Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36108 del 21/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 36108 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
1) BONANNO Ferdinando n. Regalbuto il 16 novembre 1940
2) COTTITTO Francesco Gioacchino n. Palma di Montechiaro 1’11 marzo 1967
3) GAMBINO Pino n. Canicattì il 7 settembre 1972
4) MARINO Giovanni n. Canicattì il 26 giugno 1967
5) PACI Salvatore Ferdinando n. Campobello di Licata il 27 settembre 1949
avverso la sentenza ordinanza emessa il 27 maggio 2013 dalla Corte di appello di
Palermo

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Gianluigi Pratola, che
ha chiesto l’annullamento senza rinvio per morte dell’imputato quanto al ricorso

Data Udienza: 21/05/2014

L

dell’imputato Bonanno, il rigetto dei ricorsi degli imputati Cottitto e Paci,
l’annullamento senza rinvio quanto ai ricorsi degli imputati Gambino e Marino;
sentiti i difensori Antonino Gaziano del foro di Agrigento per l’imputato Cottitto; l’avv.
Giovanni Aricò del foro di Roma, in sostituzione dell’avv. Giovanni Rizzuto, e l’avv.
Giuseppe Lillo Fiorello del foro di Palermo per l’imputato Gambino; l’avv. Roberto
Mangano del foro di Palermo per gli imputati Paci e Marino, l’avv. Giuseppe Gianzi del

rispettivi assistiti; l’avv. Gianzi ha depositato conclusioni scritte alle quali si è
riportato;
osserva:

Considerato in fatto
1.

Con sentenza in data 1° marzo 2011 il giudice dell’udienza preliminare

del Tribunale di Palermo, all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava:
– Cottitto Francesco Gioacchino colpevole del reato previsto dall’art.12 quinquies
I.n.356/92 aggravato ai sensi dell’art.7 d.l. n.152/91, limitatamente all’ipotesi
contestata al punto C1 (concorso con Buggea Giancarlo, concorrente condannato in
primo grado, nella fittizia intestazione a sua moglie, a quella del Buggea e al fratello di
quest’ultimo dell’Associazione agricola La Rotonda dei Pini, con atto in data 23
dicembre 2003, occultando la compartecipazione dell’associato mafioso Falsone)
nonché del reato previsto dall’art.648-ter cod.pen. contestato al capo D (per aver
impiegato nell’associazione agricola La Rotonda dei Pini e nella Biofrutta s.r.l. di
Falsone Giuseppe e Gambino Pino, il primo capo provincia e il secondo capo
mandamento di Campobello di Licata-Ravanusa, nonché di Buggea Giancarlo, uomo
d’onore della famiglia mafiosa di Canicattì, denaro e altre attività provenienti dal
delitto previsto dall’art.416-bis cod.pen.); il Cottitto era stato condannato, ritenuta la
continuazione e con la diminuente per il rito abbreviato, alla pena di anni tre, mesi
otto di reclusione ed euro 8.000,00 di multa, oltre le pene accessorie;
-Paci Salvatore colpevole del reato previsto dall’art.12

quinquies 1.356/92

aggravato ai sensi dell’art.7 d.l. n.152/91 contestato al capo E (per avere fittiziamente
intestato, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione
patrimoniale, le quote del capitale sociale LAES s.r.l. con atto del 29 novembre 1993 a
Marino Giovanni e Anzaldi Calogero, con atto del 29 maggio 1997 a Marino Giovanni e

foro di Roma per l’imputato Marino che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi dei

3
Paci Calogero, con atto del 5 novembre 2007 a Marino Giovanni e Paci Salvatore)
nonché del reato previsto dall’ art.648-ter cod.pen. contestato al capo F (per avere
impiegato nella LAES s.r.l. di Falsone Giuseppe e di Buggea Giancarlo denaro e altre
attività provenienti dal delitto previsto dall’art.416-bis cod.pen.); il Paci veniva
condannato, ritenuta la continuazione e con la diminuente per il rito, alla pena di anni
quattro di reclusione ed euro 8.000,00 di multa, oltre le pene accessorie, nonché al
risarcimento dei danni in favore della parte civile Comune di Campobello di Licata.

Con la medesima sentenza venivano assolti per non aver commesso il fatto:
Bonanno Ferdinando dal reato di cui all’art.416-bis cod.pen. (capo B); Gambino Pino
dai reati previsti dall’art.416-bis cod.pen. (capo A) e dall’art.12 quinquies 1.356/92
(capo C); Marino Giovanni e Paci Calogero dai reati previsti dall’art.12

quinquies

1.356/92 (capo E) e dall’art.648-ter cod.pen. (capo F); Buggea Giancarlo e Cottitto
Francesco Gioacchino dal reato di cui all’art.12

quinquies

1.356/92 (capo C)

limitatamente ai punti 2c e 3c.

2. Con sentenza in data 27 maggio 2013 la Corte di appello di Palermo pronunciandosi sull’appello del pubblico ministero e degli imputati Buggea, Cottitto e
Paci Salvatore- ha riformato la sentenza impugnata come segue:
ha dichiarato il Gambino colpevole del reato di cui all’art.416-bis cod.pen. contestato
al capo A, esclusa l’aggravante del secondo comma, e lo ha condannato alla pena di
anni otto di reclusione, oltre le pene accessorie e la misura di sicurezza della libertà
vigilata, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile;
ha dichiarato Bonanno Ferdinando colpevole del reato di cui all’art.416-bis cod.pen.
contestato al capo B e lo ha condannato, con le circostanze attenuanti generiche
equivalenti alle aggravanti, alla pena di anni quattro, mesi otto di reclusione, oltre le
pene accessorie, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile;
ha dichiarato Marino Giovanni colpevole del reato di cui all’art.12 quinquies 1.356/92 e
lo ha condannato alla pena di anni due, mesi otto di reclusione oltre al risarcimento
del danno in favore della parte civile;
ha assolto il Buggea e il Cottitto dal reato loro ascritto al capo C per insussistenza del
fatto ed ha ridotto per Cottitto la pena per il residuo reato al capo D ad anni tre di
reclusione ed euro 6.000,00 di multa;

I

4
ha assolto Paci Salvatore dal reato di cui all’art.648-ter cod.pen contestato al capo F
per insussistenza del fatto ed ha ridotto la pena per il residuo reato contestato al capo
E ad anni due, mesi otto di reclusione;
ha confermato le restanti statuizioni.

Ritenuto in diritto
Per comodità espositiva si ritiene di dover esaminare distintamente i

3.

ricorsi presentati nell’interesse degli imputati Bonanno, Cottitto, Gambino, Marino e
Paci Salvatore.

4.

BONANNO Ferdinando

Con il ricorso presentato dagli avv.ti Franco Coppi e Giovanni Di Benedetto
nell’interesse dell’imputato Bonanno si deduce:
1)

la violazione di legge e il vizio della motivazione in ordine all’affermazione

di responsabilità;
2)

e 3) la violazione di legge e il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta

sussistenza delle circostanze aggravanti previste dai commi

quarto e sesto

dell’art.416 bis cod.pen.
4) la violazione di legge e il difetto di motivazione in ordine al mancato giudizio
di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche;
5) la violazione di legge e il difetto di motivazione quanto alla condanna al
risarcimento dei danni in favore della parte civile Comune di Campobello di Licata.
La Corte rileva che in data 9 maggio 2014 è stato depositata in cancelleria una
dichiarazione del difensore di fiducia avv. Giovanni Di Benedetto con la quale si
rappresenta che il ricorrente è deceduto. Dall’allegato certificato di morte risulta che il
Bonanno è morto in Ragalna (Catania) il 27 marzo 2014. Si impone pertanto nei suoi
confronti l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato a lui
ascritto estinto per morte dell’imputato.

5.

COTTITTO Francesco Gioacchino

Con il ricorso presentato dall’avv. Antonino Gaziano nell’interesse dell’imputato
Cottitto -condannato in primo grado in ordine al reato di cui all’art.12

quinquies

1.356/92 ascrittogli al capo C1 e in ordine al reato di cui all’art.648-ter cod. pen.

L

S

ascrittogli al capo D e in appello assolto dal primo reato per insussistenza del fatto,
con rideterminazione della pena per il residuo reato in anni tre di reclusione ed euro
6.000,00 di multa- si deduce quanto segue.

5.1.

Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt.649 cod.proc.pen. e

405 co.1 bis cod.proc.pen., di cui la Corte costituzionale con sentenza n.121/2009 ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale, e la manifesta illogicità e contraddittorietà della

il vincolo del giudicato cautelare in assenza di nuovi sopravvenuti elementi, mentre la
Corte costituzionale abrogando il comma 1 bis dell’art.405 cod.proc.pen. (il pubblico
ministero non è più obbligato a chiedere l’archiviazione dopo che la Corte di
cassazione si sia pronunciata sull’insussistenza della gravità indiziaria) ha solo voluto
salvaguardare un’esigenza di razionalità per evitare una previsione impeditiva
dell’esercizio dell’azione penale; nel caso di specie nessun nuovo elemento con
valenza negativa era intervenuto, rimanevano a carico dell’imputato solo le
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Sardini Giuseppe, assolutamente prive di
riscontri individualizzanti.

5.2.

Con il secondo motivo si deduce la contraddittorietà o manifesta illogicità

della motivazione quanto alla sussistenza degli estremi del reato previsto dall’art.648ter cod.pen., affermata sulla base delle dichiarazioni del collaboratore Sardino
Giuseppe in ordine alla partecipazione occulta del Falsone e del Gambino alla società
Biofrutta e all’associazione agricola La Rotonda dei Pini, dichiarazioni ritenute tuttavia
insufficienti per affermare la responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui
all’art.12 quinquies contestato al capo C; le dichiarazioni del Sardino sarebbero prive
di riscontri esterni individualizzanti; infatti secondo il ricorrente le informative citate
come riscontri documentali riguardavano solo le vicende costitutive e quelle inerenti il

motivazione; la Corte territoriale avrebbe erroneamente sostenuto che non sussisteva

mutamento delle compagini sociali, ma non provavano l’effettiva presenza nelle due
società del Falsone e del Gambino, né la consapevolezza di ciò da parte del Gambino;
le conversazioni intercettate il 6 agosto 2004 e il 13 agosto 2004 non provavano
l’interesse del Falsone e del Gambino; le dichiarazioni di Letizia Francesco erano
ininfluenti; i colloqui intercettati in carcere tra Buggea e la moglie non riguardavano
Falsone e Gambino e nemmeno l’associazione agricola La Rotonda dei Pini e la
Biofrutta s.r.I., ma i rapporti Buggea-Cottitto; Buggea aveva dato una spiegazione
circa il suo risentimento verso Cottitto per non aver riscosso i canoni di affitto di un
magazzino da “quelli di Ravanusa”; non sussistevano gli estremi del reato di cui
all’art.648 ter cod.pen. in quanto Buggea e Cottitto, imprenditori agricoli, avevano

u

fatto solo investimenti leciti; non vi era un rapporto di presupposizione tra l’art.648ter cod.pen. e l’art.416-bis cod.pen.; nessun vaglio era stato effettuato circa il
requisito della “provenienza da delitto” dei beni impiegati nell’attività economica e
finanziaria; non rilevavano i contatti episodici del Cottitto con persone appartenenti a
Cosa Nostra.

5.3.

Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt.62-bis , 132 e 133

generiche (l’irrilevanza della mera ìncensuratezza vale solo per i fatti commessi dopo
l’entrata in vigore della legge n.125/2008) e all’adeguatezza della pena.

5.4.

Il ricorso va rigettato.

Il primo motivo è infondato.
La Corte costituzionale con sentenza n.121 del 2009 ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art.405, comma

1-bis,

cod.proc.pen., aggiunto

dall’art.3 della legge 20 febbraio 2006 n.46, secondo il quale il pubblico ministero, al
termine delle indagini, doveva formulare richiesta di archiviazione quando la Corte di
cassazione si era pronunciata per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e non
erano stati acquisiti, successivamente, altri elementi a carico dell’indagato. La norma
in questione, come rilevato dalla Corte costituzionale, attribuiva a talune ipotesi
“qualificate” di cosiddetto giudicato cautelare (sentenze della Corte di cassazione
sull’insussistenza della gravità indiziaria) una valenza condizionante che -lungi
dall’esaurirsi (secondo la corrente elaborazione giurisprudenziale del suddetto istituto)
nel mero impedimento alla riproposizione, rebus sic stantibus, di istanze al giudice
della cautela basate su motivi già dedotti- veniva ad incidere sulla stessa possibilità di
apertura del processo, inibendo l’atto di esercizio dell’azione penale.

cod.pen. con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti

La Corte territoriale peraltro non si è discostata dai principi enunciati dalla Corte
costituzionale nella sentenza citata allorché ha rilevato che, con l’eliminazione
dell’art.405 comma

1-bis cod.proc.pen, deve ritenersi esclusa qualsiasi efficacia

vincolante delle decisioni intervenute in sede cautelare ai sensi degli artt.309 e 310
cod.proc.pen., indipendentemente dal rito prescelto,

“poiché il giudice di merito

rimane del tutto libero di addivenire anche a conclusioni contrarie pur sulla base di
materiale probatorio che può essere totalmente o parzialmente coincidente con quello
già valutato in sede cautelare”.

Del resto, nella vigenza della norma dichiarata

costituzionalmente illegittima, non era mai stata messa in discussione la mancanza di
vincoli nemmeno per il giudice investito della richiesta di archiviazione, che ben

k

poteva -ove avesse ritenuto insussistenti le ipotesi previste dagli artt. 408 e 411 cod.
proc. pen. e dall’art. 125 disp. att. cod. proc. pen.- respingere la richiesta di
archiviazione, disponendo che il pubblico ministero svolgesse indagini supplementari o
che formulasse l’imputazione. Comunque, contrariamente a quanto dedotto nel
ricorso, nella motivazione della sentenza impugnata -dopo un’ampia ed esaustiva
analisi delle problematiche inerenti la valutazione delle chiamate in reità e correità e

particolari ipotesi del reato di associazione mafiosa e al concorso esterno in
associazione mafiosa- le dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia Sardino
con specifico riferimento alla posizione dell’appellante Cottitto risultano essere state
valutate dalla Corte territoriale facendo puntuale applicazione dei principi
giurisprudenziali espressi in proposito dalla giurisprudenza di legittimità e pervenendo
a conclusioni divergenti in ordine ai due reati contestati al predetto imputato. Secondo
la giurisprudenza di questa Corte, infatti, la chiamata in correità posta a fondamento
di una affermazione di responsabilità richiede che il giudice affronti e risolva,
anzitutto, il problema della credibilità del dichiarante in relazione, tra l’altro, alla sua
personalità, alle sue condizioni socio-economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con
il chiamato in correità nonché alla genesi e alle ragioni che lo hanno indotto alla
confessione e all’accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, il giudice deve
verificarne l’intrinseca consistenza e le caratteristiche, alla luce di criteri quali, tra gli
altri, quelli della spontaneità ed autonomia, precisione, completezza della narrazione
dei fatti, coerenza e costanza; infine, egli deve verificare i riscontri esterni, i quali
sono realmente rafforzativi della chiamata in quanto siano individualizzanti e, quindi,
inequivocabilmente idonei ad istituire un collegamento diretto con i fatti per cui si
procede e con il soggetto contro il quale si procede (Cass. sez.V 28 giugno 2006
n.31442, Salinitro; SezUn.30 maggio 2006 n.36267, P.G. in proc. Spennato). Nella
motivazione della sentenza impugnata quanto al delitto previsto dall’art.12 quinquies
1.356/92 si è ritenuto che il riscontro costituito dall’annotazione su un appunto
manoscritto sequestrato nel covo del latitante Falsone, relativo alla voce spese, del
nominativo di tale Letizia, individuato in un soggetto che aveva rapporti con la
Rotonda dei Pini, fosse non specifico, contraddittorio e in contrasto con le dichiarazioni
dello stesso Letizia. Quanto invece al delitto previsto dall’art.648-ter cod.pen., invece,
la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione logicamente coerente, che dagli atti
emergessero sufficienti riscontri individualizzanti in ordine alle dichiarazioni del
Sardino circa gli investimenti effettuati dai mafiosi Falsone Giuseppe e Gambino Pino

it-

l’individuazione dei riscontri esterni individualizzanti, anche con riferimento alle

(19
:

nell’associazione agricola La Rotonda dei Pini e nelle società Biofrutta e Frutticola su
sollecitazione di Buggea Giancarlo, uomo d’onore della famiglia di Canicattì
definitivamente condannato in ordine al delitto previsto dall’art.416-bis cod.pen., socio
nell’associazione agricola La Rotonda dei Pini del Cottitto che di fatto con il Buggea era

dominus, tramite le rispettive mogli e il fratello del Buggea, anche della Biofrutta s.r.l.
e della Frutticola Siciliana. La Corte, in particolare, ha evidenziato le dichiarazioni rese
dal Buggea in sede di interrogatorio, il 29 marzo 2009, circa il coinvolgimento del

conversazioni intercettate in carcere tra il Buggea e la moglie, invitata dal coniuge a
esercitare pressioni, anche attraverso l’intervento di terzi autorevoli (tale ingegner
Mauro, già coinvolto in indagini antimafia secondo quanto dichiarato dal collaboratore
Messina Leonardo, che lo aveva indicato come uomo d’onore della famiglia di San
Cataldo), nei confronti del Cottitto per indurlo a restituire parte del denaro frutto dei
precedenti investimenti. La provenienza, almeno in parte, del denaro investito dal
Buggea unitamente al Cottitto è stata desunta, con argomentazione ragionevole, dal
fatto che il Buggea, in costante contatto con il vertice della famiglia mafiosa
agrigentina (Falsone Giuseppe, latitante), risultava coinvolto nell’attività economica e
negli investimenti del gruppo mafioso. La Corte territoriale ha ritenuto infine che gli
accertati rapporti del Cottitto con altri soggetti gravitanti nello stesso contesto
ambientale e criminale (Aiello Alfio, fratello del mafioso catanese Vincenzo Aiello;
Criscimanna Paolo; Bonanno Ferdinando; Capizzi Paolo; Lauria Giovanni) rendevano
plausibile che l’imputato, nel procedere all’acquisto di quote di società unitamente al
Buggea e ai familiari di quest’ultimo, avesse consapevolezza dell’origine del denaro
investito dal Buggea.
Il secondo motivo propone una diversa lettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito
ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione
esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli
elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente
sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di
responsabilità. Né si ravvisa la dedotta manifesta illogicità della motivazione nella
parte in cui si è ritenuto di dover emettere pronuncia assolutoria in ordine al reato di
intestazione fittizia di beni aggravata ai sensi dell’art.7 d.I.152/91 e di confermare
l’affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto dall’art.648-ter cod.pen.
poiché, relativamente a quest’ultimo reato, non risulta che la Corte territoriale abbia

IL-

Cottitto nell’affare relativo alla Biofrutta s.r.l. e, inoltre, il contenuto delle

,

specificamente fatto riferimento a investimenti del Falsone e del Gambino tali da far
ipotizzare che costoro fossero soci occulti nelle società dedite ad attività agricole e
commercializzazione di prodotti ortofrutticoli, ma invece abbia considerato che gli
investimenti del Buggea nelle predette società fossero stati fatti con denaro almeno in
parte proveniente dalla consumazione del delitto di associazione mafiosa. Quanto
all’interpretazione delle conversazione intercettata in carcere tra il Buggea, detenuto,
e la moglie, la Corte rileva che in materia di intercettazioni telefoniche costituisce

l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui
apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della
manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite
(Cass. sez.VI 30 ottobre 2013 n.46301, P.G., Corso e altri; sez.II. 22 maggio 2013 n.
35181, Vecchio e altri; sez.VI 11 febbraio 2013 n.11794, Melfi; sez.VI 8 gennaio 2008
n.17619, Gionta). Relativamente infine alla provenienza del denaro investito dal
Buggea -almeno in parte dal delitto previsto dall’art.416-bis cod.pen., con la
consapevolezza da parte del Cottitto, non estraneo ad ambienti mafiosi stante le sue
accertate frequentazioni con persone legate alla criminalità organizzata- la Corte rileva
che nella motivazione della sentenza impugnata è stata data adeguata giustificazione
circa tale assunto con riferimento alla vicinanza del Buggea ai vertici del gruppo
mafioso agrigentino nella gestione di operazioni economico-finanziarie volte al
reinvestimento di profitti illeciti.
Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Nella rideterminazione della pena il giudice di appello ha fatto riferimento alla
gravità del reato, alla negativa personalità del Cottitto risultato in contatto con diversi
esponenti mafiosi e ai precedenti penali dell’imputato. Allorché la pena, come nel caso

questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito,

in esame, non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, l’obbligo motivazionale
previsto dall’art.125 co.3 c.p.p. deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che
manifestino sinteticamente il giudizio di congruità della pena o richiamino
sommariamente i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art.133 c.p. (Cass. sez.VI
12 giugno 2008 n.35346, Bonarrigo; sez.III 29 maggio 2007 n.33773, Ruggieri). Nel
caso di specie la motivazione, abbastanza articolata, impedisce di ritenere
ingiustificato anche il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche
la cui richiesta è stata valutata negativamente nell’ambito della complessiva
rideterminazione del trattamento sanzionatorio, ben potendo gli stessi elementi essere

(A,

presi in considerazione per diverse finalità e non risultando peraltro sul punto censure
specifiche da parte del ricorrente.

6. GAMBINO Pino
Con il ricorso presentato dall’avv. Lillo Fiorello nell’interesse di Gambino Pino,
condannato in appello in ordine al reato di associazione mafiosa contestato al capo A

6.1. Con il primo motivo si deduce l’inammissibilità dell’appello del pubblico
ministero per genericità in quanto nell’appello si faceva riferimento per relationem
all’ordinanza di custodia cautelare, peraltro annullata in sede di riesame.

6.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt.416-bis cod.pen. e
192 co.3 e 4 cod.proc.pen. in quanto l’unica fonte di accusa sarebbe il collaboratore di
giustizia Sardino Giuseppe, non essendovi dichiarazioni accusatorie da parte degli altri
collaboratori di giustizia che avevano militato nell’articolazione agrigentina di Cosa
nostra; mancherebbero, per quanto riguarda le dichiarazioni del Sardino, i riscontri
esterni, necessari ai sensi dell’art.192 co.3 e 4 cod.proc.pen.; in particolare il
Gambino, a dire del Sardino, faceva recapitare i pizzini del latitante Falsone ai suoi
familiari tramite un fruttivendolo di Campobello di Licata che il collaboratore di
giustizia non aveva tuttavia indicato con il nome, né descritto fisicamente; inoltre non
aveva trovato conferma l’intermediazione di Crescimanna Paolo riferita dal Sardino, il
quale non aveva fornito elementi di concretezza quanto agli incontri che avrebbe
avuto con il Gambino per discutere dei rispettivi mandamenti; la Corte territoriale
aveva ritenuto il Sardino intrinsecamente attendibile solo sulla base del
riconoscimento fotografico del Gambino da parte del collaboratore di giustizia, della
circostanza che costui fosse a conoscenza dell’omicidio del padre del ricorrente,
dell’attività di “articolista” da quest’ultimo svolta presso il comune di Ravanusa e
dell’essere stato testimone alle nozze di Crescimanna Paolo; quanto agli indicati
riscontri estrinseci, secondo il ricorrente, non sarebbero tali né le intercettazioni
avvenute in carcere tra Boncori Luigi, il figlio e la madre (il “Peppe” di cui si parla nelle
conversazioni intercettate non sarebbe il Gambino, che veniva chiamato “Pino” e non
aveva legami di sangue con il Boncori), né le frequentazioni del Gambino con il
Falsone (un solo incontro nell’anno 1992 con il Falsone, latitante solo dal 1999), né le
incerte dichiarazioni del collaboratore di giustizia Falsone Alfonso, né l’utilizzo di
alcune autovetture (la Golf di colore grigio non era stata rilevata tramite il GPS nei

A—

da cui era stato assolto in primo grado, si deduce quanto segue.

44

luoghi frequentati dal latitante), né infine il presunto coinvolgimento nell’apertura di
un supermercato Eurospin in Palma di Montechiaro cui erano interessati il
Crescimanna e il coimputato Bonanno.

6.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art.533 cod.proc.pen. per la
mancanza di una motivazione “rafforzata”, avendo la Corte di appello nel riformare la

6.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione di legge e il vizio della
motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, al trattamento sanzionatorio, alla ritenuta sussistenza delle circostanze
aggravanti previste dai commi 4 e 6 dell’art.416-bis cod.pen..

6.5. Il ricorso va rigettato.
Il primo motivo è generico in quanto nel ricorso si ripropongono le doglianze
prospettate nell’atto di appello, alle quali la Corte territoriale ha dato adeguate e
argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non
considera né specificatamente censura. Il giudice di appello per affermare
l’infondatezza della tesi difensiva della genericità del ricorso del pubblico ministero ha,
infatti, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente,
evidenziato che il richiamo nel ricorso del pubblico ministero a parti dell’ordinanza di
custodia cautelare, annullata in sede di riesame per mancanza di gravità indiziaria, si
pone solo come elemento di valutazione aggiuntivo e non sostitutivo del gravame in
cui risultavano invece esposti specifici e analitici riferimenti alla motivazione del
provvedimento impugnato e alle ragioni della ritenuta infondatezza degli argomenti in
fatto e in diritto utilizzati dal giudice di primo grado per pervenire all’assoluzione del
Gambino. Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in
considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e
confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata.
Il secondo motivo è infondato.
Nella motivazione della sentenza impugnata sono individuati con precisione gli
elementi che hanno indotto la Corte territoriale ad affermare la credibilità intrinseca
del Sardino, collaboratore di giustizia già autonomamente dichiarato attendibile in altri
procedimenti giudiziari, con riferimento in particolare ai riferiti dati di identificazione
indicati dal collaboratore in relazione ad una serie di circostanze di fatto, risultate

pronuncia assolutoria di primo grado proposto solo una lettura alternativa dei fatti.

42
effettivamente riferibili al Gambino e tali da rendere accertata l’esistenza di rapporti
personali e di frequentazione tra l’imputato e il Sardino. Quanto ai riscontri estrinseci,
il giudice di appello ha indicato precisi elementi in base ai quali si è ritenuto che nelle
conversazioni intercettate coinvolgenti i fratelli Mario e Luigi Boncori la persona
indicata come “Peppe” fosse proprio il Gambino (…ma chi Peppe, quel bastardo di

Gambino…”: intercettazione tra Boncori Mario e la madre del 25 luglio 2006; in altre

che erano stati sedati dall’intervento sui Boncori di Gambino Pino detto Peppe,
intervento che denotava quanto meno gli stretti rapporti del Gambino con l’attività
delle famiglie mafiose agrigentine). Quanto alla frequentazione dell’imputato con
Falsone Giuseppe, risalenti nel tempo (i due erano stati controllati insieme dalla Polizia
nell’anno 1992), la Corte territoriale ha osservato che il Falsone (condannato per
partecipazione ad associazione mafiosa consumata fino al 1997, autore di un omicidio
nell’anno 1994) a quell’epoca era già inserito in dinamiche criminali, ancorché
incensurato, e che la prova di successive frequentazioni in tempi più recenti era
ostacolata proprio dal fatto che il Falsone dall’anno 1999 era latitante. Le dichiarazioni
del collaboratore di giustizia Falsone Alfonso circa

“Pino di Ravanusa”

che

accompagnava Falsone Giuseppe in occasione dell’omicidio Ingaglio a bordo di
un’autovettura dello stesso tipo e colore di quella all’epoca posseduta dall’imputato,
riconosciuto a distanza di oltre quindici anni in termini di somiglianza dal
collaboratore, sono state correttamente ritenute, valutate unitamente agli altri
elementi di riscontro menzionati, significative. Ulteriore e non secondario elemento di
riscontro individualizzante in relazione alle dichiarazioni del Sardino riguardanti il
coinvolgimento delle famiglie mafiose agrigentine nell’apertura dei supermercati
Eurospin e all’indicazione da parte del Gambino per l’affitto dell’azienda nel territorio
di Palma di Montechiaro del nominativo di Crescimanna Paolo risultava dai colloqui
telefonici intercettati tra Bonanno Ferdinando (ricorrente deceduto nelle more del
giudizio di legittimità) e il Crescimanna che del Gambino era stato compare di nozze.
Nel ricorso si propone una lettura minimizzante o elusiva del valore di riscontro, ai
sensi dell’art.192, comma 3, cod.proc.pen., di tali elementi che, come puntualmente
affermato nella motivazione della sentenza impugnata in adesione alla giurisprudenza
di legittimità sul punto, per superare il deficit probatorio intrinseco alla chiamata in
correità possono consistere in elementi di qualsivoglia natura, cioè non predeterminati
per specie o qualità, e quindi anche solo di carattere logico che, pur non avendo
autonoma forza probante, siano in grado di corroborare la chiamata, in radice

,,v

conversazioni intercettate si fa riferimento ai contrasti insorti tra i Boncori e i Gattuso

43

passibile di sospetto, conferendole la credibilità piena di qualsiasi elemento di prova.
Essi debbono, comunque, consistere in elementi, fattuali e/o logici, che, pur dovendosi
collegare ai fatti riferiti dal chiamante, debbono tuttavia essere esterni ad essi, allo
scopo di evitare che la verifica sia circolare, tautologica ed autoreferente e cioè che, in
definitiva, la ricerca finisca per usare come sostegno dell’ipotesi probatoria che si trae
dalla chiamata la chiamata stessa, ossia il medesimo dato da riscontrare; i riscontri

essere individualizzanti, nel senso che devono avere ad oggetto direttamente la
persona dell’incolpato e devono possedere idoneità dimostrativa in relazione allo
specifico fatto a questi attribuito (Cass. sez.VI 26 settembre 2013 n.1249, Ceroni;
sez.III 10 dicembre 2009 n.3255, Genna; sez.I 20 ottobre 2006 n.1263, Alabiso). Va
inoltre rilevato che in tema di associazione di tipo mafioso, la mera frequentazione di
soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di parentela, amicizia o rapporti
d’affari ovvero la presenza di occasionali o sporadici contatti in occasione di eventi
pubblici e in contesti territoriali ristretti, pur non costituendo elementi di per sé
sintomatici dell’appartenenza all’associazione, possono essere utilizzati come riscontri
da valutare ai sensi dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. quando risultino
qualificati da abituale o significativa reiterazione e connotati dal necessario carattere
individualizzante (Cass. sez.VI 25 gennaio 2012 n.9185, Biondo e altri; sez.VI 5
maggio 2009 n.24469, Bono e altro). Peraltro in tema di reati associativi, il thema
decidendum riguarda la condotta di partecipazione o direzione, con stabile e volontaria
compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio, per cui le
dichiarazioni dei collaboratori o l’elemento di riscontro individualizzante non devono
necessariamente riguardare singole attività attribuite all’accusato, giacché il “fatto” da
dimostrare non è il singolo comportamento dell’associato bensì la sua appartenenza al
sodalizio (Cass. sez.II 3 maggio 2012 n.23687, D’Ambrogio; sez.I 11 dicembre 1998
n.6239, Meddis).
Il terzo motivo è manifestamente infondato poiché l’esigenza di una
motivazione rafforzata, trattandosi di riforma (parziale, essendo nel caso del Gambino
confermata la pronuncia assolutoria in ordine al reato dall’art.12 quinquies 1.356/92
ascritto al capo C) da parte del giudice di appello della decisione assolutoria emessa
dal primo giudice (Cass. sez.V 5 maggio 2008 n.35762, P.G. in proc.Aleksi e altri),
risulta essere stata rispettata dalla Corte territoriale che ha dato ragione delle diverse
conclusioni quanto alla responsabilità del Gambino in ordine al reato associativo
attraverso un’approfondita e rigorosa analisi critica degli argomenti contenuti nella

tk

esterni alla chiamata di correità richiesti dall’art. 192 cod.proc.pen., inoltre, devono

motivazione della sentenza di primo grado. In particolare la Corte territoriale non si è
limitata alla generica manifestazione di una differente valutazione, ma ha fatto
specifico riferimento a dati fattuali che conducevano univocamente al convincimento
della piena attendibilità delle dichiarazioni del collaboratore Sardino in ordine alla
partecipazione del Gambino all’associazione mafiosa.
Il quarto motivo è inammissibile nella parte relativa al trattamento sanzionatorio

nell’interesse del coimputato Cottitto. Le censure sono peraltro infondate per quanto
riguarda la ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti previste dai commi 4 e 6
dell’art.416-bis cod.pen.. La Corte territoriale si è uniformata alla pressoché unanime
giurisprudenza di legittimità secondo la quale appartiene da anni al patrimonio
conoscitivo comune che l’aggravante della disponibilità delle armi di cui all’art. 416-

bis, comma quarto, cod. pen., sussiste quando il delitto associativo sia contestato agli
appartenenti di una “famiglia” mafiosa aderente all’organizzazione denominata “cosa
nostra”, anche nel caso in cui la disponibilità delle armi sia provata a carico di un solo
appartenente (Cass. sez.VI 14 dicembre 1999 n.5400, D’Ambrogio A. e altri; sez.Vi 8
marzo 2012 n.11194, Lupo; sez.II 27 settembre 2012 n.2833, P.C., Adamo e altri), e,
quanto all’aggravante prevista dal sesto comma dello stesso art.416-bis cod.pen., che

“cosa nostra” opera nel campo economico utilizzando ed investendo i profitti di delitti
che tipicamente pone in essere in esecuzione del suo programma criminoso e che
un’ignoranza al riguardo in capo ad un soggetto che sia a tale organizzazione affiliato
è inconcepibile (Cass. sez.II 28 gennaio 2000 n.5343, Oliveri; sez.VI 15 ottobre 2009
n.42385, Ganci). Quanto all’aggravante prevista dal comma quarto dell’art.416-bis
cod.pen. nella motivazione della sentenza impugnata si fa specifico riferimento per il
Gambino alla sua frequentazione con Falsone Giuseppe, abituale utilizzatore di armi e
coinvolto in gravi e ripetuti fatti di sangue oltre che condannato per omicidio. La
circostanza aggravante prevista dal comma sesto dell’art. 416-bis cod. pen. integrata
dal reinvestimento dei proventi illeciti dell’organizzazione criminale in attività
economiche qualificate delle quali il sodalizio intende assumere o mantenere il
controllo, è stata peraltro ritenuta sussistente nel caso concreto sulla base delle
accertate molteplici iniziative economiche dell’articolazione agrigentina di cosa nostra
relative ad iniziative dirette ad assumere il controllo delle imprese operanti nel settore
agricolo (vicenda relativa alle imprese gestite dal Buggea e dal Cottitto) e della grande
distribuzione (vicenda dei supermercati Eurospin).

per le stesse ragioni indicate nell’esame del terzo motivo del ricorso presentato

7. MARINO Giovanni e PACI Salvatore sono entrambi stati condannati in ordine
al reato contestato al capo E (art.12 quinquies 1.356/92): il Marino, assolto in primo
grado per non aver commesso il fatto, è stato dichiarato colpevole all’esito del giudizio
di appello, mentre la condanna all’esito del giudizio di primo grado di Paci Salvatore è
stata confermata in appello.
Con i motivi presentati nel loro interesse dall’avv. Roberto Mangano si deduce

7.1. Con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione in relazione
all’art.12 quinquies 1.356/92 per l’inesatta identificazione nella società LAES della
società partecipata dal latitante Falsone; per l’incerta individuazione della causa della
consegna di 20.000,00 euro al Falsone; le dichiarazioni sul punto del collaboratore di
giustizia Sardino erano generiche (non conosceva né i Paci, né Marino, né la società
LAES); il rinvenimento della documentazione contabile ufficiosa di detta società in uno
dei covi del latitante Falsone non sarebbe elemento significativo perché vi era un’altra
società che gestiva una discarica nella zona di Campobello di Licata, anche su terreni
del fratello del Falsone, il cui gestore Amato Angelo aveva una malattia della quale,
secondo il Sardino, soffriva uno dei soci del Falsone. La Corte di appello non aveva
adeguatamente valutato tale circostanza, non vi era in definitiva una prova certa della
partecipazione occulta del Falsone alla LAES; quanto al versamento di 20.000,00 euro
al Falsone non era risultato provato che detta somma, costituente secondo la Corte di
appello un fondo nero per la distribuzione di utili al socio occulto, provenisse proprio
dalla LAES.

7.2.

Con il secondo motivo, riguardante esclusivamente la posizione

dell’imputato Marino, si sostiene l’illogicità della motivazione per avere il giudice di
appello ritenuto che la semplice redazione della documentazione contabile ufficiosa
dimostrasse la consapevolezza da parte del ricorrente della partecipazione occulta del
Falsone e dell’agire nell’interesse del latitante garantendogli il versamento di utili.

7.3. Con il terzo motivo nell’interesse di entrambi i ricorrenti si deduce la
violazione di legge e il vizio della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza
dell’aggravante di cui all’art.7 d.l. n.152/91 in mancanza di elementi concreti sulla
consapevole e oggettiva finalità dell’azione al rafforzamento del sodalizio mafioso;
insufficiente sarebbe il semplice contatto del Paci con associati mafiosi agrigentini;
sarebbe necessario il dolo specifico di agevolare l’associazione mafiosa; secondo

quanto segue.

-1 e

Falsone, a dire del Sardino, il denaro non sarebbe finito nelle casse del sodalizio
mafioso; per Falsone Giuseppe, imputato del medesimo reato, beneficiario e
capomafia latitante, era stata esclusa l’aggravante dalla Corte di appello di Palermo
con sentenza 26 aprile 2013.
7.4. E’ stata presentata un’integrazione del ricorso con la quale si deduce il
vizio della motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti

7.5. Il ricorso va rigettato.
Il primo motivo introduce censure di merito, inammissibili in questa sede
essendo state le conclusioni circa la responsabilità dei ricorrenti adeguatamente
giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che
ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da
contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa
sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la
valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia
sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
La Corte rileva peraltro che anche il giudice di primo grado aveva ritenuto
provata la partecipazione occulta dell’associato mafioso Falsone Giuseppe alla LAES
s.r.I., che gestiva la discarica di Campobello di Licata, pur assolvendo il Marino
(amministratore unico) e Paci Calogero (figlio di Paci Salvatore e titolare dell’80°/0
delle quote sociali) in assenza di prova sulla consapevolezza dei due imputati circa il
coinvolgimento del Falsone nella gestione della società. Nella motivazione della
sentenza impugnata peraltro si precisa, difronte all’analoga censura difensiva non a
caso formulata con l’atto di appello, che la riferibilità della documentazione contabile

generiche.

ritrovata nel covo del latitante Falsone alla società LAES era certa, stante l’esatta
corrispondenza degli importi annotati a quelli delle fatture della predetta società e la
riconducibilità al Marino della grafia con la quale era stata redatta la contabilità
parallela, consentiva di escludere letture alternative a quella, ritenuta fondata, che il
Marino nella sua qualità di amministratore avesse trasmesso i conti ufficiosi della
società LAES al Falsone per renderlo edotto dell’andamento della stessa. Del resto, ha
rilevato la Corte territoriale, il Marino risultava aver sistematicamente monetizzato
ingenti somme di denaro nella disponibilità della società, emettendo a suo favore
assegni per l’importo di 325.000,00 euro e, con argomentazione del tutto logica e in

(A,

mancanza di valide giustificazioni, era del tutto logico ritenere che tali operazioni
fossero finalizzate alla creazione di fondi neri, “attività del tutto consona e conducente

rispetto alla partecipazione occulta di un associato mafioso poiché proprio la creazione
di una siffatta provvista permette la distribuzione di utili non contabilizzati al socio
occulto”. La Corte ha inoltre rilevato che in tale contesto le dichiarazioni del Sardino
circa le confidenze ricevute dal Falsone (il quale, dopo aver ricevuto dal Sardino la

trattava degli utili per la gestione della discarica di Campobello dell’anno precedente
dimostrandosi deluso perché si aspettava una somma più elevata) nel caso del Marino
costituivano un elemento integrativo di un compendio probatorio di per sé connotato
da elementi concordanti, concreti e significativi. Quanto all’esistenza di un’altra
discarica in Campobello, la Corte territoriale non ha mancato di osservare che il
rinvenimento di appunti autografi dell’amministratore della società LAES nel covo del
Falsone, oltre che di altri documenti contenenti la trascrizione delle fatture e delle
spese sostenute dalla suddetta società, dimostrava l’interesse e il coinvolgimento del
capomafia agrigentino nella predetta società e non in altra e l’inequivoco riferimento
del Falsone alla società LAES nel colloquio con il Sardino.
Il secondo motivo è infondato.
Non si ravvisa alcuna incongruenza logica nel ritenere, come ha fatto la Corte
territoriale nella motivazione della sentenza impugnata, che la semplice redazione
della documentazione contabile ufficiosa equivalesse per il Marino a prova certa della
trasmissione della medesima documentazione al latitante Falsone da parte
dell’imputato. Anzi la Corte territoriale ha rilevato, con argomentazioni logicamente
coerenti, che la tesi della trasmissione ad opera di altri della contabilità ufficiosa della
società LAES “non risulta neppure da specifiche ed adeguate dichiarazioni del Marino”
e quella, alternativa, della società LAES oggetto di estorsione da parte del gruppo
mafioso era inverosimile e priva di qualunque fondamento. La circostanza che il
Marino accumulasse ingenti somme costituite come

“fondi neri” è stata invece

correttamente interpretata, alla luce anche delle ulteriori emergenze investigative,
come un’ulteriore conferma dell’esistenza di una partecipazione occulta alla società.
Il terzo motivo è infondato.
Quanto alla sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione
all’associazione mafiosa, il giudice di appello ha puntualmente osservato che

c

,

somma di 20.000,00 euro in contanti per conto del Buggea, aveva affermato che si

4g

l’intestazione fittizia riguardava il vertice dell’associazione mafiosa nel territorio
agrigentino , nel periodo in cui il Falsone era latitante e già definitivamente
condannato all’ergastolo. Questa

Corte ha affermato che integra la circostanza

aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in I. n. 203 del 1991, la condotta
di agevolazione che abbia per beneficiario il vertice di una associazione mafiosa, nella
persona del capomafia, quando si riferisca al

“core business”

della stessa

associazione, in quanto costituente la finalità fondamentale della struttura verticistica,

con la conseguenza che, in tal caso, gli interessi del capo e quelli dell’associazione si
identificano. Nel caso concreto il dolo specifico di favorire l’associazione è stato
desunto dall’effettiva ed immediata coincidenza degli interessi del capomafia con quelli
dell’organizzazione verificata attraverso un’approfondita disamina del contesto in cui la
fittizia intestazione era realizzata

(“Se il capo della provincia mafiosa è messo in

condizioni di partecipare agli utili di società formalmente intestate ad altri, che
gestiscono rilevanti servizi pubblici come lo smaltimento dei rifiuti, le attività di
direzione dell’organizzazione che quello stesso capomafia esercita ricevono per ciò
solo rafforzamento”), tenuto conto peraltro dei contatti del Paci con altri componenti
della famiglia di sangue del Falsone ed altri associati mafiosi di Ravanusa nonché dei
rapporti della LAES s.r.l. con altre società (Anaconda Costruzioni s.r.l. dell’associato
mafioso Buggea Giancarlo; Modulor s.c.ar.l. riferibile agli associati mafiosi Accascio ) e
con altri mafiosi agrigentini (Di Gioia Calogero, Falsone Calogero, Middioni Angelo) che
hanno motivatamente indotto il giudice di appello a negare la connessione della
condotta degli imputati esclusivamente ad un rapporto personale con Falsone
Giuseppe.
Il motivo contenuto nell’atto integrativo del ricorso è manifestamente
infondato.
Vanno richiamate le considerazione già espresse nel valutare il terzo motivo,
analogo, nell’interesse dell’imputato Cottitto. Il riferimento alla gravità dei fatti
commessi in favore di soggetto latitante da diversi anni e responsabile di gravissimi
reati e all’intensità del dolo per il Marino e per il Paci anche alla frequentazione con
diversi esponenti della consorteria mafiosa giustifica adeguatamente una valutazione
complessivamente negativa incompatibile con il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche che avrebbe, considerata la determinazione della pena in misura
contenuta nonostante l’aumento per la ritenuta aggravante dell’agevolazione mafiosa,
comportato un’immotivata riduzione del trattamento sanzionatorio.
t

A,

15

8. Al rigetto dei ricorsi presentati nell’interesse degli imputati Cottitto, Gambino,
Marino e Paci consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei predetti ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Bonanno Ferdinando

Gioacchino, Gambino Pino, Marino Giovanni e Paci Salvatore che condanna al
pagamento delle spese processuali.

perché estinto il reato per morte dell’imputato. Rigetta i ricorsi di Cottitto Francesco

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