Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36040 del 17/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36040 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
BURATTO MAURO

n. 20.02.1951

avverso la sentenza n. 93/2014 della Corte d’appello di Milano del 5.11.2014
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita all’udienza pubblica del 17 giugno 2015 la relazione fatta dal Consigliere dott.
Claudio D’Isa
Udito il Procuratore Generale nella persona della dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 17/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. BURATTO Mauro ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in
epigrafe, della Corte d’appello di Milano che ha rigettato la richiesta di revisione,
proposta dal medesimo, della sentenza della Corte d’appello di Torino del 24.05.2011,
confermativa, in punto di responsabilità dell’imputato, di quella di condanna del locale
Tribunale – sezione distaccata di Cirè – del 13.01.2009 – in ordine al delitto di cui
all’art. 590, comma 3 0 cod.pen..
La Corte d’appello ha deciso su rinvio della Corte di Cassazione che, con

formali dell’ordinanza della stessa Corte territoriale, in data 10.07.2013, di
inammissibilità del giudizio di revisione.
Per una migliore intelligenza dei motivi posti a base del ricorso è opportuno
ripercorrere, sia pure in sintesi, l’iter motivazionale della sentenza impugnata sia con
riferimento al fatto che alle ragioni di diritto che hanno determinato il rigetto della
richiesta revisione.
Il Buratto, quale datore di lavoro, è stato ritenuto responsabile del delitto
contestato, per aver consentito, in violazione della disposizione di cui all’art. 52 d.P.R.
164/1956, che Luca Airola e Marco Sangiorgi allestissero un trabattello alto circa sette
metri e vi salissero al di sopra per eseguire lavori di montaggio di pannelli
insonorizzanti sulla parete di un edificio, senza che la struttura fosse ancorata alla
parete, in mancanza di un idoneo dispositivo antiribaltamento, e montata in modo
irregolare, avendo solo tre punti di appoggio, in quanto uno dei piedi era poggiato su
di un blocco di cemento che non si trovava allo stesso livello della superficie su cui
erano poggiati gli altri piedi. Sta di fatto che il trabattello, nel corso dei predetti lavori,
cedette e rovinò al suolo, il Sangiorgi finì a terra schiacciato dalla struttura riportando
gravissime lesioni.
I giudici del merito, ritenute provate le omissioni prevenzionali su indicate,
hanno evidenziato che l’infortunio non si era potuto ricostruire con precisione, nel
senso che non era rimasta accertata la ragione del cedimento del trabattello, anche
per la mancanza di dichiarazioni sul punto, nel processo, da parte dei diretti
interessati, in quanto il Sangiorgi non fu sentito per le sue gravi condizioni di salute ed
il Luca Airola, figlio di uno degli indagati, si avvalse della facoltà di non rispondere.
1. 2 I! BURATTO poneva a fondamento dell’istanza di revisione il contenuto di
conversazioni telefoniche registrate, nel corso delle quali Airola e Pavan, altro
lavoratore presente al momento dell’infortunio, gli avrebbero rivelato le reali modalità,
mai prima emerse, dell’infortunio causato dal comportamento della persona offesa: il
Sangiorgi, infastidito dalla conversazione telefonica che Luca Airola (anch’egli sul
trabattello) stava intrattenendo con la fidanzata, per fargliela interrompere iniziò a

sentenza n. 720/2014 di questa IV Sezione, aveva disposto l’annullamento per motivi

dondolare sul trabattello, compromettendone l’equilibrio e la stabilità. Si riteneva
quindi che quel comportamento, abnorme ed imprevedibile, sarebbe stata l’unica
causa efficiente a determinare il cedimento del trabattello,
1. 3 La Corte d’appello, a prescindere dal giudizio di poca credibilità delle
suddette dichiarazioni registrate, ha ritenuto che le stesse, sebbene acquisite
successivamente al processo, fossero irrilevanti in quanto, ancorchè il comportamento
del lavoratore infortunato, come descritto, fosse stato effettivamente posto in essere,
questo non avrebbe escluso la responsabilità colposa del BURATTO nella causazione
dell’infortunio.

comportamento ritenuto abnorme del lavoratore che può escludere il nesso di causalità
tra la condotta colposa addebitata al datore di lavoro e l’evento, la Corte della
revisione ha evidenziato che, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato
dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per
escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al
comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento,
quando questo sia, comunque, da ricondurre alla mancanza o insufficienza di quelle
cautele che se, adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto
comportamento.
2.

Il Bto, con il ricorso odierno, denuncia primariamente mancanza,

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
impugnato. Si argomenta che proprio l’impossibilità di ricostruire, in maniera precisa
ed analitica, le dinamiche e le modalità che ebbero a causare la caduta del trabattello,
avrebbe imposto alla Corte d’appello un vaglio più attento delle “nuove prove”, offerte
ed acquisite solo successivamente alla sentenza di condanna irrevocabile. Si contesta
la valutazione di scarsa credibilità che di esse ha fatto la Corte meneghina, non
essendovi dubbi circa la “genuinità” e credibilità delle dichiarazione rese da Luca Airola
e Pavan Cristiano.
Con riguardo, poi, all’assunto della Corte territoriale che tali dichiarazioni
sarebbero del tutto ininfluenti e non in grado di ribaltare la pronuncia di responsabilità,
se ne rileva la contraddittorietà, laddove, affermando che Sangiorgi mai avrebbe posto
in essere ragionevolmente un tale comportamento, condivide la tesi difensiva che
ritiene essersi trattato, per contro, di un comportamento irragionevole, ascrivibile ad
una grave forma di imprudenza, tanto imprevedibile viepiù posta in essere da un
soggetto con esperienza ventennale nell’eseguire lavori “in quota”, escludendo, quindi,
qualsivoglia forma di concorso. Dunque, si evidenzia, che, nel caso di specie, è del
tutto evidente che il comportamento posto in essere dal Sangiorgi sia inquadrabile
nell’ambito di un agire anomalo, ancorché imprevedibile e, pertanto, svincolato da
qualsivoglia obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro, BURATTO Mauro.

Richiamando la copiosa e conforme giurisprudenza di questa Corte circa il

In definitiva, si adduce che

tale comportamento è configurabile quale causa

sopravvenuta idonea a determinare l’interruzione del nesso di causalità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Le censure esposte sono infondate e determinano il rigetto del ricorso.
Quanto alla denuncia di errata valutazione delle dichiarazioni registrate dal
Baratto riferibili al Luca Airola ed al Pavan Cristiano, con conseguente vizio di
motivazione, se ne deve rilevare la inammissibilità.

coerenza strutturale “interna” della decisione, di cui saggia la oggettiva “tenuta” sotto
il profilo logico-argomentativo e, tramite questo controllo, anche l’accettabilità da
parte di un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento e da osservatori
disinteressati della vicenda processuale. Al giudice di legittimità è invece preclusa – in
sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito,
perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa).
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e
le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione (assegnatale dal legislatore) di
organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici
di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre
uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare
l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. Esaminato sulla base di
queste coordinate, la prima censura è inammissibile in quanto tende a sottoporre al
giudizio di legittimità aspetti attinenti all’apprezzamento del materiale probatorio
rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e non indica in maniera
specifica vizi di legittimità o profili di illogicità della motivazione della decisione
impugnata ma mira solo a prospettare una ricostruzione alternativa dei fatti, suggerita
come preferibile rispetto a quella adottata dai giudici del merito, ricostruzione che è
insuscettibile di valutazione in sede di controllo di legittimità.
3. 1 II Collegio ha ritenuto di fare questa puntualizzazione, sebbene ritenga
assorbente l’argomentazione in diritto, riguardante il nucleo centrale della motivazione
della sentenza impugnata, secondo cui l’accertamento delle cause che hanno
determinato il cedimento del trabattello è del tutto marginale rispetto al mancato
approntamento (sul punto c’è giudicato non toccato dalla richiesta di revisione) da
parte del datore di lavoro, delle misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni,
condotta omissiva a cui va ricollegato l’evento lesivo.
Il Collegio non può non condividere i principi enunciati in materia e riportati
nelle sentenze di legittimità indicate dalla Corte d’appello relativamente alla condotta

Va ricordato che il controllo di legittimità si appunta esclusivamente sulla

c.d. abnorme del prestatore di lavoro che, quale causa sopravvenuta, escluderebbe il
nesso di causalità tra la condotta addebitata al datore di lavoro e l’evento.
E’ pur vero che il sistema della normativa antinfortunistica, si è lentamente
trasformato da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del
datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza
assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma
anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche
imponendosi contro la loro volontà), ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi
sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, normativamente affermato dal

giurisprudenza di questa Corte, che permane la responsabilità del datore di lavoro,
laddove la carenza dei dispositivi di sicurezza, o anche la mancata adozione degli
stessi da parte del lavoratore, non può certo essere sostituita dall’affidamento sul
comportamento prudente e diligente di quest’ultimo.
In giurisprudenza, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa
del lavoratore” (che si rifà spesso all’art. 2087 c.c.), si è giunti – a seguito
dell’introduzione del D. Lgs 626/94 e, poi del T.U. 81/2008 – al ricorso del concetto di
“area di rischio” (Sez. 4, Sentenza n. 36257 del 01/07/2014 Ud. Rv. 260294; Sez. 4,
Sentenza n. 43168 del 17/06/2014 Ud. Rv. 260947; Sez. 4, Sentenza n. 21587 del
23/03/2007 Ud. Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via
preventiva. Strettamente connessa all’area di rischio che l’imprenditore è tenuto a
dichiarare (c.d. DVR), si sono individuati i criteri che consentissero di stabilire se la
condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo
produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza. Si è dunque affermato il
concetto di comportamento “esorbitante”, diverso da quello abnorme” del lavoratore.
Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni,
ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell’ambito del
contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla
giurisprudenza di questa Corte, si riferisce a quelle condotte poste in essere in
maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè,
che nulla hanno a che vedere con l’attività svolta.
La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle
specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.
Le tendenze giurisprudenziali si dirigono anch’esse verso una maggiore
considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. “principio di autoresponsabilità
del lavoratore).
In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e
si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del
fattore causale.

Testo Unico della sicurezza: D.Lgs 9.04.2008 n. 81, ma ciò non ha escluso, per la

Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto
al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla
prevenzione, egli non risponderà dell’evento derivante da una condotta
imprevedibilmente colposa del lavoratore.
Questi principi non si attagliano al caso di specie, essendo rimasto provate la
mancata adozione di quei presidi necessari, nello svolgimento del lavoro affidato alla
persona offesa, per prevenire gli infortuni.
Correttamente, pertanto, la Corte milanese ha fatto riferimento alla
giurisprudenza di legittimità, che con tranquillante uniformità. ha affermato che

imprudenza e imperizia dell’infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore
di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo, solo in presenza di
comportamenti che presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità,
dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative
ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che, in ogni caso, nell’ipotesi di
infortunio sul lavoro originato dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di
prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del
lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da
ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se
adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento
(confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
3.3. La motivazione della sentenza impugnata è esaustiva ed ha toccato tutti i
punti di lagnanza, ivi compreso quello relativo alla circostanza che, secondo la
deduzione difensiva, emersa dalle successive dichiarazioni, offerte quali “prove
nuove”, il Sangiorgi, nel momento in cui si è verificato il cedimento del trabattello, era
intento a lavori di ancoraggio dello stesso, con ciò facendosi intendere che la mancata
predisposizione di tale misura non era addebitabile al BATTO.
La Corte, a parte la considerazione in fatto, secondo cui gli ispettori del lavoro,
immediatamente intervenuti, non costatarono e non rilevarono tale circostanza, ritiene
che essa non sposterebbe i termini della questione. La considerazione è corretta e
pienamente condivisibile. E’ un dato di fatto che il trabattello non era in sicurezza ed
anche se si stavano eseguendo lavori per ancorarlo era necessario che, almeno sino al
completamento di tali lavori, fossero prese adeguate cautele per garantire l’incolumità
dei lavoratori che, comunque, erano saliti su di esso, tra le quali l’ancoraggio della
cintura di sicurezza, di cui era dotato il Sangiorgi, non alla struttura del trabattello,
instabile, bensì ad altro appiglio stabile.
3.4. In conclusione, si condivide il giudizio della Corte milanese relativo alla
ininfluenza delle nuove prove, non in grado di ribaltare la pronuncia di condanna dei
giudici torinesi, e, pertanto, di condurre ad una sentenza assolutoria,

l’obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza,

indipendentemente dalla eventuale gradazione delle colpe e della eventuale colpa
concorrente del lavoratore, atteso che le conseguenze civilistiche non influiscono
affatto sulla revoca del giudicato, essendo, invece, necessario che “le nuove prove”
devono essere tali da dimostrare, se accertati i relativi fatti, unicamente che il
condannato deve essere prosciolto dal reato ascrittogli.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Rom all’udienza del 17 giugno 2015.

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