Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 361 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 361 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINELLI VINCENZO N. IL 25/09/1976
avverso l’ordinanza n. 256/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
18/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;
lette/50bite le conclusioni del PG Dott.n

Uditi difensor Avv.;

4,0kftAki

Data Udienza: 14/11/2013

23615/2012

1.Con ordinanza in data 18 ottobre 2011 la Corte di appello di Napoli
respingeva la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da
Minelli Vincenzo in relazione alla custodia cautelare dal medesimo subita,
nella forma della detenzione in carcere dal 19 giugno 2006 al 12.6.2008,
perché indiziato di concorso in tentata estorsione aggravata ex art. 7 legge
n.203 del 1991, accusa da cui veniva prosciolto in grado di appello con
sentenza del 12.6.2008 cui conseguiva la scarcerazione.
La Corte della riparazione riteneva che il Minelli avesse dato causa alla
detenzione per colpa grave in quanto, presente il 15 giugno 2006 quando era
avvenuto il blocco della vittima da parte di due ignoti motociclisti che
avevano avanzato richieste estorsive, viceversa, nell’interrogatorio svoltosi
all’udienza di convalida, aveva negato la sua presenza sul cantiere
affermando di essere stato a casa a vedere le partite del mondiale;
successivamente si era sempre rifiutato di rendere dichiarazioni; il mendacio
così accertato veniva valutato dalla Corte quale colpa grave atteso che egli
ben avrebbe potuto fornire chiarimenti sulla sua presenza sul posto del reato,
che invece negava.
2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione l’interessato, per il tramite
del difensore di fiducia; deduce violazione di legge, mancanza e illogicità
della motivazione per aver escluso la riparazione per colpa grave dell’istante
nonostante la assoluzione intervenuta con formula piena; sostiene che non si
è stabilito con esattezza il nesso tra la condotta dell’istante, ritenuta
integrare colpa grave, e il protrarsi della detenzione; la Corte di appello ha
ragionato solo in astratto, senza motivare su quale sarebbe stato in concreto
l’evoluzione della vicenda cautelare qualora il ricorrente avesse ammesso la
sua presenza sul luogo e ne avesse spiegato le ragioni; la sentenza
assolutoria fornisce una diversa e più logica interpretazione degli stessi fatti
che erano a base della ordinanza di custodia cautelare, cioè la presenza sul
posto del ricorrente, senza che il ricorrente abbia determinato con la sua
condotta processuale tale interpretazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
Ai fini dell’accertamento del requisito soggettivo ostativo al riconoscimento
dell’indennizzo in questione, il giudice del merito, investito dell’istanza per
l’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per
l’ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., ha il dovere di
verificare se la condotta tenuta dall’istante nel procedimento penale,
nel corso del quale si verifico’ la privazione della liberta’ personale,
quale risulta dagli atti, sia connotabile di dolo o di colpa grave. Il
giudice stesso deve, a tal fine, valutare se certi comportamenti riferibili alla

RITENUTO IN FATTO

2. Nella specie, la motivazione resa dalla Corte di appello circa la sussistenza
nel comportamento del Minnelli di colpa grave, ostativa alla riparazione è
corretta. La presenza sul posto del medesimo, accertata anche dalla
sentenza di assoluzione, il mendacio dal medesimo prestato in ordine a tale
circostanza con la negazione della sua presenza, il silenzio sempre prestato
circa le ragioni della stessa sono circostanze che correttamente sono state
ritenute, al di là della intervenuta assoluzione dal reato non essendo
risultato un suo momento partecipativo a titolo di concorso nella tentata
estorsione, indicative di colpa grave. Infatti all’originario mendacio si è
aggiunto nel corso del procedimento il silenzio, comportamento che, come
la pacifica giurisprudenza di questa Corte ha chiarito, ben può essere preso
in esame, non già di per sé, ma in quanto mancato chiarimenti di
circostanze utili a meglio comprendere la posizione dell’indagato; e così è
stato ritenuto avendo la Corte di Napoli correttamente osservato che il
Minnelli, che certamente era in grado di rappresentare utili elementi di fatto
o di valutazione idonei a spiegare in termini logici la sua presenza in loco,
con il suo silenzio non ha collaborato alla chiarificazione della situazione, che
oggettivamente deponeva contro di lui, così contribuendo a rendere
necessario il protrarsi della detenzione; non rileva la circostanza che alla fine
l’assoluzione sia intervenuta senza che mutasse l’atteggiamento dello stesso
Minelli, dal momento che ciò che si deve valutare è comunque il suo
comportamento e il silenzio del medesimo prestato ha impedito che si
potesse arrivare più rapidamente ad una valutazione corretta della sua

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condotta cosciente e volontaria del soggetto, possano aver svolto un
ruolo almeno sinergico nel trarre in errore l’autorità giudiziaria; cio’ che il
legislatore ha voluto, invero, e’ che non sia riconosciuto il diritto alla
riparazione a chi, pur ritenuto non colpevole nel processo penale, sia stato
arrestato e mantenuto in detenzione per aver tenuto una condotta tale da
legittimare il provvedimento dell’autorita’ inquirente (sez. IV 7.4.99 n.440,
Min. Tesoro in proc. Petrone Ced 197652). Le sezioni unite di questa Corte
(sentenza 13.12.1995 n.43, Sarnataro rv.203638) hanno poi ulteriormente
precisato che “Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione e’
necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del
processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della
sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della
riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso
materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perche’ e’ suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o
meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche
nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” ed in
relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertal di
valutare il materiale acquisito nel processo, non gia’ per rivalutarlo, bensi’ al
fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura
civilistica), sia in senso positivo che del tutto evidente, rispondendo ad un
principio generale, che ), sia in senso positivo che negativo, compresa
l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla
riparazione “.

presenza sul posto. E’ evidente il rilevo causale del comportamento omesso,
che proprio per la sua natura omissiva può solo costituire oggetto di un
ragionamento ipotetico costruito secondo lo schema della verifica contro
fattuale fondata su massime di comune esperienza. 3.In conclusione il ricorso
deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo
giudizio, che liquida in euro 750,00 .
Così deciso il 14.11.2013.

3.In conclusione, il ricorso non merita accoglimento e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione in
favore del Ministero del tesoro delle spese processuali, liquidate come al
dispositivo.

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