Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3619 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3619 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 12/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di PIACENTE Giovanni, nato a
Catania il 31.05.1952, rappresentato e assistito dall’avv. Salvatore
Sterlino e dall’avv. Vincenzo Trantino avverso l’ordinanza n. 53/2013
del Tribunale di Catania in funzione di giudice del riesame in data
18.03.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
letto il documento prodotto in udienza dalla difesa;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentita la requisitoria del Procuratore generale dott. Massimo Galli
che ha chiesto il rigetto del ricorso nonché la discussione della difesa
che ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento
impugnato con le statuizioni di conseguenza

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con decreto in data 08.02.2013 il Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Catania disponeva nei confronti di PIACENTE
Giovanni il sequestro preventivo ex artt. 12-sexies I. 356/1992, 321,
comma 2 cod. proc. pen. di taluni beni in relazione a vari delitti di
usura. Il provvedimento veniva motivato sulla base degli
accertamenti patrimoniali effettuati sull’indagato e il di lui nucleo

familiare che aveva consentito di ritenere come la capacità reddituale
dei predetti fosse all’evidenza insufficiente rispetto alle esigenze
connesse al quotidiano sostentamento e, in ogni caso, rispetto alle
spese effettuate per l’acquisto dei veicoli e di immobili.
2. Avverso detto provvedimento, PIACENTE Giovanni proponeva ricorso
per riesame chiedendo l’annullamento dello stesso con conseguente
restituzione all’avente diritto di quanto soggetto a vincolo reale,
deducendo l’erronea applicazione del combinato disposto degli artt.
12-sexies I. 356/1992 e 321, comma 2 cod. proc. pen. posto che:
– il PIACENTE Giovanni era incensurato, non annoverando condanna
definitiva per alcuno dei reati espressamente indicati dall’art. 12sexies I. 356/1992 e rivestendo la qualità di indagato per quattro
episodi di usura, il primo risalente al 2008 e l’ultimo al 2011;
– non ricorreva nella fattispecie il periculum in mora, tenuto conto
dell’evidente scarto temporale tra l’acquisto dei beni e la
contestazione del reato di usura nonché dell’espletamento legittimo
di attività economica e della prova della liceità dell’origine di tali
beni, ferma l’inattendibilità dei rilevamenti statistici ai fini della
individuazione della spesa familiare tenuta in conto dalla polizia
giudiziaria.
Il ricorrente forniva poi elementi a suo dire giustificativi delle
proprietà e dei redditi propri e del suo nucleo familiare.
3. Con ordinanza in data 18.03.2013, il Tribunale di Catania in funzione
di giudice del riesame, in parziale accoglimento del ricorso, annullava
il provvedimento impugnato in relazione ad un immobile (sito in
Catania via Regina Bianca 83, p. 3, fg. 15, part. 260, sub. 27, cat.
A/2) e ad un conto corrente (n. 07460/1000/5166 in essere presso
Banca Intesa San Paolo, filiale 7460 di Catania), in relazione ai quali
doveva ritenersi superata la presunzione normativa, confermandolo
nel resto. Nel corpo del provvedimento il Tribunale di Catania

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osservava come, in relazione agli altri beni per il quali veniva
mantenuto il vincolo reale, il valore dei veicoli e degli immobili
acquistati da PIACENTE Giovanni e dal nucleo familiare di questi
nell’arco temporale compreso tra il 2002 ed il 2012 appaia del tutto
incongruente e non proporzionato rispetto alle capacità reddituali e
finanziarie del predetto nucleo familiare con riferimento al periodo in
considerazione, e ciò anche quando si considerino i maggiori flussi

reddituali “in entrata” indicati dalla difesa.
4. Avverso detto provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione
per violazione di legge in presenza di una motivazione apparente ed
in alcuni passaggi profondamente contraddittoria.
Lamenta il ricorrente come, in modo del tutto ingiustificato, il
Tribunale di Catania abbia ritenuto la sproporzione reddituale legata,
in via pressoché esclusiva, alla c.d. “spesa familiare media” ed abbia
escluso i redditi prodotti in epoca precedente al 2002. Il Tribunale di
Catania, inoltre, a fronte di una contestazione di usura il cui primo
episodio risalirebbe all’anno 2008, ha preso in esame tutti gli acquisti
operati ed i redditi prodotti solo a partire dall’anno 2002 e non anche
quelli relativi agli anni precedenti benché i medesimi fossero stati
certamente utilizzati per gli acquisti e per l’apertura dei conti correnti
bancari oggetto di sequestro. Conseguentemente, il mantenimento
del sequestro su un’autovettura e su un motociclo di proprietà del
ricorrente percettore di reddito dal 1985 (e dal medesimo acquistati
rispettivamente in data 2006 e 2012) non trovava alcuna
giustificazione normativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso va rigettato.
6. Con riferimento al

thema decidendum

vanno preliminarmente

rammentate le regole in tema di impugnazione del provvedimento di
sequestro preventivo. Innanzitutto va considerato che con il ricorso
per cassazione ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. può essere
dedotta la violazione di legge e non anche il vizio di motivazione. Ma,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge
laddove la motivazione stessa sia del tutto assente o meramente
apparente, non avendo i pur minimi requisiti per rendere

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comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice
del provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l’obbligo di
motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un
elemento essenziale dell’atto.
Va anche ricordato che, anche se in materia di sequestro preventivo
il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio
serio come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente

prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera
enunciazione e descrizione. È invece necessario valutare le concrete
risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice
livello di “fumus” al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada
ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre necessario che
appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole
all’accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli argomenti
prospettati dalle parti. A tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi
le valutazioni in tema di periculum in mora che, necessariamente,
devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione
dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità di condanna
e, quindi, di confisca (cfr., Cass., Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013dep. 11/02/2013, Gabriele, rv. 254893).
Come è noto, in forza del combinato disposto degli artt. 12-sexies
d.l. n. 306/1992 e 321, comma 2 cod. proc. pen., il legislatore ha
previsto che possa essere disposto il sequestro preventivo di cose di
cui è consentita la confisca e, tra tali beni, rientrano certamente
“denaro, beni o altre utilità di culli condannato (per delitti tra i quali
rientrano quello oggetto di contestazione)

non può giustificare la

provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica,
risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in
valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle
imposte sul reddito, o alla propria attività economica”: trattasi di
speciale ipotesi di confisca con la quale il legislatore ha operato una
presunzione di illecita accumulazione, senza distinguere se i beni (di
valore sproporzionato al reddito o all’attività economica
dell’imputato) siano o meno collegati da un nesso pertinenziale con il
reato per il quale si procede ed a prescindere dall’epoca
dell’acquisto, che però non deve risalire ad un’epoca talmente
precedente la commissione del reato da far venir meno, ictu °culi, la

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presunzione che la loro disponibilità sia riconducibile all’attività
delittuosa (Cass., Sez., 1, n. 11409 del 21/03/2001, Di Bella, rv.
226051). Sotto tale profilo, la condizione di “confiscabilità” del bene
a norma degli artt. 12-sexies I. 356/1991, 321, comma 2 cod. proc.
pen., consiste nella presenza di seri indizi di esistenza delle
medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che
riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle

attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata
giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (Cass., Sez.
un., 17/12/2003, Montella; Cass., Sez. 6, 12/01/2010 n. 5452).
L’oggetto della confisca è costituito non solo dai beni sui quali il
condannato sia titolare di diritti a lui facenti capo formalmente
ovvero attraverso lo schema simulatorio dell’interposizione fittizia,
ma investe anche i beni dei quali il “condannato” abbia la
“disponibilità a qualsiasi titolo”, con ciò intendendosi riferirsi a quella
speciale relazione effettiva con il bene connotata dall’esercizio di
poteri di fatto in forza dei quali l’indagato può autonomamente
determinare la destinazione, l’impiego e il godimento del bene stesso
(Cass., Sez. 1, n. 11732 del 09/03/2005, De Masi).
7.

Poste tali premesse, ritiene questo Collegio come le valutazioni e gli
apprezzamenti probatori operati dai giudici di merito, e nella specie
espressi nel provvedimento impugnato, trovino una giustificazione
che risulta completa nonché fondata su argomentazioni
giuridicamente corrette, adeguate e coerenti, il tutto in presenza di
un ragionamento probatorio indenne da vizi logici.

8. Il Tribunale di Catania, invero, dopo aver premesso che ai fini
dell’applicazione del sequestro preventivo di cui al combinato
disposto degli artt. 12-sexies I. n. 356/1982 e 321, comma 2 cod.
proc. pen. non è necessario che sia intervenuta condanna definitiva
per almeno uno dei reati contemplati dal citato art. 12-sexies

I. n.

356/1982, essendo al riguardo sufficiente l’accertata sussistenza del
fumus delicti commissi ricavabile dagli stessi elementi valutati in
termini di gravità indiziaria e posti a base della misura custodiale
applicata in danno del ricorrente, ha riconosciuto come gli
accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria costituissero un
parametro di riferimento idoneo nella presente fase; in particolare, è
stato rilevato come dalla nota informativa dell’11.12.2012 fosse

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agevole ricavare come il valore dei veicoli e degli immobili acquistati
dal Piacente e dal suo nucleo familiare nell’arco temporale compreso
tra il 2002 ed il 2012 (in relazione al quale la corte territoriale motiva
le ragioni dell’ambito di riferimento) apparisse del tutto incongruente
e non proporzionato rispetto alle capacità reddituali e finanziarie del
predetto nucleo familiare con riferimento al periodo in
considerazione, e ciò quand’anche si fossero considerati i maggiori

flussi reddituali “in entrata” indicati dalla difesa (il tutto,
considerando come nel nucleo familiare del PIACENTE, esercente
attività di pesca in acque marine e lagunari e servizi connessi, gli
unici percettori di reddito risultavano essere l’indagato tra il 2002 ed
il 2006, la moglie, tra il 2002 e il 2004 ed ancora tra il 2009 e il 2011
e il figlio per gli anni 2002, 2005-2007, 2010-2011).
9.

Il valore sproporzionato dei beni nella disponibilità del PIACENTE
Giovanni (intestatario formale di un’autovettura, un motoveicolo,
un’abitazione, quattro conti depositi a risparmio, tre conti correnti,
un conto deposito titoli, un conto gestione collettiva del risparmio)
rispetto alle sue (lecite) possibilità economiche ricade pertanto
nell’alveo della presunzione – non superata – di cui all’art. 12-sexies
D.L. 306/1992 (in tali termini, cfr., Cass., Sez. 1, n. 25728 del
05.06.2008 ove si è affermato che secondo le regole ordinarie
incombe all’accusa l’onere della prova quanto alla sproporzione del
bene rispetto rispetto alla capacità reddituale lecita del soggetto; una
volta provata la mancanza di proporzione, in ragione del titolo di
reato, vi è una relativa presunzione di illecita accumulazione
patrimoniale, che può essere superata da specifiche e verificate
allegazioni dell’interessato): presunzione di illegittima acquisizione,
correttamente circoscritta in un àmbito di ragionevolezza temporale
(cfr., Cass., Sez. 1, n. 2634 del 11/12/2012-dep. 17/01/2013,
Capano e altro, rv. 254250).

10. Il ricorrente ha contestato infine la validità e la presunzione della
sproporzione reddituale desunta dal c.d. “redditometro” anche alla
luce della richiamata recente circolare emessa dal Garante per la
privacy in data 21 novembre 2013 ed ai rilievi dal medesimo mossi
in ordine all’efficacia presuntiva della spesa familiare media. In
realtà, i rilevi di criticità del Garante, pur riaffermando il principio
della profilazione desunta da spese certe, ineriscono principalmente

6

all’esigenza di tutela dei dati personali della persona e non assumono
effetti sulle valutazioni probatorie spettanti al giudice in tema di
adozione di misura cautelare reale: criticità – peraltro – in parte già
risolte nel corso della verifica preliminare mediante i correttivi
apportati dall’Agenzia delle entrate: da qui l’inconferenza del dedotto
richiamo.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deliberato in Roma il 12.12.2013

Il Presidente
Dott. An ea Pellegrino

pagamento delle spese processuali

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