Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36155 del 26/05/2015
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36155 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
VALLONE ROBERTO N. IL 13/07/1972
avverso la sentenza n. 3537/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
07/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
Data Udienza: 26/05/2015
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
L’imputato ROBERTO VALLONE, in atti generalizzato, ricorre contro la sentenza indicata in
epigrafe (che ne ha confermato la condanna per il reato ascrittogli, riducendo la pena ritenuta
di giustizia dal primo giudice), lamentando violazione dell’art. 649 c.p.
All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 611 c.p.p., si è preso atto della regolarità
Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di specificità in tutte
le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello
e già non accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n.
221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133),
del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con ì quali la
Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e
non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la
contestata affermazione di responsabilità e la qualificazione giuridica dei fatti accertati
valorizzando le dichiarazioni (motivatamente ritenute attendibili, nonostante la successiva
ritrattazione) della parte lesa – madre dell’imputato – quanto alle violenze (e non soltanto
minacce) subite (secondo quanto peraltro puntualmente contestato nel capo di imputazione),
confermate dalle dichiarazioni dibattimentali della sorella dell’imputato (la teste aveva
confermato di aver saputo dalla madre che il fratello la picchiava perché voleva i soldi),
correttamente conformandosi all’orientamento di questa Corte (per tutte, Sez. II, sentenza n.
24643 del 21 marzo 2012, CED Cass. n. 252833), e più ancora al dato testuale desumibile
dall’art. 649 c.p. quanto all’esclusione della relativa causa di non punibilità in relazione al
tentativo di estorsione commesso con violenza in danno della propria madre.
Con tali argomentazioni il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente,
limitandosi a riproporre una diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su
mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti.
La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo
evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa
(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa
…..« della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione
pecuniaria.
degli avvisi di rito; all’esito questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 26 maggio 2015
Il Presidente