Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3620 del 14/01/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3620 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMATO GIUSEPPE N. IL 27/07/1985
avverso la sentenza n. 841/2014 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 20/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE PAVICH
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per li 21e,
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Udito, per la
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e civile, l’Avv

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eokfAmi,

Data Udienza: 14/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 20 novembre 2014, la Corte di Appello di Reggio
Calabria, in parziale riforma della sentenza del Giudice per l’udienza preliminare
del Tribunale di Locri resa in data 25 ottobre 2013, assolveva Giuseppe Amato
dal reato a lui ascritto al capo M della rubrica per non aver commesso il fatto,
rideterminando per l’effetto nei suoi confronti la pena in relazione al reato di cui
al capo L (per il quale confermava la condanna dell’Amato) in ragione di due anni

condanna dell’Amato in relazione ai reati di cui ai capi da Z a C4 della rubrica.
In particolare, per ciò che interessa ai fini del presente procedimento, il
reato di cui al capo L con riferimento al quale la condanna veniva confermata era
costituito dal concorso in un furto d’auto, posto in essere in concorso con altri in
Ardore Marina il 16 marzo 2010, aggravato dall’essere stato commesso da
quattro persone (art. 625 n. 5 cod.pen.) e dall’esposizione dell’autovettura alla
pubblica fede (art. 625 n. 7 cod.pen.).
Nella sentenza della Corte territoriale le ragioni di conferma della condanna
a carico dell’Amato quale concorrente nell’azione furtiva riposano sulla
ricostruzione della dinamica dei fatti. Osserva infatti la Corte di merito che
Giuseppe Amato, pochi minuti prima della condotta contestata, era stato visto
dai Carabinieri a bordo di un’auto, condotta dal di lui fratello Domenico, sulla
quale sedeva fra l’altro anche Alessandro Bevilacqua, il quale poneva poi
materialmente in essere l’azione furtiva: costui infatti, poco dopo, veniva a sua
volta visto dagli operanti nell’atto di introdursi a bordo dell’autovettura Fiat
Panda di colore rosso poi risultata di proprietà di Domenico D’Agostino (le cui
dichiarazioni sono state riportate nella motivazione) e con tale vettura si dava
poi a precipitosa fuga alla vista dei Carabinieri; costoro notavano altresì che
l’auto dei due fratelli Amato (Domenico e l’odierno ricorrente Giuseppe), che in
occasione dell’azione furtiva si era posizionata a circa 30 metri dal luogo del
furto, si era subito posta nella scia della Panda rubata dopo avere invertito la
marcia, non appena il Bevilacqua aveva iniziato la sua fuga a bordo dell’auto
rubata; ambedue le autovetture facevano quindi perdere le proprie tracce.
Dalla dinamica come sopra descritta la Corte territoriale traeva il
convincimento che la presenza del Giuseppe Amato a bordo della vettura con la
quale il Bevilacqua era stato accompagnato sul luogo del delitto, e che si era
successivamente a sua volta allontanata a forte velocità nel chiaro intento di far
perdere le proprie tracce agli operanti, non poteva essere casuale né essere
riferita a mera connivenza non punibile, ma fosse inquadrabile in una condotta di
tipo concorsuale nell’azione furtiva.

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e due mesi di reclusione ed € 400 di multa. Veniva inoltre confermata la

2. Avverso la sentenza d’appello ricorre Giuseppe Amato, per il tramite del
suo difensore, deducendo due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 lettere
b) ed e) cod.proc.pen., in relazione all’art. 192 cod.proc.pen. con riferimento agli
artt. 110, 624, 625 nn. 5 e 7 cod.pen. (e dunque in particolare al capo L della
rubrica): brevemente sintetizzando l’ampia esposizione del motivo di doglianza in
esame, si duole il ricorrente della manifesta illogicità del percorso argomentativo

standard probatorio minimo in rapporto alla gravità, precisione e concordanza

degli elementi indiziari posti a base della decisione di conferma della condanna;
decisione che non poteva essere adottata se non al di là di ogni ragionevole
dubbio. A fronte di ciò, obietta il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe escluso
possibili ricostruzioni alternative, anch’esse logiche e ragionevoli, rispetto a
quella prescelta sulla base degli elementi indiziari illustrati nella pronunzia
impugnata, ponendo così in essere un vero e proprio travisamento della prova
nel suo significato, che si é riverberato nel sopra indicato vizio di motivazione. Di
contro, secondo il ricorrente, vi sarebbe stata da parte dell’Amato una condotta
meramente passiva e omissiva, scevra da qualsivoglia contributo causale
nell’azione delittuosa e come tale inidonea a integrare il ritenuto concorso nel
reato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio
di motivazione in relazione all’art. 62-bis cod.pen. e con riferimento all’art. 133
cod.pen.: oggetto della doglianza é il fatto che la Corte territoriale avrebbe
denegato la concessione delle attenuanti generiche essenzialmente in riferimento
alle condotte di spaccio sistematico di stupefacenti da parte dell’Amato (oggetto
degli ulteriori capi d’imputazione in relazione ai quali la sentenza di condanna in
primo grado ha trovato conferma), tenendo in non cale il buon comportamento
processuale dell’Amato e il suo atteggiamento resipiscente e totalmente
ammissivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso é inammissibile, in quanto manifestamente
infondato e teso nell’essenziale a riproporre una valutazione delle emergenze
probatorie raccolte nel giudizio di merito, sulle quali la Corte territoriale ha
correttamente motivato la sua decisione, con argomenti esenti da illogicità o
contraddittorietà e, come tali, insuscettibili di censure in sede di legittimità.

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seguito dalla Corte di merito, atteso che quest’ultima non avrebbe individuato lo

Quanto al dedotto vizio di travisamento della prova, si ricorda che esso é
deducibile in sede di legittimità allorché si introduca nella motivazione
un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la
valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, mentre esula dai poteri
della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione anche laddove -come nella specie- venga
prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze
processuali (per tutte vds. Sez. 2, Sentenza n. 23419 del 23/05/2007, Vignaroli,

Sul piano, poi, della presunta illogicità della motivazione, va osservato che la
Corte di merito ha correttamente illustrato le ragioni per le quali é stato escluso
che il comportamento dell’Amato fosse liquidabile come mera connivenza o come
presenza meramente passiva, essendo stato sviluppato in modo esente da vizi
logici, nella motivazione oggetto di doglianza, l’argomento costituito dal
necessario preventivo accordo fra i compartecipi per la commissione del reato,
desumibile dalle varie fasi dell’azione delittuosa, accordo al quale non poteva
essere estraneo l’Amato. Al riguardo, é noto che, nel concorso di persone nel
reato, l’elemento soggettivo si caratterizza nella consapevole rappresentazione e
nella volontà della persona del partecipe di cooperare con altri soggetti alla
comune realizzazione della condotta delittuosa (Sez. 1, Sentenza n. 40248 del
26/09/2012, Mazzotta e altro, Rv. 254735), e che a tale riguardo é stato
convenientemente osservato dalla Corte di merito che la presenza dell’Amato a
bordo dell’auto su cui veniva accompagnato il Bevilacqua, autore materiale del
furto, e che dapprima si posizionava in prossimità dell’azione furtiva e poi si dava
alla fuga al seguito dell’auto rubata dal Bevilacqua, rende evidente che l’intera
azione fosse stata previamente concertata fra i compartecipi, compreso l’odierno
ricorrente, e che essi fossero altresì d’accordo nel far sparire le loro tracce alla
vista degli operanti.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, esso é parimenti inammissibile
perché manifestamente infondato.
Si rammenta, al riguardo, che nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche non é necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma é sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (per
tutte vds. Sez. 3, Sentenza n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Ciò premesso, la Corte territoriale ha fornito adeguata motivazione sul
punto, atteso che da un lato ha affermato l’incompatibilità tra la concessione

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Rv. 236893).

delle attenuanti generiche e i 67 episodi di detenzione e spaccio di stupefacenti
nell’arco di 6 mesi che hanno visto protagonista Giuseppe Amato; e dall’altro ha
correttamente liquidato come irrilevante l’atteggiamento confessorio del
medesimo, a fronte dello stringente quadro probatorio a suo carico
(intercettazioni telefoniche, videoriprese, servizi di osservazione).
Su tali premesse va altresì escluso l’ulteriore vizio dedotto dal ricorrente,
peraltro in termini affatto aspecifici, ossia quello di violazione di legge, atteso
che la Corte di merito ha fatto buon governo dei presupposti generali di

relazione all’art. 133 cod.pen. (facendo riferimento ad elementi valutativi
pertinenti a tale ultimo fine), e che la pena che ne é risultata non é affetta da
alcun elemento di illegalità.

3. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno
2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non
sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente
va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in C
1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2016.

applicazione o di diniego delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod.pen. in

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