Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36208 del 13/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 36208 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti nell’interesse di

Nascimbene Maria Teresa, nata a San Martino Sicconnario il 31/03/1948

Poma Cristina, nata a Pavia il 07/02/1963

Rossi Vittorio, nato a Pavia il 28/06/1954

avverso la sentenza emessa il 14/10/2013 dalla Corte di appello di Milano

visti gli atti, la sentenza impugnata ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi:

per la Nascimbene, l’Avv. Orietta Stella
per la Poma, gli Avv.ti Alessandra Stefano é Dino Cristiani Contardo

per il Rossi, l’Avv. Carlo Baccaredda Boy

i quali hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi, e l’annullamento
della sentenza impugnata

Data Udienza: 13/02/2015

RITENUTO IN FATTO

1. L’08/06/2011, il Tribunale di Pavia condannava a pene ritenute di giustizia
Maria Teresa Nascinnbene e Cristina Poma, in relazione a un delitto di
appropriazione indebita aggravata (entrambe) e ad un ulteriore addebito di
circonvenzione d’incapace (la sola Nascimbene). I fatti si riferivano a vicende
occorse negli ultimi anni di vita di Angelo Cazzani, deceduto ultracentenario nel

grado di provvedere a se stesso, aveva assunto da anni la Nascimbene come
domestica, e nel luglio 2005 la aveva nominata:
– con atto in data 5, suo procuratore generale ad negotia, affinché costei potesse
“compiere qualsiasi atto di amministrazione ordinaria e straordinaria e di
disposizione, relativamente a tutti i beni, mobili e immobili” di proprietà dello
stesso Cazzani;
– con testamento pubblico in data 11, sua erede universale.
Gli atti in questione erano stati formati presso l’abitazione del Cazzani, sita
in Pavia, ed ivi ricevuti dal notaio Dott. Vittorio Rossi: in entrambe le occasioni,
l’anziano risultava aver dichiarato di essere impossibilitato a sottoscrivere a
causa di una “debolezza senile agli arti”. In seguito, con il Cazzani ancora in
vita ma ancor prima della fine del 2005, la Nascimbene aveva concluso sei atti di
compravendita con i quali (in forza della procura anzidetta) aveva disposto del
cospicuo patrimonio immobiliare dell’uomo, per un corrispettivo complessivo di
4.664.500,00 euro, di cui 1.090.000,00 euro attestati come già versati dagli
acquirenti al momento della stipula: dei contratti de quibus, quattro si erano
perfezionati a rogito del ricordato Dott. Rossi.
Nel gennaio 2006, a seguito di autonome indagini su fatti diversi svolte dalla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Imperia, la Nascimbene veniva
attinta da un provvedimento restrittivo della libertà personale (la misura
risultava emessa, fra gli altri, a carico di tali Roberto Rossetto e Luciano Ignazio
Rossetti, i quali avevano svolto la funzione di testimoni all’atto del rilascio della
procura generale del 05/07/2005). L’episodio consentiva ad alcuni prossimi
congiunti del Cazzani di prendere conoscenza della stipula degli atti sopra
ricordati, e di verificare altresì – all’esito della successiva interdizione
dell’anziano, con nomina di un tutore – che la Nascimbene aveva acceso un
conto corrente il 14/07/2005, sul quale erano confluiti i denari ricavati dalle
vendite concluse nei mesi successivi: alla data del 31/01/2006, nondimeno, il
saldo del conto medesimo risultava pari a soli 135,30 euro.

marzo 2006; l’anziano, che secondo l’ipotesi accusatoria era da tempo non più in

Il processo di primo grado veniva celebrato nei confronti:
– del notaio Rossi e della Nascimbene, per il reato di cui agli artt. 110, 479, 61
nn. 2, 5, 7 e 11 cod. pen. [capo 1)], in ordine alle presunte falsità attestate nella
procura generale, sul presupposto che il Cazzani, “per le condizioni di degrado
fisico e mentale risultanti dalla documentazione sanitaria in atti”, ivi comprese le
cartelle cliniche afferenti i suoi molteplici ricoveri ospedalieri tra il 2003 e il 2005,
non fosse “capace né di rappresentarsi le conseguenze dell’atto redatto dal
notaio, né di manifestare le complesse dichiarazioni che costituiscono il

e Rossetti, testimoni all’atto de quo, venivano prosciolti all’esito dell’udienza
preliminare);
– ancora del notaio Rossi e della Nascimbene, per l’identica ipotesi di falso
ideologico relativa al testamento dell’11/07/2005 [capo 2)], e sempre in ragione
dello stato di salute dell’anziano, incompatibile con quanto ivi attestato (nei
confronti di coloro che erano stati testimoni in occasione di quel secondo atto
pubblico, Annalisa Bertolotti ed Elena Zucca, interveniva parimenti sentenza di
non luogo a procedere);
– degli stessi Rossi e Nascimbene, per concorso in abuso d’ufficio, consistente
nella violazione delle norme di legge sulla disciplina della professione notarile
[capo 3)];
– della Nascimbene e del Rossi, per il reato di cui agli artt. 110, 643, 61 nn. 7 e
11 cod. pen. [capo 4)], per avere essi indotto il Cazzani, abusando del suo “stato
di demenza senile o comunque di deficienza psichica”, ad attribuire alla donna i
poteri correlati alla procura generale del 05/07/2005, nonché a disporre dei
propri beni in favore della stessa, con il successivo testamento;
– della Nascimbene e dell’Avv. Cristina Poma, per concorso in appropriazione
indebita pluriaggravata [capo 5)], quanto al ricavato degli atti di vendita degli
immobili di proprietà del Cazzani e delle somme depositate sui conti correnti
riferibili a quest’ultimo: la Ponna, in particolare, “per avere concorso
nell’ideazione ed esecuzione del reato, apprestando assistenza legale ed
assistendo agli atti di compravendita immobiliare sopra indicati”.
Nel corso del giudizio di primo grado si costituivano parti civili Delfina Reina,
Luigia Cazzani ed Eugenio Cazzani, congiunti del defunto, e venivano acquisite
alcune intercettazioni compiute nell’iniziale procedimento iscritto ad Imperia;
all’udienza del 12/05/2010, i reati di cui ai capi 2), 3) e 4) venivano contestati
anche all’Avv. Poma, ai sensi dell’art. 517 del codice di rito.
All’esito del processo, il Tribunale dichiarava la penale responsabilità delle
sole Poma, quanto al capo 5), e Nascinnbene, per il medesimo capo 5) e per il
reato sub 4), limitatamente all’episodio della procura generale; le somme

contenuto dell’atto, né di percepire suoni e stimoli verbali” (gli anzidetti Rossetto

complessive oggetto dell’appropriazione indebita venivano quantificate in
1.837.000,00 euro, con riferimento al totale dei prelievi dal conto corrente
bancario acceso nel luglio 2005, da ritenere effettuati sine titulo.

A proposito

della Poma, gli elementi a carico erano evidenziati nelle circostanze dell’avere
ella predisposto gli atti preliminari di compravendita, favorito una più sollecita
conclusione della vicenda attraverso l’alienazione in blocco dell’intero fabbricato
di proprietà del Cazzani e consigliato la Nascimbene sulle più efficaci modalità di
occultamento del ricavato di quelle operazioni.
Il Tribunale, in relazione agli ulteriori delitti contestati ed analizzando in

12 della successiva pronuncia della Corte di appello di Milano, emessa il
14/10/2013), disattendeva invece «le conclusioni dei c.t. del P.M. e della parte
civile, ritenendo, anche alla luce di alcune deposizioni testimoniali e del
contenuto di alcune conversazioni telefoniche intercettate, non raggiunta la
prova che il Cazzani, nel luglio del 2005, fosse incapace di intendere e di volere,
o in stato psicofisico così defedato da non riuscire a proferire parola o da
mostrare in altro modo i segni evidenti della demenza, ossia della totale
incomprensione di quanto avveniva davanti a lui, ritenendolo in grado di
percepire suoni e stimoli verbali e di manifestare il proprio pensiero […], in grado
(o quanto meno appariva tale) di capire quanto avveniva davanti a lui e anche di
rappresentarsi le conseguenze dei propri gesti e delle proprie parole». Doveva
perciò concludersi che, in presenza di una volontà comunque palesata dal
disponente in occasione dei due atti, non vi fosse spazio per ravvisare i reati di
falso, per i quali sarebbe stata necessaria «una radicale assenza di dichiarazione
di volontà, ovvero una dichiarazione espressa in maniera così difforme dalle
comuni regole di comunicazione, da non poter essere nemmeno considerata
tale».

2. A seguito di impugnazioni proposte dal P.M., dalle parti civili e dalle
imputate condannate in primo grado, la Corte di appello di Milano – con la
sentenza sopra ricordata, e indicata in epigrafe – riformava la decisione del
Tribunale, dichiarando:
– non doversi procedere nei confronti della Nascimbene e della Poma con
riferimento ai reati di cui ai capi 3), 4) – limitatamente alla procura generale – e
5) della rubrica (sulla declaratoria di estinzione del contestato abuso d’ufficio vi
era una successiva correzione di errore materiale, disposta con ordinanza del
13/01/2014, stante la pronuncia liberatoria del Tribunale ed il ritenuto
assorbimento dell’addebito nelle più gravi ipotesi di falso);

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particolare la posizione del notaio (come poi riportato in sintesi alle pagg. 11 e

- la penale responsabilità della Nascimbene, della Poma e del Rossi con
riferimento ai reati contro la fede pubblica sub 1) e 2). Nella motivazione della
sentenza, i giudici dell’appello precisavano comunque che la condanna
pronunciata nei riguardi della Poma doveva intendersi riferita al solo capo 2).
2.1 La Corte territoriale reputava utilizzabili le intercettazioni telefoniche
compiute nell’ambito del procedimento che aveva avuto inizio ad Imperia, e che
si riferiva ad una presunta associazione per delinquere costituita fra vari soggetti
(tra i quali la Nascimbene ed il Rossetti) al fine di commettere reati di truffa. A
riguardo, richiamata la giurisprudenza di legittimità in tema di interpretazione

indagini relative alla vicenda del Cazzani si inserivano in un contesto riguardante
varie ipotesi criminose, da considerare connesse sul piano probatorio e collegate
sotto il profilo soggettivo con quelle che avevano costituito oggetto dei
provvedimenti dispositivi delle intercettazioni: solo in un momento successivo
era stato disposto uno stralcio per ragioni di competenza territoriale.
2.2 Quanto allo stato mentale del Cazzani all’epoca dei fatti, la Corte
milanese chiariva che risultavano acquisiti in atti plurimi elaborati: una
consulenza curata su incarico del P.M., una a firma di uno specialista nominato
nell’interesse delle parti civili, una per ciascuno dei tre imputati, una svolta
nell’ambito del procedimento per l’interdizione dell’anziano e l’ultima intervenuta
nella causa civile conseguente all’impugnazione della procura e del testamento
più volte ricordati. Solo i consulenti degli imputati avevano sostenuto che il
Cazzani non fosse affetto da demenza, ma il Tribunale aveva comunque ritenuto
– sulla base di dati testimoniali e di indicazioni tratte dalle stesse intercettazioni che egli avesse mantenuto una certa lucidità: fra l’altro, anche dopo avere
compiuto 100 anni l’uomo si era rivelato consapevole delle proprie sostanze,
aveva rappresentato la volontà di ricompensare la Nascimbene per l’assistenza
da lei ricevuta, aveva partecipato ad occasioni di festività e si era dimostrato
consapevole di fatti accadutigli nel presente. Soprattutto, il 23/06/2005 il
medico di famiglia del Cazzani, Dott. Marturano, aveva certificato che il suo
assistito risultava “vigile, cosciente e collaborante. Presenta deficit motori legati
all’età e non su base neurologica. Il paziente non è affetto da demenza senile,
ma presenta lievi deficit cognitivi legati anch’essi all’età»; sempre secondo il
Tribunale, appariva spiegabile la circostanza che lo stesso Dott. Marturano,
escusso nel gennaio 2006 poco dopo l’arresto della Nascimbene, si fosse
espresso in termini diversi con riguardo alla situazione dell’anziano (che la polizia
giudiziaria aveva riscontrato assai più compromessa, come di un soggetto non in
grado di capire cosa gli accadesse intorno). La Corte di appello ricordava altresì
che, stando alla ricostruzione dei giudici di primo grado, era innegabile

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dell’art. 270 del codice di rito, i giudici di secondo grado osservavano che le

«l’apprensione del medico nel trovarsi coinvolto, suo malgrado e seppure nella
veste di persona informata sui fatti, in un’inchiesta per reati contro il patrimonio
che vedeva come persona offesa il suo paziente Cazzani e come indagata la
Nascimbene, persona con la quale egli aveva avuto frequenti rapporti, proprio in
ragione della salute del Cazzani, e tenuto conto che i suoi certificati erano serviti
– e questo il Marturano lo sapeva – proprio per il rilascio delle procure; ciò gli
avrebbe procurato un comprensibile stato di tensione e preoccupazione, tali da
non consentirgli di rendere dichiarazioni con la necessaria serenità».

alla Nascimbene per gli atti di amministrazione ordinaria, alcuni vicini tra cui i
dottori Cianchi ed El Alam, gli stessi parenti del Cazzani) avevano poi descritto il
defunto come, anche nell’ultimo periodo, sostanzialmente presente a se stesso, e
comunque in condizioni non in linea con il quadro offerto da chi ne aveva
ipotizzato la demenza.
La Corte territoriale disattendeva invece le argomentazioni adottate dal
Tribunale, ritenendo di non poterle condividere.
Quanto agli accertamenti tecnici compiuti sulla persona del de cuius, i giudici
di secondo grado muovevano l’analisi dal sicuro, grave disorientamento
riscontrato sull’anziano nel gennaio 2006, quando egli aveva palesato una totale
dipendenza da chi gli prestava assistenza, ed osservavano che «pur dovendosi
dare atto che la progressione di una forma demenziale varia nel tempo in base a
molteplici fattori (sia individuali, che ambientali, etc.), talché a posteriori risulta
talora assai difficile retrodatarne l’insorgenza con chiarezza, non esiste in
letteratura alcuna evidenza scientifica che avvalori, sic et simpliciter, l’ipotesi che
in soli sette mesi una persona possa sviluppare tout court una forma demenziale
che porti la stessa da uno stato di sufficiente efficienza mentale ad un altro di
marcata deficitarietà psichica»; tanto più che al Cazzani, in occasione di
pregressi ricoveri, erano state comunque diagnosticate patologie assai gravi, tra
cui una vasculopatia cerebrale cronica, e che nel periodo luglio 2005 / gennaio
2006 non risultava che egli avesse sofferto di episodi acuti ex se idonei a
comprometterne le capacità cognitive. Contrariamente a quanto osservato dal
Tribunale, a nulla potevano rilevare i parziali stati di vigilanza e coscienza
mostrati dall’uomo nell’ultimo periodo della sua vita, quando era stato comunque
impossibilitato a far fronte alle necessità quotidiane od a rispondere a stimoli
esterni, salvo trovarsi occasionalmente a rispondere a «ordini semplici, di mera
non oppositività rispetto a comandi elementari, per di più riscontrati all’esito
dell’intervento dei sanitari». Nel contempo, non era possibile condividere il
giudizio formulato dai giudici di primo grado in ordine alla plausibilità delle
giustificazioni fornite dal Dott. Marturano onde spiegare la divergenza tra il

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Altri soggetti (il notaio Borri, che aveva rogato una prima procura rilasciata

contenuto della sua testimonianza e le dichiarazioni rese, tempo prima, alla
polizia giudiziaria: l’ipotesi che i verbalizzanti avessero equivocato su alcune
affermazioni del medico, o che costui si fosse trovato in uno stato di tensione
emotiva, appariva una mera congettura, mentre il teste aveva un oggettivo
interesse a descrivere il Cazzani come capace di intendere e di volere (avendo
financo ammesso che la Nascimbene gli aveva promesso uno degli appartamenti,
come ricompensa per la stesura del certificato redatto in vista degli atti notarili).
Non del tutto affidabile doveva parimenti considerarsi la deposizione del

di colui che aveva curato l’atto di compravendita del 19/12/2005, in forza
del quale la Nascimbene aveva venduto il residuo complesso immobiliare
per oltre 4.500.000,00 euro;

di un soggetto che si era dimostrato a conoscenza dei retroscena della
vicenda, tanto da aver rappresentato al telefono all’Avv. Poma,
apprendendo che il suo collega Rossi intendeva intestarsi uno degli
appartamenti, che lo stesso Rossi era “un pazzo, e doveva solo starsene
fuori”, sino a manifestare alla suddetta Ponna – come da costei riferito
alla Nascinnbene in un’altra conversazione intercettata –

il proprio

apprezzamento per l’operazione “perfetta” che era riuscita a
confezionare;

del genero dell’acquirente di uno degli appartamenti venduti dalla
Nascimbene in virtù della procura generale.
2.3 Con riferimento alla appena ricordata procura generale, la Corte

territoriale poneva quindi l’accento sulla stessa descrizione del contesto in cui
l’atto era stato perfezionato, offerta dal Rossi: l’imputato aveva infatti riferito di
aver trovato il Cazzani nudo nel letto, in una stanza semibuia, e di avergli sentito
dire che intendeva “dare la firma a Teresa”. Tale situazione non deponeva per la
piena capacità di un uomo anziano che si presentava senza pudore dinanzi ad un
notaio, mentre il richiamo ad una presunta volontà di consentire alla Nascimbene
di amministrare i suoi beni avrebbe dovuto leggersi alla luce della procura già
rilasciata alla donna qualche tempo prima: sarebbe stato pertanto necessario
accertare se il Cazzani non avesse piuttosto compreso, ove gli fosse stato
possibile, che si trattava di confermare l’atto precedente, che permetteva già alla
Nascimbene la gestione del patrimonio senza però alienare alcunché (tanto più
che lo stesso Cazzani era emerso, su base testimoniale, come un uomo
particolarmente attaccato ai suoi beni, e che mai aveva inteso venderne neppure
una parte).
Per quanto riguardava le disposizioni

mortis causa, la Corte di appello

escludeva che potesse riconoscersi rilievo decisivo alle dichiarazioni rese da

notaio Dott. Borri, trattandosi:

Annalisa Bertolotti, segretaria del notaio Rossi, secondo la quale l’anziano aveva
pronunciato la frase “Ga lasi tut a la Teresa”; la donna, escussa come persona
già imputata in reato connesso, aveva infatti «un interesse personale (oltre che
un debito morale verso il notaio) a riferire che tutto sommato la redazione del
testamento era stata più o meno conforme alla volontà apparente del Cazzani».
Inoltre, quella versione risultava in netto contrasto rispetto alle sommarie
informazioni della stessa Bertolotti dinanzi alla Guardia di Finanza, e non poteva
comunque ritenersi credibile che ella si fosse trovata in grave confusione, né che
gli inquirenti avessero verbalizzato in modo fuorviante il suo narrato. In ogni

né rappresentato a chicchessia la volontà di nominare la Nascimbene come
propria erede: ancora il giorno del centesimo compleanno, vale a dire nell’aprile
2002, egli aveva anzi palesato (alla presenza dei nipoti e della stessa
Nascimbene) il ben diverso proposito di voler “fare alla Teresa un contratto di
lunga durata”. L’altra testimone presente all’atto del testamento, Elena Zucca,
aveva del resto rappresentato al proprio convivente (il Geom. Criaco, che aveva
deposto sul punto dopo che la Zucca, già coimputata, si era astenuta dal rendere
dichiarazioni) che il Cazzani si era espresso con dei semplici suoni, senza che si
fossero distinte parole di senso compiuto.
La Corte territoriale, anche per evidenziare il movente che aveva animato il
notaio Rossi (la prospettiva di acquistare uno degli appartamenti del palazzo di
proprietà del Cazzani, dalla quale si era tirato indietro una volta appreso
dell’esistenza di parenti entro il sesto grado che avrebbero potuto impugnare il
testamento più volte ricordato), riproduceva quindi la trascrizione di numerose
conversazioni telefoniche intercettate.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale – nonché avverso l’ordinanza
emessa dalla stessa Corte di appello il 13/01/2014, recante la correzione del
dispositivo letto all’udienza del 14/10/2013 – propone ricorso il difensore della
Nascimbene, deducendo:
violazione degli artt. 127, 130 e 533 cod. proc. pen.
Nell’interesse della Nascimbene si evidenzia che la correzione suddetta,
concernente l’eliminazione del riferimento al capo 3) tra i reati per i quali
veniva dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione,
risulta intervenuta lo stesso giorno del deposito della motivazione della
sentenza, non osservando la Corte milanese le previsioni di legge sulla
necessità del contraddittorio, come prescritto dall’art. 130 del codice di
rito, e privando così le parti della possibilità di interloquire in merito.
Violazione inconfutabile e sanzionata a pena di nullità, tanto più che nel

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caso, risultava accertato come il defunto non avesse mai inteso fare testamento,

corpo dell’ordinanza si farebbe riferimento a una divergenza tra
dispositivo e motivazione su cui non era possibile effettuare alcuna
valutazione o verifica, visto che la motivazione doveva intendersi non
ancora licenziata.
Inoltre, secondo la ricostruzione difensiva, sarebbe erroneo l’assunto della
Corte territoriale in base al quale la mancata conferma dell’assoluzione
per il reato sub 3) costituirebbe una semplice svista, in quanto vi era
stata rinuncia all’appello presentato dal P.M.: né quello risulta l’unico

omissione quanto alla Poma per il delitto di cui al capo 4), per il quale
costei era stata parimenti assolta dal Tribunale, sino addirittura a
condannare la stessa Poma anche per il reato di cui al capo 1), mai a lei
contestato
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e processuale,
nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata
La difesa della Nascimbene fa osservare che i giudici di appello
ammettono con grande chiarezza di «avere sposato pienamente la lettura
di una complessiva rivalutazione delle condotte in chiave concorsuale,
arrivando a sostenere […] l’esistenza, tra tutti i partecipi nei reati di cui ai
capi 1) e 2), di un programma pianificato e concordato nei minimi
dettagli, finalizzato ad ottenere la disponibilità del compendio immobiliare
appartenente al Cazzani […]. Sul filo di questo percorso, essi si spingono
a conferire alle condotte di altri soggetti atteggiamenti di dubbia liceità,
così svalutandone e svilendone l’apporto testimoniale reso in primo grado
in favore degli imputati».
Tuttavia, come indicato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, «in
assenza dì mutamenti del materiale probatorio acquisito al processo, la
riforma della sentenza assolutoria di primo grado, una volta compiuto il
confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione,
impone ai giudici di argomentare circa la configurabilità del diverso
apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole
dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o di inadeguatezze probatorie che
abbiano minato la permanente sostenibilità del primo giudizio». In
concreto, la Corte territoriale si sarebbe limitata a notazioni critiche di
dissenso su singoli passi del percorso argomentativo adottato dal
Tribunale, ovvero sulla valutazione compiuta dai giudici di primo grado in
ordine alla credibilità di questo o quel testimone, per poi richiamare il
contenuto dell’atto di impugnazione del P.M. senza spiegare perché la

~W

101,4< errore, atteso che i giudici milanesi sarebbero incorsi in una identica ricostruzione offerta dalla pubblica accusa avrebbe dovuto intendersi la sola plausibile, non essendo sufficiente che potesse costituire una ipotesi alternativa rispetto a quella sottesa alla prima decisione liberatoria. Quanto allo stato di mente del Cazzani, la Corte milanese avrebbe apoditticamente riconosciuto attendibilità scientifica alle conclusioni dei consulenti del P.M. e delle parti civili, senza dedicare altrettanta attenzione agli elaborati curati nell'interesse degli imputati e comunque operando una «mera rivisitazione in senso peggiorativo dello stesso materiale probatorio, per come acquisito in primo grado ed ivi ritenuto La difesa della ricorrente rileva inoltre che il caso di specie appare analogo alla vicenda processuale analizzata dalla nota sentenza Dan c. Moldavia della Corte europea dei diritti dell'uomo (del 05/07/2011), laddove era stata ravvisata violazione delle norme convenzionali dinanzi alla riforma di una sentenza assolutoria di primo grado, disposta dal giudice del gravame senza procedere a una diretta audizione dei testimoni delle cui dichiarazioni si offriva una valutazione differente; per porre le basi di una pronuncia diversa rispetto alla conferma dell'assoluzione, ad esempio, la Corte avrebbe dovuto innanzi tutto rinnovare l'escussione - ex art. 603 del codice di rito - dei soggetti ritenuti non attendibili, come il Marturano o la Bertolotti, ovvero di coloro che avevano riferito particolari considerati non decisivi, a differenza del giudizio del Tribunale, sulle condizioni del Cazzani (il Cianchi e l'El Alam, le cui dichiarazioni erano state relegate dalla Corte di appello al rango di semplici opinioni, malgrado fossero a loro volta medici), o che erano stati descritti in chiave negativa perché portatori di possibili interessi personali, come il notaio Borri inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 191, 270 e 271 cod. proc. pen., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche Nell'interesse della Nascimbene si fa presente che il Tribunale di Pavia accolse in un primo momento l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni in atti, giacché disposte in relazione ad altro procedimento, per poi invece respingerla all'atto della riproposizione (quando il collegio giudicante venne a trovarsi in diversa composizione). La difesa contesta che per escludersi la diversità del procedimento sia sufficiente «un collegamento soggettivo ed oggettivo con l'imputato e con il reato per cui le attività di indagine siano state disposte»; al contrario, «la diversità di procedimento assume un carattere soltanto sostanziale, non collegabile al 10 inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza». dato puramente formale del numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato, ma riferibile al contenuto della medesima notizia, vale a dire al fatto di reato in relazione al quale sono in corso le indagini necessarie per l'esercizio dell'azione penale. Si considera, quindi, "procedimento diverso" quello che nasce da una nuova notitia criminis e ha ad oggetto un diverso fatto di reato». In concreto, deve rilevarsi che nel caso in esame la ritenuta unicità del procedimento deriverebbe: • dall'acclarato rapporto tra il Rossetti (presunto dominus di una realizzate mediante la presentazione di documenti falsi, recanti le generalità di persone defunte) e la Nascimbene; • dalla circostanza che in occasione dei contatti fra i due era emerso che alla donna era stata rilasciata la procura generale da parte del Cazzani, con l'assistenza del Rossetti in veste di testimone; • dall'iniziale iscrizione della Nascimbene nel registro degli indagati da parte del P.M. presso il Tribunale di Imperia, per l'ipotesi di una sua partecipazione all'associazione per delinquere facente capo al Rossetti. Tuttavia, la notizia afferente la vicenda pavese era stata acquisita dagli inquirenti in via del tutto occasionale, nel corso delle intercettazioni, e tanto si trattava di episodio eterogeneo (rispetto alle truffe perpetrate nei riguardi di banche liguri) che le contestazioni di reato mosse alla Nascimbene ed agli altri indagati per i fatti di Imperia non contenevano riferimenti di sorta alle condotte poste in essere in danno del Cazzani. In seguito, il coinvolgimento della Nascimbene nelle suddette truffe, così come nel presupposto sodalizio, venne escluso dallo stesso P.M. procedente con richiesta di archiviazione, cui fece seguito il correlato decreto del Gip del Tribunale di Imperia; mentre l'iscrizione dell'odierna ricorrente per i reati di circonvenzione d'incapace ed appropriazione indebita conseguì ad una autonoma denuncia/querela presentata dai nipoti del Cazzani, così trovando definitiva conferma l'assunto della alterità dei due procedimenti. 4. Propone altresì ricorso, che affida a cinque motivi, il difensore dell'Avv. Poma. 4.1 Con il primo, deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 522 cod. proc. pen., essendo stata pronunciata la condanna dell'imputata in relazione ad un reato a lei mai contestato. La Corte territoriale, 11 organizzazione dedita a truffe in danno di istituti bancari, riformando in peius la decisione del Tribunale di Pavia, risulta avere infatti dichiarato la penale responsabilità (anche) dell'Avv. Poma per i delitti di cui ai capi 1) e 2), specificando peraltro che gli stessi dovrebbero intendersi espressivi di un medesimo disegno criminoso, malgrado il reato sub 1) - afferente la presunta falsità della procura generale rilasciata dal Cazzani alla Nascimbene il 05/07/2005 - non le sia mai stato addebitato, né all'atto dell'esercizio dell'azione penale né al momento delle contestazioni suppletive formalizzate all'udienza del 12/05/2010. cpv. cod. pen. operato dai giudici di appello, «nel caso di specie non ricorrono i presupposti per l'operatività della deroga al principio generale di prevalenza del dispositivo [j..] rispetto alla motivazione, poiché [...] emerge come la motivazione venga strumentalmente utilizzata per giustificare una sanzione parametrata in sede di dispositivo su due reati tra loro in continuazione, affermandosi che riguarderebbe solo il reato effettivamente contestato»; il contrasto fra dispositivo e motivazione, in definitiva, non sarebbe affatto apparente, né il primo sarebbe viziato da un mero refuso, ove peraltro si rilevi che la Corte milanese, «pur avendo proceduto alla correzione di (altro) errore materiale, non ha minimamente preso in considerazione l'aspetto del dispositivo relativo alla condanna della Poma per "i reati ascritti ai capi 1) e 2)"». 4.2 Con il secondo motivo, la difesa dell'Avv. Poma lamenta la nullità dell'ordinanza del 13/01/2014 (espressamente impugnata ex se, unitamente alla sentenza) recante la correzione del già ricordato errore materiale afferente la declaratoria di prescrizione del delitto di abuso di ufficio. Viene segnalata, a riguardo, la violazione dell'art. 127, comma 5, cod. proc. pen. sulla necessità del contraddittorio: fra l'altro, ove posta in condizione di interloquire, la difesa della Poma avrebbe potuto rappresentare che analoga modifica si imponeva anche con riferimento al capo 4), dal quale la ricorrente era stata parimenti assolta in primo grado. 4.3 Il terzo motivo si riferisce alla dedotta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, che il difensore della ricorrente ritiene pronunciata in violazione degli artt. 533 cod. proc. pen. e 111 Cost.: ciò in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata ad una valutazione delle risultanze probatorie differente rispetto a quella fatta propria dal Tribunale di Pavia, attraverso una «lettura alternativa meramente cartolare, ed operata utilizzando solo parte delle prove assunte in primo grado». Mentre il Tribunale aveva proceduto ad una completa disamina del compendio probatorio, soprattutto in punto di verifica delle condizioni di salute del Cazzani all'epoca dei fatti, non altrettanto sarebbe accaduto in occasione del giudizio di 12 Ad avviso del difensore della Poma, stante l'espresso richiamo all'art. 81 secondo grado, sfociato in un esito diverso per avere la Corte di appello svilito unilateralmente i contributi di molti fra i consulenti tecnici ed i testimoni già escussi. La difesa richiama quindi la giurisprudenza di legittimità sulla necessità che la ricostruzione operata dal giudice del gravame, per pervenire alla riforma di una decisione assolutoria, sia dotata di una forza persuasiva tale da superare ogni dubbio ragionevole, e non risulti invece da una semplice rivisitazione delle risultanze istruttorie, idonea a fondare una mera ipotesi alternativa; inoltre, evoca a sua volta i noti precedenti della Corte europea dei diritti dell'uomo nei 04/06/2013) in tema di obbligo del giudice di appello di provvedere all'assunzione in contraddittorio delle prove dichiarative utilizzate per la decisione, segnatamente quando dette prove siano state diversamente valutate nella sentenza (assolutoria) impugnata. 4.4 Con il quarto motivo, la difesa dell'imputata censura la sentenza impugnata per carenza di motivazione in punto di elemento soggettivo. Il Tribunale aveva infatti osservato che, pure ammettendo che il Cazzani fosse davvero incapace di intendere e di volere al momento della conclusione degli atti in rubrica, rimaneva indimostrato che quella condizione fosse certamente percepibile dall'esterno, già con riferimento a chi aveva avuto modo di entrare in contatto con lui (in particolare, il notaio Rossi): era del tutto impossibile, pertanto, che ne avesse avuto contezza chi - come l'Avv. Poma - non aveva neppure partecipato alla raccolta della presunta volontà dell'anziano di disporre dei suoi beni post mortem. Al contrario, le stesse intercettazioni valorizzate dalla Corte di appello in chiave accusatoria avrebbero dovuto leggersi nell'opposta prospettiva, in particolare quanto ad una conversazione nella quale la Poma aveva chiesto apertis verbis alla Nascimbene - mostrando sorpresa per le perplessità tardivamente palesate dal Rossi in vista dell'acquisto di uno degli immobili - se il Cazzani avesse con certezza manifestato il proposito di nominarla sua procuratrice, ricevendone risposta affermativa. 4.5 Con il quinto motivo, anche nell'interesse della Poma si deduce violazione di legge processuale in ordine alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni appena ricordate, giacché disposte in altro e diverso procedimento penale. Viene ribadito che le indagini nel cui ambito vennero attivati i servizi di captazione si riferivano a reati ex artt. 416 e 640 cod. pen., in ordine a vicende e soggetti del tutto differenti; sia la Nascimbene che l'Avv. Poma, del resto, furono iscritte nel registro degli indagati dal P.M. di Imperia, quanto ai reati in danno del Cazzani, solo dopo che erano state eseguite le misure cautelari sui fatti oggetto delle intercettazioni, con la successiva trascrizione di quel fascicolo - 13 casi Dan c. Moldavia e Hanu c. Romania (sentenza, quest'ultima, del rimasto sempre distinto da quello originario - al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pavia. Nel ricorso vengono operati molteplici richiami alla giurisprudenza di legittimità intervenuta a delineare la nozione di "diverso procedimento" ai sensi dell'art. 270 del codice di rito. 5. Infine, ricorrono avverso la sentenza in epigrafe anche i difensori del Rossi, lamentando innanzi tutto che la Corte di appello, a dispetto della completezza della motivazione adottata dal Tribunale di Pavia e contrariamente alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità, avrebbe compiuto una oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, né presenta una forza persuasiva superiore». Nell'interesse del Rossi vengono ancora una volta richiamate le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo già segnalate dalle altre ricorrenti (nonché ulteriori e più recenti arresti, nei casi Manolachi c. Romania e Flueras c. Romania), in tema di esegesi dell'art. 6 della Convenzione, «norma di rango sovraordinato alla legge, che tramite l'art. 117, comma 1, Cost., assume dignità costituzionale per il diritto interno» in base alla lettura offerta dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007. Sulla scorta di tali premesse, la difesa dell'imputato deduce: mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, anche in ragione della omessa assunzione diretta della testimonianza del Dott. Marturano In ordine allo stato mentale del Cazzani, i difensori del Rossi evidenziano che la Corte milanese avrebbe fondato le proprie conclusioni sul rilievo dell'impossibilità che l'anziano - certamente affetto da demenza poco prima della morte - avesse sviluppato quel processo patologico in soli sette mesi, muovendo dall'ipotesi che egli fosse invece compos sui all'epoca degli atti notarili; al contrario, sostiene la difesa che a quell'assunto non verrebbe offerto alcun avallo su base scientifica, tanto più che non era stato affrontato il tema - sollevato dai consulenti nominati dagli imputati - della repentinità del declino del Cazzani proprio a seguito dell'arresto della Nascimbene (non più assistito quotidianamente, egli fu costretto a ricoveri e riabilitazioni in strutture esterne ai propri riferimenti abituali). Quanto al contributo del Marturano, la ritenuta non credibilità del teste prescinde apoditticamente dalla approfondita analisi che di quella deposizione era stata compiuta dal collegio di primo grado vizi della motivazione in ordine alla ritenuta falsità della procura generale 14 valutazione che «non è sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare Secondo la difesa del Rossi, il Cazzani aveva certamente espresso, il 05/07/2005, la volontà di conferire alla Nascimbene il potere di amministrare i suoi beni, visto che le intercettazioni telefoniche tra la stessa Nascimbene e la Poma confermavano la circostanza. I limiti entro cui la procura in esame dovrebbe intendersi falsa, vale a dire il mancato approfondimento da parte del notaio circa l'effettivo contenuto della volontà palesata dal Cazzani (in ipotesi, meramente confermativa della procura già rilasciata tempo prima alla Nascimbene), rivelerebbero poi l'erronea applicazione dell'art. 479 cod. pen. in cui sarebbe incorsa la soggetto conferisce ad un altro attraverso un atto di procura (negozio unilaterale), ben altro è la disciplina dei rapporti fra rappresentato e rappresentante, che si fonda su un presupposto contratto di mandato in ordine al quale il notaio ricevente la dichiarazione non può intendersi abbia ricevuto incarichi di sorta. Al Rossi, certamente, non era stato richiesto di redigere un contratto di mandato con rappresentanza, ed egli si limitò correttamente a raccogliere una manifestazione di volontà, ritualmente attestata come avvenuta in sua presenza. La norma incriminatrice risulta poi inosservata anche sotto il profilo della ricerca dell'elemento soggettivo, avendo la Corte di appello, in luogo di accertare la sussistenza del dolo, rimproverato al Rossi «la mancata adozione di un comportamento alternativo lecito, tipico del paradigma colposo». Muovendo dal presupposto dell'inconciliabilità logica tra l'ipotesi della falsità della procura e quella della circonvenzione del Cazzani (visto che il delitto ex art. 643 cod. pen. presuppone un comportamento realmente assunto dal soggetto incapace, pur dietro induzione altrui), il Tribunale aveva correttamente ritenuto insussistente il reato contro la fede pubblica, e condannato la Nascimbene per l'ulteriore addebito: i giudici di secondo grado, invece, si limitano a descrivere la condotta del Rossi come quella di un notaio negligente, al più passibile di conseguenze disciplinari, senza tuttavia poter escludere in concreto che l'anziano avesse manifestato quella volontà e compreso il significato degli atti in questione, almeno per ciò che poteva ragionevolmente apparire al Rossi vizi della motivazione in ordine alla ritenuta falsità del testamento Sulla veridicità della dichiarazione resa dal Cazzani, in vista della nomina della Nascimbene quale sua erede, esistono due prove dirette, che la difesa del Rossi indica nella testimonianza della Bertolotti e nell'esame reso dallo stesso notaio; inoltre, vi sarebbe una prova indiretta, 15 Corte territoriale; un conto è infatti il potere rappresentativo che un consistente nelle dichiarazioni del teste Criaco, che riferì quanto da lui appreso dalla seconda testimone all'atto (Elena Zucca, avvalsasi della facoltà di non rispondere ex art. 210 del codice di rito). Quanto al Criaco, secondo cui la Zucca gli aveva raccontato di avere udito dal Cazzani dei semplici versi non meglio definiti, di non chiaro senso compiuto, il Tribunale ne aveva ritenuto la non attendibilità in ragione del contrasto fra il suo narrato ed il contenuto delle sommarie informazioni da lui rese alla polizia giudiziaria (quando invece aveva precisato che, stando inoltre, egli era il convivente della stessa Zucca, direttamente coinvolta nella vicenda, e non era credibile che costei gli avesse rappresentato come erano andate le cose solo dopo essere stata sentita dalla Guardia di Finanza, piuttosto che nell'immediatezza del testamento (ove avesse davvero percepito qualcosa di non regolare). La Corte di appello valorizza invece la ricostruzione del Criaco e svilisce quella della Bertolotti (che, in posizione processuale analoga a quella della Zucca, decise di rispondere alle domande delle parti), non ritenendo verosimile che costei avesse sofferto un qualche condizionamento nel corso dell'assunzione delle sue sommarie informazioni dinanzi alla Guardia di Finanza: la mera attestazione a verbale, ad opera degli inquirenti, che l'atto si era svolto senza limitare la libertà di autodeterminazione dell'autrice delle dichiarazioni, come pure senza alterarne la capacità di ricordare i fatti, risultava però da una dicitura standard, e non poteva valere a sconfessare l'attendibilità della deposizione resa dalla Bertolotti in dibattimento. Inoltre, e soprattutto, non poteva rilevare la circostanza che la Bertolotti fosse stata coinvolta nella vicenda e ne fosse stato chiesto il rinvio a giudizio (ella, temendo possibili ripercussioni negative, ben avrebbe potuto astenersi dal rendere dichiarazioni in giudizio); né sarebbe stato chiarito il presunto "debito morale" verso il notaio, trattandosi semplicemente della segretaria del Rossi, peraltro ormai in pensione. Analogamente a quanto osservato a proposito della procura, inoltre, la declaratoria di penale responsabilità dell'imputato sarebbe derivata da «un rimprovero per il mancato assolvimento, da parte del notaio, dei propri doveri: il rimprovero di un comportamento non certo doloso, ma tutt'al più negligente» - mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla individuazione del movente che avrebbe connotato la condotta del Rossi 16 alla Zucca, l'anziano aveva "espresso oralmente parere favorevole"); L'ipotesi accusatoria, come esplicitata nell'atto di appello presentato dal Pubblico Ministero, vorrebbe l'imputato animato dal proposito di acquistare uno degli appartamenti del palazzo di proprietà del Cazzani, e questa risulta recepita dalla Corte territoriale senza confrontarsi con la motivazione adottata dal Tribunale (secondo cui la vicenda dell'appartamento «costituisce uno degli elementi più rilevanti per la dimostrazione dell'assoluta buona fede del notaio Rossi»); la difesa fa altresì notare che quel movente sarebbe addirittura successivo al reato, consapevole dell'intenzione del notaio di cercare un immobile da intestare alla figlia - soltanto nel settembre 2005. In ogni caso, dalle intercettazioni emerge che l'imputato, trovando inopportuno concludere il contratto in forza della procura conferita (per atto formato dinanzi a lui) alla Nascimbene, propose di perfezionare l'atto direttamente con il Cazzani, chiamando per il rogito un suo collega: e ciò confermerebbe, come osservato dai giudici di primo grado, che il Rossi era davvero convinto della capacità di intendere e di volere dell'anziano, visto che l'altro notaio si sarebbe reso conto immediatamente del presunto stato di demenza, ove esistente inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 191, 270 e 271 cod. proc. pen. Come già nell'interesse delle altre ricorrenti, anche per il Rossi si lamenta violazione di legge processuale, rilevando che le intercettazioni richiamate dai giudici di merito vennero disposte ed acquisite nell'ambito di un distinto procedimento penale, «instaurato in relazione ad una notizia di reato che derivava da un fatto storicamente diverso»; in quel procedimento originario il Rossi non fu mai persona sottoposta a indagini, né il Cazzani risultava persona offesa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi debbono ritenersi fondati. 2. Iniziando la disamina dal profilo processuale afferente la dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, deve ricordarsi che secondo la giurisprudenza di questa Corte «in tema di intercettazioni di conversazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270, comma primo, cod. proc. pen., occorre far riferimento ad una nozione sostanziale di "diverso procedimento", 17 giacché la prospettiva dell'acquisto fu palesata al Rossi - dal Criaco, secondo cui la "diversità" va collegata al dato della alterità o non uguaglianza del procedimento, instaurato, non nell'ambito del medesimo filone investigativo, ma in relazione ad una notizia di reato, che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento» (Cass., Sez. II, n. 3253 del 10/10/2013, Costa, Rv 258591). Nella motivazione della pronuncia appena richiamata si legge che, in ragione dell'anzidetta nozione sostanziale di "diversità", «quest'ultima può essere esclusa in presenza di indagini strettamente connesse o collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico [...]. Pertanto, la nozione di identico dall'art. 270 cod. proc. pen., può prescindere da elementi formali come il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato ed impone una valutazione sostanziale, con la conseguenza che il procedimento è considerato identico quando tra il contenuto dell'originaria notizia di reato, alla base dell'autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione» sotto i già evidenziati profili (oggettivo, probatorio e finalistico). In applicazione dei principi appena ricordati, è stato ad esempio escluso che si verta in un caso di diverso procedimento laddove, in ambito di indagini riguardanti l'operatività di una associazione di tipo mafioso, siano intercettate conversazioni rilevanti anche ai fini dell'accertamento del delitto di corruzione a carico di un pubblico ufficiale, per atti contrari ai doveri di ufficio commessi a favore di affiliati all'organizzazione criminale (v. Cass., Sez. II, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco); al contrario, si è censurata la decisione del giudice di merito di ritenere utilizzabili intercettazioni che, disposte con riguardo ad una denuncia per concussione relativa a determinati soggetti, avevano rivelato la possibile sussistenza di altri reati, solo in relazione ai quali era stato fissato il giudizio (v. Cass., Sez. VI, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi). Nella fattispecie concreta di cui a quest'ultima pronuncia era accaduto che l'attività di captazione, iniziata con riferimento ad una ipotesi bene individuata di concussione, aveva rivelato la possibile sussistenza di reati urbanistici, di abuso di ufficio, di falso e corruzione a carico di persone (anche) diverse, senza che per il delitto oggetto della iniziale iscrizione fosse stata poi esercitata l'azione penale; motivando sul punto, la sentenza Filippi segnalava quindi la necessità di considerare «l'idoneità della autorizzazione originaria a coprire il sacrificio della libertà di comunicazione delle persone coinvolte». Nel caso oggi in esame, la Corte di appello di Milano ha osservato che «le indagini relative al caso Cazzani, che abbracciavano inizialmente varie ipotesi di reato, connesse da un punto di vista probatorio e collegate tra loro sotto il profilo soggettivo con quelle poi proseguite ad Imperia, sono state stralciate per 18 procedimento, che esclude l'operatività del divieto di utilizzazione previsto questioni di competenza territoriale, una volta che la vicenda si è andata meglio delineando. Esse originano, quindi, dall'unico procedimento pendente presso la Procura di Imperia, nel corso del quale erano state disposte le intercettazioni telefoniche e nell'ambito del quale la relativa indagine si è sviluppata per connessione». Di qui la ritenuta utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, ai sensi del ricordato art. 270 cod. proc. pen. Deve tuttavia prendersi atto anche del contenuto della richiesta di archiviazione che il P.M. presso il Tribunale di Imperia avanzò, in data 03/04/2007, dopo lo stralcio anzidetto: nella motivazione dell'istanza si segnala ambito alcuni dei partecipi risultavano interessati nella vicenda di «una truffa / circonvenzione di incapace posta in essere in danno di tale Cazzani Angelo, residente in Pavia. In tale ultima fattispecie di reato risultavano coinvolti in primis la Nascimbene, badante del Cazzani e diretta beneficiaria di disposizioni patrimoniali dallo stesso effettuate, la Poma, avvocato della Nascimbene negli affari civili e foriera di consigli circa la gestione e la conservazione del patrimonio illecitamente accumulato dalla stessa Nascimbene, nonché il Rossetti ed il Rossetto che avevano fisicamente partecipato in qualità di testimoni alla redazione degli atti di disposizione patrimoniale del Cazzani in favore della Nascimbene, beneficiando a loro volta di elargizioni patrimoniali. Per tali soggetti, gli atti di indagine sono stati trasmessi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia per quanto di competenza, non avendo le ulteriori indagini confermato la connessione di questo reato con quello di associazione per delinquere che aveva inizialmente giustificato la competenza territoriale della Procura di Imperia, né la compartecipazione della Nascimbene e della Poma all'associazione stessa». In definitiva, dall'esame degli atti risulta che l'originaria notizia di reato riguardava essenzialmente una serie di presunte truffe in danno di istituti bancari, realizzate da un sodalizio criminoso di cui era ritenuta partecipe la Nascimbene mediante finanziamenti che venivano richiesti (con il proposito di lasciarli non onorati) producendo documenti riferiti a persone già defunte: molte delle quali venivano fatte apparire come residenti proprio a Pavia, Via Roma 14, vale a dire presso l'indirizzo di residenza della donna. Nel corso delle intercettazioni conseguentemente disposte, erano state registrate alcune conversazioni tra costei ed il Rossetti, in occasione delle quali i due interlocutori si erano soffermati sulle mire della Nascimbene verso i beni del Cazzani, senza tuttavia che quelli assunti come commessi a Pavia, oggi sub judice, siano stati mai ritenuti reati-fine del presunto sodalizio criminale operante ad Imperia: più semplicemente, alcuni dei soggetti che si intendevano partecipi di quella 19 che era stata ipotizzata una associazione per delinquere dedita a truffe, nel cui consorteria si ritenevano al contempo autori di condotte illecite ulteriori, del tutto svincolate da quelle originariamente ipotizzate. Tanto più che, come si evince dalla motivazione delle richieste e dei provvedimenti concernenti le intercettazioni de quibus, l'attività di captazione era disposta in relazione ad una «organizzazione criminale dedita alla truffa, falsificazione e contraffazione di documenti di identità, alla ricettazione, al riciclaggio e [...] al traffico di sostanze stupefacenti»: nulla a che vedere con la vicenda pavese, cui nessuna richiesta di autorizzazione o di proroga delle intercettazioni risulta aver fatto riferimento, al pari dei successivi decreti emessi dal Gip, e che riguardava invece un anziano Ne deriva l'impossibilità di considerare sussistenti, tra il procedimento iniziale e quello odierno (non a caso, iscritto solo dopo l'esecuzione delle misure restrittive disposte dal Gip di Imperia e subito trasmesso per competenza al diverso ufficio del P.M.), gli estremi di un collegamento oggettivo, probatorio e finalistico nei termini elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte: solo in via occasionale, in costanza di intercettazioni aliunde disposte, venne in sostanza acquisita la notitia criminis afferente i reati di cui oggi si discute. Il P.M. procedente, salve le successive ed eventuali determinazioni in punto di competenza territoriale, avrebbe dovuto pertanto ordinare l'iscrizione di quella notizia di reato, sia pure nell'ambito dello stesso fascicolo, e - verificata la possibile ricorrenza dei presupposti di legge, in ragione dei limiti edittali di pena previsti per gli addebiti in questione - richiedere al Gip l'autorizzazione a disporre intercettazioni ad hoc, o quanto meno che le intercettazioni in corso proseguissero anche in relazione alle nuove ipotesi criminose. Nulla di ciò risultando in atti, non può che derivarne la sanzione di inutilizzabilità, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata e la necessità di una rivalutazione, da parte del giudice del rinvio, del residuo materiale istruttorio ai fini della conferma o meno della dichiarazione di penale responsabilità degli imputati. 3. L'annullamento della pronuncia in epigrafe, del resto, si impone anche sotto un diverso ed ancor più radicale profilo. 3.1 Come rilevato nell'interesse di tutti i ricorrenti, la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso che «nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza 20 vivente, della cui minorata condizione taluno ebbe ad approfittare. persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio» (Cass., Sez. VI, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv 256869; v. anche Cass., Sez. VI, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv 254113, secondo cui «nel giudizio di appello, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito al processo, la riforma della sentenza assolutoria di primo grado, una volta compiuto il confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione, impone al giudice di argomentare circa la configurabilità del diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano minato la permanente sostenibilità Ciò comporta, ovviamente, una disamina completa delle argomentazioni esposte nella sentenza riformata, il che non può dirsi accaduto nel caso oggi in esame: a mero titolo di esempio, basti considerare il rilievo che la Corte territoriale non dedica analisi al tema della possibile incidenza, su un eventuale e subitaneo decadimento delle condizioni di salute del Cazzani, ai fatti occorsi nel quotidiano del de cuius proprio negli ultimi mesi di vita (a partire dall'arresto della Nascimbene, che si occupava comunque di accudirlo, con la conseguente necessità che egli fosse assistito fuori dai suoi riferimenti abituali), né al profilo logico esposto dalla difesa del Rossi circa la prospettiva che l'acquisto dell'appartamento da intestare alla figlia dell'imputato si perfezionasse a rogito di un altro notaio, e senza che la Nascimbene si avvalesse della già formalizzata procura. Le difese, peraltro, non censurano la sentenza impugnata soltanto in punto di completezza del percorso motivazionale, ma anche in ordine alla ritenuta violazione dei principi dettati dalla giurisprudenza sovranazionale nell'esegesi delle norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; a riguardo, in effetti, è oramai innegabile che - in base all'indirizzo interpretativo di cui alle numerose pronunce della Corte di Strasburgo richiamate nell'interesse degli odierni imputati - una condanna emessa in grado di appello, in riforma di una decisione assolutoria, debba ritenersi evenienza in linea di principio non contrastante con l'art. 6, par. 1, della Convenzione, a condizione però che l'affermazione di penale responsabilità, ove determinata da una diversa valutazione di attendibilità di prove orali ritenute decisive, presupponga l'esame diretto dei testimoni da parte del giudice dell'impugnazione. Esame diretto che, come suggerito da più recenti arresti di questa Corte, non si impone soltanto nei casi di riforma in peius, giacché «in tema di valutazione della prova testimoniale da parte del giudice d'appello, l'obbligo di rinnovare l'istruzione e di escutere nuovamente i dichiaranti, gravante su detto giudice qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto 21 del primo giudizio»). in primo grado [...], costituisce espressione di un generale principio di immediatezza, e trova pertanto applicazione [...] anche nell'ipotesi in cui vi sia stata condanna in primo grado» (Cass., Sez. II, n. 32619 del 24/04/2014, Pipino, Rv 260071: nella motivazione della pronuncia appena richiamata, si è precisato altresì che l'obbligo di rinnovare la prova orale è ancora più stringente quando nel processo conclusosi con condanna in primo grado vi sia stata costituzione di parte civile). Vero è che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la necessità della riassunzione di una prova dichiarativa deve ritenersi esclusa, pure a fronte delle si limiti ad una rivalutazione del contenuto di una testimonianza, ma lo apprezzi alla luce di elementi ulteriori obiettivamente trascurati in primo grado (v. Cass., Sez. V, n. 10965 dell'11/01/2013, Cava, nonché Cass., Sez. V, n. 8423 del 16/10/2013, Caracciolo), ovvero offra di quella prova orale una lettura logica e corretta in relazione ad un complesso di acquisizioni probatorie che la sentenza impugnata abbia invece palesemente travisato (v. Cass., Sez. IV, n. 4100 del 06/12/2012, Bifulco). E' stato, in particolare, affermato che «il giudice di appello, per riformare in peius una sentenza assolutoria è obbligato - in base all'art. 6 Cedu, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/ Moldavia - alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale solo quando intende operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non attendibile» (Cass., Sez. VI, n. 16566 del 26/02/2013, Caboni, Rv 254623), non ponendosi invece alcun problema di rinnovazione qualora l'escussione di un teste «risulti a priori superflua perché le dichiarazioni rese in primo grado non necessitino di chiarimenti o integrazioni, né sussistano contraddittorietà o ambiguità da dirimere» (Cass., Sez. III, n. 32798 del 05/06/2013, N.S., Rv 256906: pronuncia, quest'ultima, che tiene conto anche della sentenza emessa dalla Corte europea nel caso Manolachi c/ Romania). Ergo, la necessità di procedere al rinnovato esame di uno o più testimoni si pone soltanto ove del narrato di quei soggetti siano fornite letture differenti (o sia stata diversamente valutata l'attendibilità dei dichiaranti), con adesione dei giudici di appello a ricostruzioni in fatto che invece erano state escluse in primo grado sulla base di tali prove. 3.2 Questo, tuttavia, è quanto effettivamente accaduto nella fattispecie concreta. La Corte di appello di Milano ha infatti inteso pronunciare sentenza di condanna in base a una diversa valutazione dell'attendibilità del Marturano, della Bertolotti, del Borri e del Criaco, chiaramente espressa nei passi riportati in 22 indicazioni della giurisprudenza della Corte edu, laddove il giudice di appello non precedenza (non altrettanto è a dirsi quanto alle deposizioni Cianchi ed El Alam, svilite solo in punto di obiettiva rilevanza): e, in tal caso, avrebbe dovuto osservare non soltanto l'obbligo di motivazione rafforzato nei termini evidenziati dalla giurisprudenza di legittimità, ma procedere ad una nuova audizione di quei testimoni, non essendo consentito ribaltare la decisione di primo grado sulla base di un esame semplicemente "cartolare" degli atti. La sentenza Dan c. Moldavia, infatti, ricorda espressamente che «coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità», complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate». Le previsioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretate dalla Corte di Strasburgo e quali norme interposte rilevanti ex art. 117 Cost. (v. le sentenze della Consulta nn. 348 e 349 del 2007, nonché n. 113 del 2011), imponevano perciò di dare corso ad una rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale oltre i limiti dettati dall'art. 603 del codice di rito, ed a prescindere dall'esistenza o meno di istanze delle parti in tal senso, come sancito dalla già ricordata sentenza Hanu c\ Romania. In fattispecie analoghe, le più recenti decisioni di questa Corte hanno costantemente ribadito che «il giudice di appello, per riformare in peius una sentenza assolutoria, non può limitarsi ad adottare una motivazione dotata di una efficacia persuasiva tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio, neppure apprezzando diversamente e valorizzando i riscontri alla prova dichiarativa, ma deve assumere direttamente la testimonianza della persona offesa [...], ritenuta inattendibile in primo grado, al fine di valutarne la credibilità sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, pena la violazione dei principi del giusto processo di cui all'art. 6 della Convenzione edu» (Cass., Sez. III, n. 5907 del 07/01/2014, F., Rv 258901; v. anche Cass., Sez. III, n. 28530 del 26/02/2014, N.). Del resto, «l'obbligo di rinnovazione dibattimentale è imposto anche dal principio secondo il quale la condanna può essere pronunciata solo se l'imputato risulta colpevole al là di ogni ragionevole dubbio (art. 533, comma 1, cod. proc. pen.). In mancanza di una nuova escussione, che consenta di superare le criticità evidenziate dal giudice di primo grado, infatti, la motivazione della decisione sarebbe destinata a non superare il vaglio di legittimità sotto il profilo del ragionevole dubbio, poiché la rilettura delle dichiarazioni già ritenute inattendibili dal giudice di primo grado alla luce di diversi elementi istruttori (ed il rovesciamento del giudizio di attendibilità) non sarebbe in grado di superare la presunzione di non colpevolezza, che deve guidare il giudice nella valutazione Alpi» 4000‘41r r* 23 aggiungendo che «la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito della prova [...]. Il criterio del dubbio, nella verifica dell'ipotesi di accusa, rappresenta la conseguenza necessitata del principio costituzionale posto dall'art. 27, comma 2, Cost. e la rinnovazione della prova dichiarativa rappresenta l'unico mezzo attraverso il quale superare l'affermazione di non colpevolezza fondata proprio sulla valutazione di quella prova dichiarativa» (Cass., Sez. F, n. 53562 dell'11/09/2014, Lembo). 3.3 Il giudice del rinvio dovrà pertanto procedere alla rinnovazione dell'esame dei testimoni sopra ricordati, verificando all'esito quale credibilità debba essere riconosciuta al loro narrato sia sul piano soggettivo che su quello 4. Le ragioni dell'annullamento, come sopra illustrate, impongono di considerare assorbite le ulteriori censure sviluppate dalle difese degli imputati, sia di carattere sostanziale (con riferimento alla lamentata carenza di dolo, anche in ragione della natura degli atti notarili in rubrica) che in rito (i contestati limiti della statuizione di condanna quanto alla posizione della Poma ed i rilevati vizi della procedura di correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata). P. Q. M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame. Così deciso il 13/02/2015. del contenuto obiettivo delle rispettive deposizioni.

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