Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3615 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3615 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da :

1. PROCURATORE GENERALE

DELLA REPUBBLICA PRESSO

LA CORTE D’APPELLO

VENEZIA
2. MINISTERO DELLA DIFESA
3. PORTA MARIO
4.

MELORIO ELVIO

5. DI DONA AGOSTINO
6. CUCCINIELLO GUIDO
7. CHIANURA FRANCESCO

Avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA in data 14 luglio 2014

DI

Data Udienza: 05/11/2015

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, sentite le
conclusioni del PG in persona del dott. Gabriele Mazzotta che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso del P.G. ed il rigetto degli altri ricorsi. Per Porta, Melorio, Di Dona,
Cucciniello, Ruggiero e per il Responsabile Civile è presente l’avvocato Massimo Giannuzzi
del foro di Roma che ha chiesto l’accoglimento del ricorso degli imputati e del Responsabile
Civile

1.

Con l’impugnata sentenza resa in data 14 luglio 2014 la Corte d’Appello di Venezia,
in riforma della sentenza emessa dal’ Tribunale di Padova in data 22 marzo 2012,
appellata dal Procuratore della Repubblica di Padova e dalle parti civili, dichiarava
non doversi procedere nei confronti di Bini Mario per essere il reato estinto per morte
del reo nonché nei confronti di Chianura Francesco, Cucciniello Guido, Di Dona
Agostino, Melorio Elvio, Porta Mario, Ruggiero Filippo, escluse le aggravanti del
capoverso di cui all’art. 589 cod. pen., per essere il reato estinto per prescrizione.
La sentenza di primo grado aveva invece mandato assolti gli imputati perché il fatto
non sussiste

2.

La vicenda processuale concerne i decessi avvenuti per mesotelioma pleurico
cagionato da esposizione all’amianto dei dipendenti della Marina Militare Calabrò
Giuseppe, deceduto il 13 febbraio 2002 e Baglivo Giovanni deceduto il 4 settembre
2005 per cui erano stati imputati coloro che rivestivano posizioni apicali nell’ambito
della Marina Militare nel corso dei più significativi periodi di servizio esplicati dal
Calabrò e dal Baglivo.

3.

Avverso tale decisione ricorre il Procuratore Generale della Repubblica presso la
Corte d’Appello di Venezia denunciando con un unico motivo la violazione di legge
per omessa applicazione dell’art. 589 comma 2 cod. pen. e la manifesta illogicità
della motivazione, quanto alla ritenuta declaratoria di estinzione del reato per
intervenuta prescrizione. Avrebbe in particolare errato la Corte di merito
nell’escludere nel caso di specie la sussistenza delle contestate aggravanti specifiche
di cui al secondo comma dell’art. 589 cod. pen. (che, ove ritenute, avrebbero inciso
in pejus, sulla durata del termine di prescrizione, elevandolo a complessivi quindici
anni).
Rileva in proposito il ricorrente che la Corte territorialernel fare applicazione della
norma di cui all’art. 20 secondo comma legge 183 del 2010, secondo cui le norme
aventi forza di legge emanate in attuazione della delega di cui all’art. 2 lett. b) della
legge 12 febbraio 1955, n. 51, si interpretano nel senso che esse non trovano
applicazione in relazione al lavoro a bordo del naviglio dello Stato e, pertanto, le
disposizioni penali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n.

RITENUTO IN FATTO

3303 non si applicano per il periodo di loro vigenza, ai fatti avvenuti a bordo dei
mezzi del medesimo naviglio,- non avrebbe preso in considerazione il complesso
dell’attività prestata

dal Calabrò e dal Baglivo. Sostiene in particolare che la

previsione in questione non poteva essere applicata – trattandosi di norma di stretta
interpretazione- anche per l’attività prestata a terra dal Calabrò e dal Baglivo.
Donde l’erroneità della intervenuta esclusione dell’aggravante contestata e della

4.

Ricorrono altresì / a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato i Porta Mario, Melorio
Elvio, Di Donna Agostino, Cucciniello Guido, lamentando con un primo motivo
inosservanza ed erronea applicazione di legge ed in particolare del combinato
disposto dell’art. 40 cod. pen. dell’art. 129 cod. proc. pen. e dell’art. 530 cod. proc.
pen.; la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza in
relazione alla riforma della statuizione assolutoria nei confronti degli imputati con
riferimento alla imputazione di omicidio colposo in danno del signor Calabrò;
l’inosservanza ed erronea applicazione del combinato disposto dell’art. 43 cod. pen.,
dell’art. 129 comma 1 cod. proc. pen. e dell’art. 530 cod. proc. pen. Richiamano in
particolare le motivazioni della sentenza di primo grado che aveva assolto gli
imputati perché il fatto non sussiste essendo carente la prova del nesso di causalità
tra le condotte omissive loro contestate ed i decessi e rilevano come la sentenza
impugnata avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di una legge di copertura radicata
nella comunità scientifica attestante l’effetto acceleratore della progressione del
mesotelioma pleurico attribuibile alle esposizioni all’amianto successive allaa prima.

5.

Ricorre altresì t a mezzo dell’avvocato Dresda Chianura Francesco, lamentando la
/
inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità e la violazione dell’art.
178, comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 6 & 1 CEDU e 603 cod.
proc. pen.; la manifesta insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione
nella parte relativa alla valutazione della sussistenza del nesso causale.

6.

E’ stata depositata memoria difensiva nell’interesse degli imputati e del Ministero
della Difesa da parte dell’Avvocatura Generale dello Stato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
7.

Il ricorso del Procuratore Generale è fondato.
La gravata sentenza / pur dando atto a pag. 27 di tale impostazione della Procura
Generale non ha affrontato specificamente la questione.
/
Né può convenirsi con quanto sostenuto dal P.G. di questa Corte che la stessa non
avrebbe comunque rilievo per aver la Corte territoriale, pur sostanzialmente
riconosciuto l’esposizione all’amianto anche nel corso dell’attività svolta a terra,
quanto meno dal Calabrò, l’ha ritenuta sostanzialmente poco significativa in quanto
di tipo meramente ambientale. Premesso che questa Corte ha già avuto modo di

conseguente declaratoria di estinzione del reato di omicidio colposo per prescrizione.

affrontare, se pur non recentemente, la questione, confermando la necessità di una
interpretazione restrittiva della clausola di esenzione in discussione (cfr. Sez. 2, n.
13676 del 17/12/1975, Rv. 134980; principio riaffermato, sia pure incidentalmente
da Sez. 4,

n. 16028 del 15/01/2003, Rv. 225425 ) e che pertanto la questione è

rilevante, incidendo effettivamente sui termini prescrizionali, va rilevato che la
motivazione sul punto della Corte territoriale non appare esaustiva, considerato che
in ogni caso la Corte ha omesso di approfondire se comunque detta esposizione
avrebbe potuto incidere anche soltanto sul tempo di latenza o sul decorso della

malattia, trattandosi comunque di esposizione prolungata nel tempo in assenza di
strumenti di protezione individuali e di adozione di misure di riduzione delle polveri.
Va in particolare analizzato se la prosecuzione dell’esposizione possa comunque
produrre una accelerazione dei tempi della progressione della patologia e
conseguentemente incidere sul nesso causale tra l’esposizione stessa e l’evento
morte. Il mesotelionna insorge dopo una lunga latenza, di alcune decine dì anni dalla
prima esposizione e mediamente di circa 30 anni. La latenza diminuisce con
l’incremento dell’esposizione. Si tratta di legge scientifica sufficientemente radicata
nella comunità scientifica e di carattere universale. Non esiste esposizione irrilevante.
Studi accreditati indicano che la latenza minima è di circa 15 anni e di 32 anni quella
media. Inoltre, l’esposizione lavorativa implica una latenza più breve. Assume,
quindi, decisivo rilievo l’esistenza o meno di una legge scientifica a proposito del
cosiddetto effetto acceleratore, in base alla quale sono rilevanti non solo le
esposizioni iniziali che conducono all’iniziazione del processo cancerogenetico, ma
rilevano pure quelle successive fino all’induzione della patologia, dotate di effetto
acceleratore, appunto e di abbreviazione, quindi, della latenza. Interessa inoltre
comprendere se, eventualmente, si tratti di legge universale o probabilistica.
Occorre rammentare che questa Corte ha avuto modo di fornire indicazioni
metodologiche proprio con riguardo a situazioni del genere di quella in esame (Sez.
4, n. 18933 del 27/02/2014, Rv. 262139)
Peraltro la gravata sentenza risolve apoditticamente la questione dell’applicabilità
dell’art. 2087 cod. civ. nel senso che “il datore di lavoro non è equiparabile
all’imprenditore” (pag. 164 della impugnata sentenza).
8.

In tale situazione, la pronunzia deve essere annullata con rinvio. La questione dovrà
essere esaminata nuovamente a fondo, anche con l’ulteriore ausilio di esperti
qualificati ed indipendenti.

9.

L’annullamento della sentenza di secondo grado e la conseguente reviviscenza della
pronuncia assolutoria di primo grado impone la declaratoria di assorbimento degli
ulteriori ricorsi.

P.Q.M.

4

,——-______>,
X

In accoglimento del ricorso del P.G. annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo
esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Venezia, così assorbiti i ricorsi di
Chianura Francesco, Porta Mario, Melorio Elvio, Di Dona Agostino, Cucciniello Guido e
del Ministero della Difesa quale responsabile civile

Così deciso nella camera di consiglio del 5 novembre 2015

IL PRE ENTE

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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