Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36156 del 26/05/2015

Penale Ord. Sez. 7 Num. 36156 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 1978/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
07/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 26/05/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
L’imputato A.A., in atti generalizzato, ricorre contro la sentenza
indicata in epigrafe (che ne ha confermato la condanna per il reato di tentata estorsione
ascrittogli), lamentando violazione di legge quanto alla valutazione delle dichiarazioni della
p.o. con omesso esame dei motivi di appello, quanto alla qualificazione giuridica dei fatti (che
integrerebbero il tentativo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni), quanto alla mancata

In data 11 maggio 2015 è stata depositata una memoria difensiva nell’interesse
dell’imputato, con la quale vengono reiterati il secondo ed il terzo motivo.
In data 13 maggio 2015 è stata depositata una seconda memoria difensiva nell’interesse
dell’imputato, con la quale – in vista di una possibile applicazione dell’art. 131 bis c.p., è stata
chiesta l’assegnazione per la trattazione ad altra sezione.
Non risultano depositate memorie nell’interesse dell’imputato in data successiva.
All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 611 c.p.p., si è preso atto della regolarità
degli avvisi di rito; all’esito questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti.
Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di specificità in tutte
le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello
e già non accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n.
221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133),
del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la
Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e
non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato (al
contrario di quanto sostenuto in ricorso – all’evidenza meramente pro domo sua, ma senza
apprezzabile riscontro in atti -, dal difensore del ricorrente, puntualmente esaminando e

applicazione dell’art. 116 c.p., sempre con vizio di motivazione,

confutando le obiezioni difensive costituenti oggetto di appello):
– la contestata affermazione di responsabilità valorizzando le dichiarazioni (motivatamente
ritenute intrinsecamente attendibili per linearità e precisione) della parte lesa PERABONI,
corroborate da numerosi riscontri, riepilogati a f. 3 della sentenza impugnata (le dichiarazioni
dei due testimoni oculari presenti nel bar dove la p.o. ha riferito avere in una occasione, il 10
marzo 2011, cercato rifugio, ed essere stata cionondimeno aggredita; il referto delle lesioni in
tale occasione riportate dalla p.o.; i dati desunti dall’esame del traffico telefonico delle utenze
-della p.o. e dell’imputato, pure riepilogati a f. 3; il contenuto di un snns inviato dal A.A.
alla p.o. in data 6 aprile 2011, contenente moniti minacciosi puntualmente verificatisi nella
realtà con le indicate modalità);

– la contestata qualificazione giuridica dei fatti accertati correttamente valorizzando (f. 4)
l’assenza di congrue e precise indicazioni atte ad individuare <>: in assenza di un credito in ipotesi utilmente
azionabile in sede giurisdizionale, la condotta accertata non potrebbe, infatti, essere

– l’esclusione della qualificazione dei fatti ascrivibili al A.A. ex art. 116 c.p., risultando
egli il consapevole mandante delle condotte materialmente tenute dal fratelli B.B.
(significativo in tal senso appare il citato sms e gli indicati dati desumibili dall’esame del
traffico telefonico riconducibile alle utenze dell’imputato e della p.o.).

Con tali argomentazioni il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente,
limitandosi a riproporre una diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su
mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti.

Quanto alla richiesta formulata nelle memoria depositata in data 13 maggio 2015, deve
premettersi che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131bis cod. pen., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di
entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di
legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio ex art. 609, comma secondo,
cod. proc. pen. la sussistenza o l’insussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto
istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della
decisione impugnata (Sez. III, sentenza n. 21474 del 22 aprile 2015, CED Cass. n. 263693;
Sez. IV, sentenza n. 22381 del 17 aprile 2015, CED Cass. n. 263496)
Nel caso di specie, peraltro, tenuto conto che il fatto ascritto all’imputato,
conclusivamente qualificato come tentata estorsione, consiste nell’essere mandante delle
condotte tenute dagli esecutori materiali, concretizzarsi nell’aver minacciato e colpito al volto
la p.o. per ottenerne l’indebita consegna della somma di euro 30.000, va esclusa all’evidenza
l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della predetta causa di non punibilità,
emergendo dalla sentenza impugnata elementi inequivocabilmente indicativi della gravità dei
fatti addebitati all’imputato, assolutamente incompatibili con un giudizio di particolare tenuità
degli stessi.

La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo
evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa
(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta col

ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 393 c.p. (se del caso, in forma tentata);

della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione
pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle ammende.

Il Presidente

Così deciso in Roma, udienza camerale 26 maggio 2015

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