’Ascione
tramite il difensore di fiducia, il quale deduce, con unico motivo, la

concretamente la persistenza, attuale ed effettiva, del legame del ricorrente
con la consorteria di provenienza, non essendovi elementi certi a sostegno
della ritenuta permanente pericolosità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta basato su motivi non consentiti nel giudizio di
legittimità.
L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i
provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono
prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando
risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione
criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art. 41-bis, a norma del quale il
Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
2

mancanza di motivazione poiché non sarebbe stata dimostrata

scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

2. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente il vizio di violazione di legge per inosservanza

del ricorrente di mantenere contatti con il gruppo mafioso di appartenenza,
tende in realtà a provocare una non consentita rivalutazione delle
circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità.
L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente apprezzato gli
elementi risultanti agli atti, senza violare la legge penale sostanziale e
processuale, sottolineando l’attuale operatività del sodalizio mafioso e, in
esso, il ruolo di rilievo, ancorché non dirigenziale, esercitato dall’Ascione
con la coerente affermazione, in assenza di elementi concreti da cui
desumere la rescissione dei vincoli delinquenziali, dell’attuale pericolo che il
detenuto possa alimentare i collegamenti con l’associazione criminale di
appartenenza, ove sottoposto al regime penitenziario ordinario.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000), al
versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria
che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 3 aprile 2013.

dell’art. 41 bis Ord. Pen., sul presupposto dell’inesistenza di attuale capacità

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