Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36048 del 09/07/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36048 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PISU RITA N. IL 01/05/1973
avverso la sentenza n. 1211/2012 CORTE APPELLO di CAGLIARI,
del 03/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del D
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che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 09/07/2015

kj°A11-D

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52329/2015

1. Con sentenza del 3.7.2014 la Corte di Appello di Cagliari confermava
la pronuncia di primo grado con la quale Pisu Rita era stata condannata
per i delitti di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7 (acc. in Oristano il
15.7.2008) e riduceva la pena inflitta, a seguito della concessione delle
attenuanti generiche. All’imputata era stato addebitato che, dopo
l’incidente avvenuto con il ciclomotore condotto da Munoz Stefanie, con
a bordo la sorella Antonella, a seguito del quale la prima sbatteva
contro il vetro posteriore dell’auto della donna e poi cadeva a terra, non
si era fermata per fornire le sue generalità e prestare soccorso.
Osservava la Corte che era pacifico che vi fosse stato il tamponamento
dell’auto della Pisu da parte del ciclomotore a seguito del quale la
guidatrice del ciclomotore cadeva a terra riportando lesioni; altrettanto
certo era che la Pisu si fosse accorta dell’incidente, come peraltro da lei
ammesso, mentre non era verosimile che l’imputata non si fosse
accorta che la ragazza (Stefanie) si era fatta male, dal momento che si
trattava di un motorino, mezzo che consente una piena visibilità, e vi
era stata una immediata reazione da parte dell’altra ragazza
(Antonella) trasportata sul ciclomotore.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata,
lamentando la erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione
in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati
contestati. L’art. 189, co.6, impone l’obbligo di fermarsi e l’imputata si è
fermata per ben 3 volte. L’art. 189 co.7 richiede l’effettività del bisogno
che viene meno sia quando vi è mancanza di consapevolezza del danno
sia quando altri hanno già provveduto; nella specie l’imputata, secondo
quanto dichiarato anche da Munoz Antonella, non si era accorta che
Stefanie, che insieme alla sorella si era avvicinata al finestrino per
inveire contro di lei, era caduta e comunque si era fermata per ben tre
volte per constatare quali fossero i danni; in ogni caso si era allontanata
in quanto era stata aggredita verbalmente e aveva constato che si
erano fermate altre persone. Con il secondo motivo lamenta la mancata
assunzione di una prova decisiva consistente nella audizione di Stefano
Pisu, padre dell’imputata sulla circostanza che Stefanie si era avvicinata
all’auto. Con il terzo motivo lamenta assenza di motivazione sul capo
attinente al risarcimento del danno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1.Questa Corte ha già avuto modo di precisare che integra il reato di
cui all’art. 189 C.d.S., commi 1 e 6, (cosiddetto reato di “fuga”), la

RITENUTO IN FATTO

1.2.Manifestamente infondata è la censura di mancata assunzione di
una prova decisiva consistente nella audizione di Stefano Pisu, padre
dell’imputata, non essendo neppure precisato per quale ragione tale

condotta di colui che – in occasione di un incidente ricollegabile al suo
comportamento da cui sia derivato un danno alle persone – effettui sul
luogo del sinistro una sosta momentanea, senza consentire la propria
identificazione, nè quella del veicolo. Infatti il dovere di fermarsi sul
posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario
all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del
conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la
durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da
non consentire ne’ l’identificazione del conducente, ne’ quella del
veicolo, ne’ lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità
dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la
norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica
(così sez. 4, 25.1.2001 n. 20235 rv. 234581). La Pisu dunque, che dopo
l’incidente ha effettuato brevi soste momentanee, senza consentire di
essere in tale contesto identificata (l’auto dell’imputata fu rintracciata
solo in seguito alle indagini condotte dalla pg) , correttamente è stata
ritenuta responsabile del contestato reato. Correttamente è stato altresì
osservato dal giudice di merito che non rileva la circostanza che
responsabile dell’incidente, trattandosi di un tamponamento, potesse
non essere l’attuale ricorrente, poiché l’art. 189 cds prescinde
dall’accertamento di tali profili dir responsabilità e fa carico a tutti i
conducenti coinvolti in incidenti. Quanto poi all’obbligo di prestare
assistenza, è pacifico che l’elemento soggettivo del detto reato ben può
essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioè dalla consapevolezza
del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento
che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo
necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle
persone. E nella specie del tutto corretta è la motivazione della Corte di
appello secondo cui la Pisu si era certamente accorta della caduta della
giovane che con un motorino aveva tamponato la macchina; né giova
alla ricorrente invocare una sorta di esimente affermando di aver
ritenuto che non vi fosse bisogno del suo aiuto perché vi erano altre
persone che potevano prestare soccorso. La sussistenza o meno di un
effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è
elemento costitutivo del reato che è integrato dal semplice fatto che, in
caso d’incidente stradale con danni alle persone, l’investitore non
ottemperi all’obbligo di prestare assistenza. Tale condotta, come pure
questa Corte ha già precisato (sez. 4, 7.2.2008 n.8626 rv. 238973), va
tenuta a prescindere dall’intervento di terzi, poiché si tratta di un
dovere che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo. La
non manifesta infondatezza delle motivazione resa sul punto dalla Corte
di appello che ha osservato come la circostanza che la caduta di
Stefanie era assolutamente percepibile anche per la reazione immediata
delle due ragazze, rende insindacabile la sentenza in questa sede.

testimonianza poteva ritenersi decisiva, dal momento che le lesioni della
ragazza (accertate al pronto soccorso) non escludevano affatto una sua
reazione.

2. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Segue, per legge, la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso in Roma il 9 luglio 2015
Il Consigliere estensore

Il Presid hte

1.3.Da ultimo parimenti inammissibile è il motivo attinente la condanna
al risarcimento del danno che è stata pronunciata soltanto in via
generica, con riferimento al danno morale, e con riduzione della
provvisionale stabilita in primo grado.

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