Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36011 del 18/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36011 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Festa Ciro n. il 8.11.1986
avverso la sentenza n. 6803/2013 pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Avellino il 24.12.2013;
sentita nella camera di consiglio del 18.7.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. E.
Scardaccione, che ha richiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al giudice di merito per
l’ulteriore corso.

Data Udienza: 18/07/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 8.1.2014, Ciro Festa ha proposto ricorso
per cassazione avverso la sentenza emessa dal giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Avellino in data 24.12.2013 con la
quale, in applicazione della congiunta richiesta del pubblico ministero e dell’imputato, è stata applicata a quest’ultimo la pena di due anni
e sei mesi di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, in relazione a una
serie di episodi di spaccio di sostanza stupefacente, tutti qualificati
secondo le forme della lieve entità del fatto di cui all’art. 73, co. 5,
d.p.r. n. 309/90, commessi, in Avellino, dal gennaio al luglio del
2012.

Con l’impugnazione proposta, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per violazione di legge avendo il giudice a quo omesso di
procedere a un’approfondita verifica in ordine al possibile proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p..
Ha depositato memoria il procuratore generale presso la Corte
di cassazione, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata con la trasmissione degli atti al giudice a quo per
l’ulteriore corso.
Considerato in diritto
2. – Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza
di questa corte, nella motivazione della sentenza di patteggiamento, il
richiamo all’art. 129 c.p.p. è sufficiente a far ritenere che il giudice
abbia verificato ed escluso la presenza di cause di proscioglimento
dell’imputato, non occorrendo ulteriori e più analitiche disamine al
riguardo (Cass., n. 6455/2011, Rv 252085).
Infatti, l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art.
in Cost. e dall’art. 125, comma terzo, c.p.p. per tutte le sentenze
(operante anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti), non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur
non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice
presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione.

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Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p. dev’essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento a norma del citato art. 129 c.p.p. (cfr. Cass., Sez. 1, n.
752/1999, Rv. 212742; Cass. Sez. 1, n. 4721/2000, Rv. 216789; Cass.,
Sez. i, n. 6711/2000, Rv. 218050).
Tali argomentazioni consentono di ritenere prive di pregio le
doglianze sul punto sollevate con l’odierna impugnazione, avendo il
giudice del merito espressamente attestato la non ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., emergendo, dall’esame
degli atti del procedimento, gravi elementi di responsabilità a carico
dell’imputato.
3. — Pur a seguito dell’accertamento dell’integrale infondatezza
dei motivi d’impugnazione avanzati dal ricorrente, occorre peraltro
procedere in ogni caso all’annullamento della sentenza impugnata, in
relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio applicato
a carico dell’imputato.
Sul punto, dev’essere infatti rilevato come, con il d.l.
23.12.2013, n. 146, convertito con modificazioni con la legge n.
10/2014, il legislatore abbia proceduto alla riconfigurazione normativa dei comportamenti criminosi riconducibili, come quello oggetto
dell’odierno esame (cfr. la motivazione della sentenza impugnata), al
quadro delle previsioni di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90: da un
lato ridefinendo la fattispecie quale ipotesi autonoma di reato (e non
più quale circostanza aggravante dell’ipotesi-base di cui all’art. 73, co.
i d.p.r. n. 309/90), dall’altro modificando la cornice edittale relativa
alla sanzione penale irrogabile (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 4, 28 febbraio 2014, n. 10514, n.m.); sanzione nella specie rideterminata, a seguito del successivo d.l. 20 marzo 2014, n. 36 (convertito con modificazioni con la legge 16 maggio 2014, n. 79) nella reclusione da sei mesi a quattro anni e nella multa da euro 1.032 a euro 10.329.

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Nel caso di specie, avendo il giudice a quo recepito l’accordo
delle parti formatosi in relazione al diverso e più severo quadro edittale sancito dalla legge vigente al tempo della commissione del fatto
(da uno a sei anni di reclusione), suscettibile di modificare la valutazione complessiva concernente la determinazione dell’entità della
pena, dev’essere disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, con la conseguente trasmissione degli atti al tribunale di
Avellino per l’ulteriore corso.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla la impugnata sentenza senza rinvio e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di
Avellino per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18.7.2014.

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