Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36033 del 04/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36033 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

Data Udienza: 04/06/2015

SENTENZA

suA ricors9 propos9 da:
MARCHESANI SABRINA PATRIZIA N. IL 11/07/1970
2.) ARCA ASSICURAZIONI S.P.A.
avverso la sentenza n. 795/2013 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
14/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore G erale in sersona del Dott.
che ha concluso per

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Udito per la parte civile, l’Avv_

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Uditi difenson Avv.

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RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Chieti, con sentenza del 18/9/2008, assolse perché il
fatto non costituisce reato Marchesani Sabrina Patrizia dal delitto di omicidio
colposo, con violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale, ai
danni di Talucci Graziano (all’imputata veniva rimproverato di essersi
immessa sulla pubblica via da un’area privata omettendo di dare la
precedenza ai veicoli in transito, entrando, così, in collisione con il motociclo

dopo un’ora dal ricovero ospedaliero, a cagione delle gravissime e plurime
lesioni riportate).

1.1. La Corte d’appello di L’Aquila, alla quale si erano rivolti il P.M. e le
parti civili, con sentenza del 14/2/2014, in riforma della sentenza di primo
grado, riconosciute le attenuanti generiche con criterio di prevalenza, dichiarò
estinto il reato per intervenuta prescrizione, condannando l’imputata, in solido
al responsabile civile, al risarcimento del danno in favore delle parti civili da
liquidarsi in sede civile, stimando nella misura del 40% il concorso di colpa
della vittima.

2.

La responsabile civile, Arca Assicurazioni s.p.a. e l’imputata

propongono, con distinti atti, ricorso per cassazione.

2.1. Con il primo motivo, denunziante violazione di legge e vizio
motivazionale, l’Arca, assume che la Corte territoriale aveva trascurato di
considerare che la velocità tenuta dal motociclista doveva considerarsi
eccessiva in ragione dello stato dei luoghi (strada con presenza di diverse
abitazioni e prossimità di curva a visuale non libera) e che una tale velocità
non consentiva di muovere rimprovero all’imputata, la quale cautamente si
stava immettendo sull’arteria a ridosso di curva che non le permetteva
adeguata visibilità, con la conseguenza che alla stessa non si sarebbe potuto
muovere rimprovero di sorta.

2.2. Con il successivo motivo, denunziante violazione di legge, la
ricorrente prospetta l’assenza del nesso di causalità, nel senso che l’incidente
non si sarebbe verificato se il motociclista avesse tenuto velocità più
moderata. In altri termini, secondo l’assunto impugnatorio qui in rassegna, il
comportamento dell’imputata, pur irrispettoso del precetto normativo che le
imponeva di cedere la precedenza ai veicoli in transito, non poteva porsi <>.

condotto dalla vittima, la quale cadeva rovinosamente al suolo, decedendo

3. Marchesani Sabrina Patrizia deduce, con il primo motivo, violazione
degli artt. 576 e 578, cod. proc. pen. Sostiene la ricorrente che la Corte di
merito non avrebbe potuto decidere agli effetti civili poiché in primo grado era
stata esclusa la penale responsabilità dell’imputata.

3.1. Con il secondo motivo, denunziante violazione degli artt. 40, 41 e
43, cod. pen., nonché vizio motivazionale, la ricorrente, afferma che
l’eventuale violazione di precetto stradale da parte della medesima, perciò

Nel mentre l’imputata all’atto dell’immissione si era accertata che non
sopraggiungessero, da entrambe le direzioni, veicoli, il motociclista viaggiava
a velocità sostenuta e comunque incompatibile con i luoghi; inoltre al
momento del sopraggiungere di quest’ultimo mezzo, l’autocarro dell’imputata
aveva quasi del tutto completato la manovra, tanto che sul retro sussisteva
spazio sufficiente per il passaggio della motocicletta. Nel riformare la sentenza
di primo grado la Corte d’appello, invece che impegnarsi in una convincente e
maggiormente persuasiva motivazione, si era limitata ad affermare una
versione alternativa e non maggiormente persuasiva. Travisando le prove e
affidandosi a mere congetture la sentenza impugnata aveva affermato che lo
spazio per poter passare alla destra del motocarro troppo esiguo. Avrebbe,
dovuto, invece, ritenersi che il motociclista, scartando l’ipotesi di evitare il
motocarro bypassandolo da retro, aveva preferito tentare il più rischioso
superamento da sinistra, cercando di guadagnare l’atra corsia di marcia.

3.2. Con il terzo ed ultimo motivo, denunziante violazione di legge e vizio
motivazionale, la quantificazione nel 40% del concorso di colpa della vittima
viene giudicata non corrispondente a giustizia <>.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4./1 ricorsi debbono essere disattesi.

4.1. I motivi ripresi in narrativa sub §§ 2.1., 2.2., 3.1., osmotici tra
loro, propongono, in definitiva, una versione congetturale, secondo la quale
l’incidente era da ritenere dipendente in via esclusiva dalla condotta di guida
della vittima.

3

solo non avrebbe potuto far presumere la sussistenza del nesso di causalità.

Per disattendere la censura basterebbe affermare la congetturalità
dell’asserto, del tutto privo di persuasivi richiami processuali che lo rendano
minimamente plausibile. Per altro, anche a voler credere all’ipotesi
prospettata, non è dubbio che la condotta della conducente dell’ingombrante
veicolo costituì causa penalisticamente sufficiente a determinare l’evento,
potendo assumere, al più, la ipotizzata condotta del motociclista (velocità
eccessiva in relazione al contesto), la qualità di concausa che non esclude il
nesso di causalità (art. 41, comma 1, cod. pen.): ebbe ad immettersi, da area
privata, nel flusso veicolare, in un punto, peraltro, a suo stesso dire, la cui

semicarreggiata fosse sgombra da veicoli in transito, per raggiungere l’altra
semicarreggiata, così ostruendo la strada al motociclista che procedeva nel
senso opposto a quello che la Marchesani voleva prendere.
L’ipotesi, poi, che la vittima, costretta dall’emergenza (trovando la corsia
di marcia occupata dal mezzo dell’imputata, la quale lentamente era intenta a
completare la manovra d’immissione), avrebbe dovuto tentare disperata
manovra salvifica, scartando da destra il veicolo della Marchesani, sussistendo
sufficiente spazio per consentirne il passaggio, oltre a costituire una mera
congettura, che ha per presupposto, fra l’altro, un anomalo sorpasso a destra,
risulta essere stata contestata dalla Corte territoriale, attraverso vaglio
probatorio in questa sede non censurabile, in quanto esente dai gravi vizi
denunziati (si vedano le pagg. da 6 a 8, ispecie).
Sull’argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta
dalla sentenza n.15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente
chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il
nuovo testo dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., come modificato dalla I.
20 febbraio 2006 n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di
apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”,
non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di
legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In
questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di
procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via
esclusiva al giudice del merito. Il “novum” normativo, invece, rappresenta il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il
cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione
giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal
procedere a un’inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle
prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde
verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”, senza

cii

visibilità era resa limitata da un tratto curvilineo, senza assicurarsi che la

travisamenti, all’interno della decisione. E’ stato utilmente chiarito (sentenza
6/11/2009, n. 43961 di questa Sezione) che il giudice di legittimità è tuttora
giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice
del fatto. Pertanto, ove si deduca il vizio di motivazione risultante dagli atti del
processo non è sufficiente che detti atti siano semplicemente contrastanti con
particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua complessiva
ricostruzione dei fatti e delle responsabilità, né che siano astrattamente idonei
a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudice.
Occorre, invece, che gli atti del processo, su cui fa leva il ricorrente per

dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione
disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo
interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
Al contrario, a fronte della prospettazione ipotetica della ricorrente devesi
rilevare la presenza di un assetto motivazionale apprezzabilmente coerente. I
rilievi sul luogo del sinistro, l’accertamento peritale e l’escussione dei testi
hanno consentito, infatti, di dare per acquisita la dinamica dell’evento,
caratterizzato dalla grave imprudenza, imperizia e negligenza, integrante
anche colpa specifica dell’imputata, la quale si era immessa da area privata
sulla pubblica via, in un punto a visibilità ridotta, onde, invertendo il senso di
marcia, raggiungere l’altra semicarreggiata, con un mezzo ingombrante e
senza curarsi di assicurarsi dell’assenza di veicoli in transito ed omettendo di
affrettare la pericolosa manovra, dalla quale, in ogni caso, avrebbe dovuto
desistere ove non fosse stata certa di poterla effettuare in sicurezza, rinviando
l’inversione ad un punto stradale meno pericoloso.

4.2. Il primo motivo della Marchesani, qui riportato sub § 3. È destituito
di giuridico fondamento.
La ricorrente, invero, si ostina ad evocare la disposizione di cui all’art.
578, cod. proc. pen., nel mentre la norma che qui regola la fattispecie
processuale è quella di cui all’art. 576 stesso codice.
Sul punto è bastevole richiamare la sentenza n. 25083, emessa in data
11/7/2006, dep. 19/7/2006, Rv. 233918, la quale ha stabilito che) giudice di
appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su
impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad
opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni
in favore di quest’ultima, atteso che l’art. 576 cod. proc. pen. conferisce al
giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche
in mancanza di una precedente statuizione sul punto.

sostenere la sussistenza di un vizio della motivazione, siano autonomamente

Si osservava, in particolare, nella richiamata pronuncia, seguita dalla
successiva giurisprudenza di legittimità

(Sez. 3, n. 17846 del 19/03/2009,

dep. 28/04/2009, Rv. 243761), che «(…)

in sostanza e con trascurabili

variazioni stilistiche, gli argomenti adottati dalle decisioni che abbracciano la
soluzione negativa fanno tutti leva sull’art.578 cod. proc. pen.
Questa disposizione – si assume più o meno esplicitamente – disciplina per
intero la cognizione agli effetti civili del giudice dell’impugnazione, in ogni caso
in cui questi dichiari estinto il reato per prescrizione, anche in presenza di
un’impugnazione ai fini civili (cfr. Sez. IV, 14 marzo 2002,sent. 19026, Colla

proposte dal pubblico ministero e quelle delle altre parti nel processo).
È così facile rilievo quello per cui la decisione agli effetti civili da parte del
giudice d’appello o della Cassazione, una volta sopravvenuta la prescrizione
del reato, è ammessa dalla norma in esame solo quando nei confronti
dell’imputato vi sia stata nel grado precedente una condanna, anche generica,
alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, con
conseguente difetto di giurisdizione “civile” del giudice penale
dell’impugnazione, nel caso in cui la prescrizione intervenga a seguito della
pronunzia di una sentenza di assoluzione dell’imputato o comunque di una
sentenza che già non contenga quella condanna alle restituzioni o al
risarcimento di cui s’è detto. (…) In questa prospettiva, l’applicabilità dell’art.
578 cod. proc. pen., a ogni giudizio di impugnazione che si risolva con
l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia, si ritrae dal fatto che il
principio generale vigente nel nostro ordinamento processuale, in ordine ai
poteri del giudice penale ed al riparto della giurisdizione tra giudice penale e
giudice civile, è quello secondo il quale il giudice penale, in tanto può
pronunciarsi sulla domanda risarcitoria o restitutoria, in quanto
contestualmente giudichi e accerti la sussistenza della responsabilità penale,
alla quale consegue la statuizione sulla responsabilità civile. L’unica eccezione
a questo principio- che, in quanto tale, non è suscettibile di applicazione
analogica -, eccezione che permette al giudice penale di pronunciarsi sulla
azione civile anche quando, per effetto di una sopravvenuta amnistia o
prescrizione, non può più giudicare sulla responsabilità penale, sarebbe posta
appunto dall’art. 578 cod. proc. pen. (…). Ad accettare questo senso
dell’art.578 cod. proc. pen. e cioè a ritenere che la disposizione sia sempre
applicabile in caso di dichiarazione di prescrizione del reato nella fase di
impugnazione, si danno tuttavia delle conseguenze paradossali.
Avverrebbe cioè che, in presenza di assoluzione nel grado precedente, il
giudice potrebbe sempre conoscere dell’impugnazione agli effetti civili se il
giudizio a lui devoluto riguardasse soltanto tali effetti e quindi fosse irrilevante

ed altri secondo cui la norma in esame non distingue tra impugnazioni

la prescrizione del reato. Ma, ove tale prescrizione potesse e dovesse
dichiarare, perché gli è stato devoluto anche il tema della responsabilità
penale e non sussistono le condizioni per la conferma della soluzione più
favorevole per l’imputato, non potrebbe più conoscere della responsabilità
civile di quest’ultimo. In altri termini proprio la mancata devoluzione della
cognizione penale del caso consentirebbe al giudice dell’impugnazione, ferma
restando l’assoluzione penale, di accertare, sia pure incidentalmente e ai fini
civili, la sussistenza di tutti gli elementi del fatto reato. Al contrario, una volta
che il giudice dell’impugnazione penale, accertati in via diretta gli elementi

soluzione liberatoria raggiunta nel grado precedente e abbia dunque
dichiarato la prescrizione (decisione penalmente più sfavorevole per
l’imputato), ogni pronunzia sulla responsabilità civile di costui gli sarebbe
preclusa dalla precedente assoluzione. E ciò nonostante che in quest’ultima
ipotesi la duplice devoluzione sembrerebbe conferirgli maggiori poteri.
Né per superare simile aporia potrebbe immaginarsi che il giudice, adito per i
soli interessi civili, debba comunque accertare incidentalmente l’avvenuta
prescrizione del reato al momento della pronunzia, quale condizione per la
permanenza della sua cognizione. Rende irreale un simile accertamento
incidentale il dato di natura sostanziale che, per effetto della mancata
impugnazione ai fini penali della pronunzia assolutoria, la prescrizione penale
nella specie sottoposta a giudizio non decorre.
A ben vedere il paradosso appena delineato non è che un sintomo, sia pure
vistoso, dell’erroneo ambito di operatività che i sostenitori del difetto di potere
del giudice dell’impugnazione necessariamente conferiscono all’art. 578 cod.
proc. pen., come già hanno rilevato Sez. IV, 12 febbraio 2002, sent.12762,
Manca, Sez. II, 24 ottobre 2003, sent. 897/04, p.c. in proc. Cantamessa e
Sez. III, 11 febbraio 2004, sent. 18056, Rontani.
Comune alle decisioni appena citate è infatti l’osservazione che la disciplina di
cui all’art. 578 cod. proc. pen, non è applicabile allorché appellante o
ricorrente sia la parte civile, alla quale l’art. 576 del codice di rito riconosce il
diritto ad una decisione incondizionata sul merito della propria domanda.
L’art. 578 cod. proc. pen. si riferisce invece al caso in cui l’impugnazione sia
dell’imputato o del p.m. e solo in questa ipotesi richiede che, in presenza di
una declaratoria di amnistia o di prescrizione,per decidere agli effetti civili,vi
debba essere stata in precedenza una valida pronuncia di condanna alla
restituzione o al risarcimento.
In altri termini l’art. 576 e l’art. 578 disciplinano situazioni
processuali diversificate, mirando l’art. 578, nonostante la declaratoria della
prescrizione, a mantenere, in assenza di un’impugnazione della parte civile, la

della specie, abbia ritenuto che per quello stesso fatto non può adottarsi la

cognizione del giudice dell’impugnazione sulle disposizioni e sui capo della
sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili, mentre l’art.
576 conferisce al giudice dell’ impugnazione il potere di decidere sulla
domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una
precedente statuizione sul punto (…)>>.

4.3. Il terzo ed ultimo motivo prospettato dalla Marchesani, ripreso in
narrativa al § 3.2., è inammissibile in quanto diretto, peraltro in forma del
tutto generica e aspecifica, a porre in contestazioni valutazioni

5. l’epilogo impone condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

P.Q. M .

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso

Roma il 4/6/2015.

eminentemente di merito in questa sede incensurabili.

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