Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36140 del 26/05/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 36140 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PUZONE GIOVANNI N. IL 24/08/1968
avverso la sentenza n. 10917/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
10/01/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 26/05/2015

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■•1

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
L’imputato GIOVANNI PUZONE, in atti generalizzato, ricorre, con l’ausilio dell’avv.
GIOVANNI BIANCO, contro la sentenza indicata in epigrafe (che ne ha confermato la
condanna per il reato di ricettazione ascrittogli, riducendo la pena ritenuta di giustizia dal
primo giudice per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche), lamentando
manifesta illogicità della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità ed all’entità
della operata riduzione per le attenuanti generiche (in particolare per la «mancata

All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 611 c.p.p., si è preso atto della regolarità
degli avvisi di rito; all’esito questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti.
Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di specificità in tutte
le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello
e già non accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n.
221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133),
del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la
Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e
non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la
contestata affermazione di responsabilità (in ordine alla quale non è, peraltro, ben chiaro se il
difensore dell’imputato abbia effettivamente inteso o meno proporre ricorso: il che già ne
inficia di genericità eventuali doglianze), valorizzando l’accertata disponibilità dell’assegno di
provenienza illecita indicato nell’imputazione, in assenza di indicazioni sulle modalità di
ricezione, di necessità avvenuta fuori dai canali ordinari di circolazione del titolo.

L’altra doglianza non può che destare forte meraviglia.
Il difensore dell’imputato lamenta la severità del trattamento sanzionatorio, citando
giurisprudenza inerente all’onere di motivazione quanto all’accoglimento od al rigetto della
richiesta di concessione di dette circostanze, della quale non si comprende la possibile
rilevanza nel caso di specie, avendo l’imputato pacificamente già fruito del beneficio; lamenta,
inoltre, la mancata concessione delle predette circostanze nella loro massima estensione, e
conseguentemente l’eccessività della pena, laddove la Corte di appello – partendo dai minimi
edittali (e si badi che nessuna doglianza risulta mossa in appello od in questa sede per
ottenere la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 648, comma 2, c.p.) – risulta per tabulas
aver ridotto la pena nella misura massima consentita di un terzo (da anni 2 di reclusione ed
euro 900 di multa ad anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 600 di multa): di tal che non
riesce francamente comprensibile di cosa il difensore intenda dolersi.

concessione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione»).

Non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione
eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della totale
inammissibilità del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che
l’inammissibilità del ricorso per cessazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.»

(Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22

novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilità del ricorso era dovuta

successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un.,
sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601
del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400).

La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo
evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per
negligenza (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della particolarmente
rilevante entità di detta negligenza – della somma di Euro millecinquecento in favore della
Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di millecinquecento euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 26 maggio 2015
Il Connp nente estensore

Il Presidente

alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata

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