Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36142 del 26/05/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 36142 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LA FLEUR MONICA N. IL 15/12/1971
avverso la sentenza n. 11821/2012 GIP TRIBUNALE di PERUGIA, del
30/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 26/05/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
L’imputata ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe, che, a norma degli
artt. 444 e seguenti c.p.p., ha applicato nei suoi confronti, in ordine ai reati
ascrittile, unificati in continuazione, la pena concordata dalle parti, denunciando
erronea applicazione della legge penale per erronea qualificazione giuridica del
fatto.
All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 611 c.p.p., si è preso atto

come da dispositivo in atti.
Il ricorso è inammissibile perché assolutamente privo di specificità (in
difetto dell’indicazione di elementi in ipotesi acquisiti in atti e non considerati, o
mal considerati), e, comunque, manifestamente infondato, atteso che il giudice,
nell’applicare la pena concordata, si è adeguato all’accordo intervenuto tra le
parti,

– escludendo motivatamente, sulla base degli atti, che ricorressero i
presupposti di cui all’art. 129 c.p.p. per il proscioglimento dell’imputata.,Tale
pur sintetica motivazione, avuto riguardo alla rinunzia alla contestazione delle
prove dei fatti costituenti oggetto di imputazione implicita nella domanda di
patteggiamento, nonché alla speciale natura dell’accertamento devoluto al
giudice del merito in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti che
ne consegue, appare pienamente adeguata ai parametri indicati per tale genere
di decisioni dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le
altre, Sez. un., n. 5777 del 27 marzo 1992, Di Benedetto, rv. 191135; Sez. un.,
n. 10372 del 27 settembre 1995, Serafino, rv. 202270; sez. un., n. 20 del 27
ottobre 1999, Fraccari, rv. 214637);
– ritenendo motivatamente la correttezza della proposta qualificazione
giuridica dei fatti contestati. Deve, in proposito, rilevarsi che, per consolidato
orientamento di questa Corte di legittimità, di recente ribadito dalle Sezioni
Unite (sentenza n. 5838 del 28 novembre 2013, dep. 6 febbraio 2014, in
motivazione), in tema di patteggiamento, il ricorso per cassazione può
denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come
prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la
qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore
su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b) cod. proc. pen. Nondimeno, l’errore sul

nomen iuris deve essere

manifesto, secondo il predetto orientamento, che ne ammette la deducibilità ne(i,„—–

della regolarità degli avvisi di rito; all’esito questa Corte Suprema ha deciso

soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in
accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa
qualificazione presenti margini di opinabilità.
Nel caso di specie, la deducibilità dell’invocato errore deve essere esclusa,
non risultando prima facie erronea o strumentale la qualificazione giuridica dei
fatti, così come proposta dalle parti e positivamente delibata dal giudice a quo.

La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi

processuali, nonché – apparendo evidente che ella ha proposto il ricorso
determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000
n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa – della somma di
Euro millecinquecento in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione
pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro millecinquecento in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 26 maggio 2015

Il Compo ente estenpore

Il Presidente

dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese

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