Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3620 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3620 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 12/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di PATANE’ Giuseppa Liliana, nata a
Catania il 25.04.1955, rappresentata e assistita dall’avv. Salvatore
Sterlino e dall’avv. Vincenzo Trantino avverso l’ordinanza n. 55/2013
del Tribunale di Catania in funzione di giudice del riesame in data
18.03.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
letto il documento prodotto in udienza dalla difesa;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentita la requisitoria del Procuratore generale dott. Massimo Galli
che ha chiesto il rigetto del ricorso nonché la discussione della difesa
che ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento
impugnato con le statuizioni di conseguenza

RITENUTO IN FATTO

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1. Con decreto in data 08.02.2013 il Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Catania disponeva nei confronti di Piacente
Giovanni il sequestro preventivo ex artt. 12-sexies I. 356/1992, 321,
comma 2 cod. proc. pen. di taluni beni in relazione a vari delitti di
usura. Il provvedimento veniva motivato sulla base degli
accertamenti patrimoniali effettuati sull’indagato e il di lui nucleo

familiare che aveva consentito di ritenere come la capacità reddituale
dei predetti fosse all’evidenza insufficiente rispetto alle esigenze
connesse al quotidiano sostentamento e, in ogni caso, rispetto alle
spese effettuate per l’acquisto dei veicoli e di immobili.
2. Avverso detto provvedimento, PATANE’ Giuseppa Liliana, coniuge di
Piacente Giovanni e terza interessata, proponeva ricorso per riesame
chiedendo l’annullamento dello stesso con conseguente restituzione
all’avente diritto di quanto soggetto a vincolo reale, deducendo
l’erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 12-sexies I.
356/1992 e 321, comma 2 cod. proc. pen. posto che:
-i due immobili intestati a PATANE’ Giuseppa Liliana risultavano
acquistati l’uno (locale deposito sito in Catania via Regina Bianca 83)
nel 1987, e l’altro (appartamento sito in Catania via S.Giovanni Li
Cuti 61) in forza di mutuo contestuale all’acquisto nel 1991, vale a
dire oltre venti anni prima dei fatti oggetto di contestazione al
marito;
-la PATANE’ risultava aver percepito redditi ed altri introiti derivanti
da varie documentate operazioni finanziarie (vendita immobiliare,
cessione di esercizio commerciale);
-il conto corrente bancario n. 5166, cointestato a PATANE’ Giuseppa
Liliana e Piacente Giovanni, in essere presso Banca Intesa S.Paolo
filiale 7460 di Catania recava un saldo attivo di euro 22.477,10,
derivante dall’accredito di n. 3 bonifici di euro 10.000,00 cadauno in
conseguenza di altrettante vincite al concorso “lotto istantaneo” da
parte del Piacente.
3. Con ordinanza in data 18.03.2013 il Tribunale di Catania in funzione
di giudice del riesame, in parziale accoglimento del ricorso, annullava
il provvedimento impugnato in relazione a due immobili (il primo,
sito in Catania via Regina Bianca 83, p. 1, fg. 15, part. 260, sub. 44,
cat. A/2; il secondo, sito in Catania via San Giovanni Li Cuti 61, fg.

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16, part. 670, sub 4, cat. A/5) e ad un conto corrente (n.
07460/1000/5166 in essere presso Banca Intesa San Paolo, filiale
7460 di Catania) confermandolo nel resto. Nel corpo del
provvedimento il Tribunale di Catania osservava come, le acquisizioni
operate dalla PATANE’ nell’arco temporale compreso tra il 2002 ed il
2012 risultavano comunque non giustificate alla luce del reddito
familiare disponibile e posto che i rilevamenti Istat in ordine alla

“spesa familiare media”, genericamente censurati dalla difesa, erano
da ritenersi attendibili; conseguentemente – rilevava il Tribunale di
Catania – non avendo la ricorrente provato la sussistenza di
disponibilità economiche tali da consentirle gli acquisti dei beni e dei
rapporti contrattuali assoggettati a sequestro (ulteriori e diversi
rispetto a quelli contestualmente dissequestrati), e non avendo
l’istante fornito ulteriori elementi idonei a giustificare la titolarità in
capo alla predetta dei succitati beni e rapporti contrattuali, il decreto
impugnato, per detti restanti beni, doveva essere confermato.
4. Avverso detto provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione
per violazione di legge in presenza di una motivazione del tutto
mancante.
Lamenta la ricorrente come, nei confronti della PATANE’, a ragione
della sua qualità di terza interessata, non poteva operare alcuna
presunzione di illecita sproporzione, gravando sull’accusa l’onere di
dimostrare la sussistenza del predetto requisito, da valutarsi non
solo in relazione ai dati contabili e numerici strettamente considerati
ma attraverso una verifica ad ampio spettro alla luce dell’ipotetica
compromissione del diritto, di rango costituzionale, di proprietà.
In sostanza, il Tribunale di Catania aveva assunto il dato della
sproporzione sulla scorta di un dato fittizio (e di natura fiscale) qual
è l’indice Istat, ritenendo per di più di non considerare i redditi
prodotti dalla PATANE’ in epoca antecedente l’anno 2002.
Concludeva l’istante come la mancanza di prova in ordine
all’intestazione fittizia dei beni facenti capo alla ricorrente e l’assenza
di sproporzione tra redditi percepiti ed acquisti doveva
necessariamente condurre all’annullamento del provvedimento
impugnato con le consequenziali statuizioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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5. Il ricorso risulta fondato ed il suo accoglimento comporta
l’annullamento del provvedimento impugnato.
6. Con riferimento al

thema decidendum

vanno preliminarmente

rammentate le regole in tema di impugnazione del provvedimento di
sequestro preventivo. Innanzitutto va considerato che con il ricorso
per cassazione ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. può essere

dedotta la violazione di legge e non anche il vizio di motivazione. Ma,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge
laddove la motivazione stessa sia del tutto assente o meramente
apparente, non avendo i pur minimi requisiti per rendere
comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice
del provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l’obbligo di
motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un
elemento essenziale dell’atto.
Va anche ricordato che, anche se in materia di sequestro preventivo
il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio
serio come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente
prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera
enunciazione e descrizione. È invece necessario valutare le concrete
risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice
livello di “fumus” al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada
ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre necessario che
appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole
all’accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli argomenti
prospettati dalle parti. A tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi
le valutazioni in tema di periculum in mora che, necessariamente,
devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione
dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità di condanna
e, quindi, di confisca (cfr., Cass., Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013dep. 11/02/2013, Gabriele, rv. 254893).
7. La ricorrente agisce nella sua qualità di terza proprietaria dei
sottoindicati beni ancora gravati da sequestro:
-motoveicolo Piaggio Vespa;
– autoveicolo Toyota IQ;
– n. un conto corrente;
– n. tre conti deposito a risparmio.

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8. In punto di diritto, in ordine al sequestro preventivo disposto a carico
di un terzo estraneo al reato per cui si procede, vanno rammentati i
seguenti principi di diritto:
– incombe alla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di
situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra
intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sicché possa
affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla

titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza
dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di
salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così come spetta al giudice
della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta interposizione
fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze sintomatiche di
mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei crismi della
gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in
chiave indiretta, l’assunto accusatorio;
– dal momento che, come ricordato in premessa, il ricorso per
cassazione può essere proposto solo ed esclusivamente per violazioni
di legge ex art. 325 cod. proc. pen., il vizio di motivazione – secondo
il pacifico l’indirizzo giurisprudenziale (cfr., Cass., Sez. un., n.
25080/2003, rv. 224611; Id., n. 5876/2004, rv. 226710; Id., n.
25932/2008, rv. 239692; Cass. n. 19598/2010, rv. 247514) – può
essere dedotto in soli due casi:
a) quando la motivazione manchi del tutto (cd. mancanza grafica
della motivazione);
b) quando la motivazione, pur presente graficamente, sia apparente.
Con tale ultimo – e più frequente – sintagma (“motivazione
apparente”), la giurisprudenza di questa Corte intende quella
motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al
punto da risultare inidonea a rendere comprensibile

l’iter logico

seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative
del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le
ragioni che hanno giustificato il provvedimento.
9. Tema centrale è rappresentato dalla rilevanza del requisito della
valutazione della sproporzione dei valori.
Come è noto, il suddetto principio è stato enunciato dalla Suprema
Corte nei casi in cui i beni sequestrati siano intestati formalmente
all’indagato (cfr., Cass., Sez. 6, n. 42717 del 05/11/2010-dep.

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01712/2010, Noviello, rv. 248929). In tale ipotesi, è chiaro che
costui, può ben difendersi eccependo, appunto, che, nel momento in
cui aveva acquistato i beni sequestrati, egli aveva una lecita
disponibilità economica tale da consentire l’acquisito di quel singolo
bene. La questione, però, si pone, con tutta evidenza, in termini del
tutto diversi ove ad essere colpito dal sequestro è un terzo. In tal
caso, l’onere probatorio dell’accusa consiste unicamente nel

dimostrare, anche e soprattutto attraverso presunzioni gravi, precise
e concordanti, che quei beni, in realtà, non sono del terzo, ma sono
nella disponibilità dell’indagato “a qualsiasi titolo” (cfr., Cass., Sez. 1,
n. 44534 del 24/10/2012-dep. 15/11/2012, Ascone e altro, rv.
254699, secondo cui ai fini dell’operatività del sequestro preventivo
previsto dall’art.

12-sexies della legge n. 356 del 1992 e della

successiva confisca nei confronti del terzo estraneo alla commissione
del reato, grava sull’accusa l’onere di provare l’esistenza di
circostanze che avallino in modo concreto la divergenza tra
intestazione formale e disponibilità effettiva del bene non essendo
sufficiente la sola presunzione fondata sulla sproporzione tra valore
dei beni e reddito percepito; nello stesso senso, Cass., Sez. 6, n.
49876 del 28/11/2012-dep. 21/12/2012, Scognamiglio, rv. 253957).
A sua volta il terzo, pur non essendo gravato da alcun onere
probatorio ha tuttavia, ove lo ritenga opportuno, un onere di
allegazione che consiste, appunto, nel confutare la tesi accusatoria
ed indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua
esclusiva proprietà.
Invero, poiché l’interposizione fittizia poggia generalmente su un
rapporto fiduciario riservato che ne rende particolarmente difficile il
disvelamento, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la
prova in tale materia può essere data anche per indizi, purché però
abbiano i requisiti stabiliti dall’art. 192, comma 2 cod. proc. pen.
(cfr., Cass., Sez. 2, 10/01/2008 n. 3990, Catania, rv. 239269).
È chiaro, quindi, che il procedimento ruota solo ed esclusivamente
intorno al suddetto onere probatorio, sicché sarebbe del tutto
incongruo che il terzo facesse valere un’eccezione che riguarda
l’indagato e che solo costui potrebbe far valere.
In altri termini, proprio perché il terzo sostiene di essere lui il vero
ed esclusivo proprietario del bene sequestrato (che, quindi, ha

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acquistato lecitamente), sarebbe una contraddizione in termini se
facesse valere un’eccezione che presuppone:
a) la contestazione di uno dei reati indicati nell’art. 12-sexies, I. cit.;
b) la prova – a carico dell’indagato – della legittima provenienza del
suddetto bene.
Pertanto, nel caso in cui il sequestro colpisca un bene di un terzo:

se l’accusa non riesce a dare la prova che il bene è nella

disponibilità dell’indagato, il bene va restituito al terzo;
se l’accusa riesce a dare la prova che il bene è intestato
fittiziamente al terzo essendo in realtà nella disponibilità
dell’indagato, il bene è sequestrato (cfr., Cass., Sez. 2, n. 17287
del 23/03/2011-dep. 04/05/2011, Tondi, rv. 250488).
A sua volta, il giudice ha l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta
interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche
di spessore indiziario, ma elementi fattuali che si connotino della
gravità, precisione e concordanza, sì da costituire prova indiretta
dell’assunto che si tende a dimostrare, cioè del superamento della
coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene
(Cass., sez. 1, n. 11049 del 05/02/2001-dep. 21/03/2001, Di Bella,
rv. 226053).
10.Tanto precisato in via di diritto, il thema decidendum si riduce,
quindi, nello stabilire se il Tribunale di Catania abbia fatto corretta
applicazione dei suddetti principi.
In relazione ai propri redditi, la ricorrente ha dedotto:
– di essere stata titolare di partita iva quale esercente attività servizi
vari con sede in Catania via Leopardi 152;
-di aver aperto altra partita iva per esercizio di bar-servizio pubblico
con inizio attività 01.02.1990;
-di aver percepito, continuativamente, redditi a decorrere dall’anno
1987, come dimostrato con l’allegazione dei modelli unico e dei cud;
-di aver venduto in data 22.02.1989 due appartamenti e tre garages
al prezzo complessivo di L. 122.000.000;
– di aver venduto in data 29.01.1992 un esercizio commerciale al
prezzo di L. 650.000.000.
Si è visto come nel provvedimento impugnato si assuma che le
acquisizioni operate dalla PATANE’ nell’arco temporale tra il 2002 ed
il 2012 risultino non giustificate alla luce del reddito familiare

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disponibile, per come desumibile dal prospetto c.d. sperequativo
dell’informativa della polizia giudiziaria in atti, sia pure rettificato nei
termini prospettati dalla difesa, quanto alla capacità reddituale,
posto che h rilevamenti Istat in ordine alla “spesa familiare media”,
genericamente censurati dalla difesa, erano da ritenersi attendibili,
eccezion fatta per la necessità di espungere dal nucleo familiare
Piacente Veronica a decorrere dal matrimonio di questa e salvi gli

eventuali ulteriori e più approfonditi accertamenti tecnico-contabili
riservati al giudizio di merito. Di tal chè, concludeva il Tribunale di
Catania, non avendo la ricorrente provato la sussistenza di
disponibilità economiche tali da consentirle gli acquisti dei beni e/o
rapporti contrattuali assoggettati a sequestro e non avendo fornito
ulteriori elementi idonei a giustificare la titolarità in capo alla
predetta dei beni e/o rapporti contrattuali sottoposti a sequestro, il
decreto impugnato deve essere confermato.
11.11 provvedimento impugnato contiene una motivazione non
condivisibile.
Invero, l’errore di cui lo stesso risulta affetto si radica nell’aver
meccanicamente applicato all’accertamento dell’intermediazione
fittizia lo stesso metro di giudizio previsto per l’accertamento
dell’accumulazione illecita dell’imputato/condannato, valorizzando il
rapporto coniugale.
Invero, l’intestazione fittizia, da parte del terzo, di un bene in realtà
appartenente al condannato per uno dei reati indicati dall’art. 12sexies I. cit., deve essere invece accertata per fatti concludenti
concreti, emzit=d1=1=1’cesun:1n0 anche in presenza di
intestazioni a favore del coniuge del condannato/imputato (cfr.,
Cass., Sez. 1, n. 31663 dell’08/07/2004-dep. 20/07/2004,
Pettograsso, rv. 229300). A tal fine, se può assumere valenza
probatoria anche la sproporzione di valore tra il bene formalmente
intestato e il reddito effettivamente percepito, è altrettanto vero
come occorra sempre che la sproporzione, confrontata con le altre
circostanze che caratterizzano il fatto concreto, appaia sicuramente
dimostrativa della natura simulata dell’intestazione.
Venendo al caso in esame, appare evidente come i redditi e i
proventi (documentati) della ricorrente non possono ritenersi
estranei alla capacità reddituale della stessa, laddove si consideri

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come quest’ultima, oltre al conto corrente ed ai tre conti deposito a
risparmio (su cui il Tribunale omette ogni valutazione), risulta
esclusivamente titolare di un motociclo e di un’autovettura, il cui
valore complessivo risulta ammontare a soli euro 14.500,00.
Il Tribunale di Catania, quindi, non ha tenuto nel debito conto il
volume degli affari e la redditualità della ricorrente nel valutare
l’effettività o fittizietà degli acquisti e delle titolarità bancarie in

fittizia e conseguente titolarità reale dei beni da parte
dell’interponente) sulla base della mera ritenuta sproporzione tra il
valore dei beni ed il reddito percepito dalla ricorrente.
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per
nuovo esame da compiersi nel rispetto delle regole di valutazione
sopra esposte

PQM

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Catania
per nuovo esame.
Così deliberato in Roma il 12.12.2013

discorso, facendo operare la presunzione di legge (intestazione

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