Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36010 del 08/07/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36010 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
Sui ricorsi proposti dal
P.g. presso la Corte d’appello di Reggio Calabria
avverso la sentenza del 16/12/2013 della Corte d’appello di Reggio Calabria
emessa nei confronti di
1. Gallico Lucia, nata ad Oppido Mamertina il 02/08/1982
2. Gallico Maria Antonietta, nata a Palmi il 24/07/1960
3. Sgrò Carmelo, nato ad Oppido Mamertina il 06/08/1982
nonché sui ricorsi proposti da
4. Cedro Alberto, nato a Gioia Tauro il 28/05/1965
5. Dinaro Antonio, nato a Melicuccà il 07/11/1946
6. Ficarra Antonino, nato a Palmi il 25/04/1965
7. Ficarra Roberto, nato a Palmi il 14/09/1977
8. Gallico Domenico, nato a Palmi il 09/07/1973
9. Gallico Italia Antonella, nata a Scilla il 30/12/1985
10.Gioffrè Vincenzo, nato a Reggio Calabria il 20/07/1982
11.Iannino Giulia, nata a Palmi il 24/07/1966
12.Santaiti Gaetano Giuseppe nato a Seminara il 17/03/1967
13.Sgrò Rosario, nato a Palmi il 15/10/1944
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vito
D’Ambrosio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso del P.g. nei confronti
di Gallico Lucia, Gallico Maria Antonietta e Sgrò Carmelo, l’inammissibilità del
ricorso di Santaiti ed il rigetto degli ulteriori ricorsi;
udito l’avv. Pietro Catanoso per la Provincia di Reggio Calabria, parte civile;

Data Udienza: 08/07/2015

uditi l’avv. Giuseppe Milicia per Cedro; l’avv. Giovanni Aricò per Dinaro; l’avv.
Guido Contestabile per Gallico Italia Antonella e Iannino Giulia; gli avv.ti Antonio
Mazzone e Armando Veneto per Ficarra Antonino e Ficarra Roberto; l’avv.
Manfredo Fkirmonti per Santaiti; gli avv.ti Francesco Albanese e Francesco
Petrelli per Gallico Domenico; l’avv. Francesco Albanese per Sgrò Rosario, i quali
tutti si sono riportati ai motivi di ricorso;

per Gallico Maria Antonietta e Sgrò Carmelo, che hanno sollecitato la conferma
dell’assoluzione dei loro assistiti;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del 16/12/2013, in
parziale riforma della pronuncia del Gup di quel Tribunale del 10/01/2012 ha:
-assolto Gallico Lucia dai reati ascrittile per non aver commesso il fatto;
Gallico Maria Antonietta e Sgrò Carmelo dal reato di cui al capo VV), con analoga
formula, entrambi dal reato di cui al capo 33) e il solo Sgrò dal reato di cui al
capo RR) per insussistenza del fatto;
-esclusa l’aggravante di cui all’art. 416 bis comma 6 cod. pen. in relazione al
capo VV), ha ridotto la pena inflitta a Ficarra Roberto e Sgrò Rosario ad anni sei
di reclusione; a Dinaro Antonio ad anni dieci e mesi quattro di reclusione; a
Gallico Italia Antonella ad anni otto di reclusione ed € 1.400,00 di multa; a
Iannino Giulia ad anni sei mesi due di reclusione ed € 600 di multa;
– riconosciuta la continuazione con precedente condanna, per effetto
dell’esclusione dell’aggravante richiamata in relazione al capo VV), ha
rideterminato la pena inflitta nei confronti di Ficarra Antonino con entrambe le
pronunce in anni nove di reclusione ed € 600 di multa;
-riqualificata l’imputazione sub VV) ascritta a Gallico Domenico ai sensi
dell’art. 390 cod. pen, aggravato ai sensi dell’art. 7 di 13 maggio 1991 n. 152
convertito nella I. 2 luglio 1991 n. 203, ha ridotto la pena inflitta ad anni tre e
mesi sei di reclusione;
– ha confermato nel resto la pronuncia di primo grado, respingendo
integralmente l’appello proposto nell’interesse di Cedro Alberto, Gioffrè Vincenzo
e Santaiti Gaetano Giuseppe.
Il procedimento riguarda una serie di imputazioni attinenti all’attività della
cosca di carattere mafioso sussistente in territorio di Palmi facente capo alla
famiglia Gallico, ed i reati fine, oltre che l’imputazione di appartenenza ad
ulteriore cosca territoriale, formulata nei confronti di Gioffrè.

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uditi inoltre l’avv. Armando Veneto per Gallico Lucia; l’avv. Francesco Albanese

■f,

2. Il P.g. presso la Corte d’appello di Reggio Calabria ha proposto ricorso
con il quale si deduce, con riferimento alla posizione di Gallico Lucia in relazione
all’imputazione associativa di cui al capo VV) ed al reato di estorsione di cui al
capo BB):
2.1.1. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. sotto
il profilo della contraddittorietà della motivazione e del travisamento della prova;

del reato, e nella sentenza prima le si attribuisce il ruolo di spettatrice, e
successivamente si dà conto della funzione di determinatrice dell’azione, assunta
su iniziativa dell’interessata, la cui rilevanza era stata dimostrata dalla perfetta
sovrapponibilità di quanto realizzato ai suoi programmi.
Si lamenta sul punto la mancata considerazione delle prove che
dimostrano il ruolo attivo avuto da questa nell’escludere la corresponsione del
prezzo del suo ricevimento di nozze, nel contatto diretto con il ristoratore, oltre
che nella ricerca dell’intermediario maschio, componente della famiglia, che
avrebbe dovuto veicolare l’imposizione, il cui oggetto, su iniziativa
dell’interessata era stato esteso anche agli invitati del suo sposo.
Si deduce inoltre travisamento della prova anche in relazione
all’imputazione associativa di cui al capo VV), per la svalutazione della funzione
di postina da questa rivestita presso il padre detenuto, oltre che per la mancata
valorizzazione della sua profonda conoscenza delle dinamiche di gruppo rivelata
dalle intercettazioni, nel corso dell’esecuzione di tale funzione di collegamento,
come si ricava dalla conoscenza che la donna aveva dimostrato di avere
dell’incontro tra due componenti di vertice del gruppo, di cui uno latitante; per
aver fatto da tramite tra il padre e lo zio, altro componente di vertice, nel
comunicare ed interpretare i messaggi del primo detenuto. Si deduce
travisamento della prova anche in merito al misconosciuto ruolo dinamico da
questa rivestito accompagnando i parenti presso i capi di clan rivali ed offrendo il
suo contributo alla configurazione della strategia di azione contro altra cosca
rivale, situazione rispetto alla quale era stato captato un dialogo nel quale la
stessa interessata chiariva la rilevanza comune della risoluzione della
controversia insorta con i Bruzzise.
Si denuncia inesistenza della motivazione riguardo alla piena conoscenza
dell’azione estorsiva, su cui la donna aggiornava il padre, con richiamo alle
entrate provenienti da una delle parti offese, circostanza di fatto non valutata nel
provvedimento impugnato, che aveva concluso svolgendo una considerazione
generica sul carattere non decisivo delle informazioni trasmesse.

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alla donna era stato imputato il concorso nel reato di estorsione quale istigatrice

-

.,

2.1.2. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in
relazione ai principi di cui all’art. 192 cod. proc. pen., nella parte in cui si ritiene
irrilevante al fine della configurazione del reato associativo la condivisione della
mentalità mafiosa, malgrado tale atteggiamento costituisca l’essenza
dell’imputazione in esame, ed è stata svalutata la natura familiare del gruppo,
che connota tutte le compagini locali del territorio di riferimento.

relazione all’assoluzione dal capo VV), che tratta il reato associativo, si deduce
violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione ai
principi di cui all’art. 192 cod. proc. pen., nella parte in cui si è ritenuta
irrilevante al fine della configurazione del reato la partecipazione ad una
condotta prodromica all’esecuzione di una estorsione, esclusa anche nella forma
tentata per il mancato sviluppo degli atti ma, sulla base di una serie di elementi
acquisiti grazie alle intercettazioni, sicuramente ascrivibile agli interessati, ed
iscritta in altra azione estorsiva consumata ai danni dell’imprenditore al quale era
diretta anche l’ulteriore richiesta; si lamenta anche la svalutazione della scelta
dello Sgrò quale ambasciatore di collegamenti con altri capi cosca, e si
richiamano i plurimi elementi ricavabili dalle intercettazioni che consentivano di
inscrivere tale attività nell’azione illecita contestata, la cui rilevanza era stata
riconosciuta solo nei confronti del cugino dello Sgrò che aveva tenuto condotta
analoga, mentre la pronuncia non aveva argomentato il differente trattamento,
posto che, contraddittoriamente, era stato riconosciuta, ancorché in forma
minore, la funzione di postino da questi svolto; si deduce erronea svalutazione
dei chiari riferimenti che la donna faceva alla piena messa a disposizione del
figlio Sgrò e del nipote agli ordini del capo detenuto, lamentando un’illegittima
parcellizzazione delle risultanze, a fine di svilirne la portata indicativa, in
violazione del principio di cui all’art. 192 cpv cod. proc. pen. di cui si offre una
specifica indicazione, che evidenzia la contraddittorietà della valutazione, quale,
i

2.2. Riguardo alla posizione di Gallico Maria Antonietta e Sgrò Carmelo, in

da ultimo l’accertata similarità dei ruoli attribuiti a Sgrò ed al cugino all’interno
della compagine, che, in maniera non giustificata, è culminata con
l’accertamento del reato associativo solo a carico di Gallico Antonino; risulta
ingiustamente sottovalutata la funzione di intermediario riconosciuta
all’interessato da un imprenditore che voleva esercitare il recupero crediti in
quella zona; il suo interessamento per trattare una partita di stupefacenti, per
cui ottenne l’avallo del capo cosca di potersi rivolgere ai componenti della cosca
dei Pesce; nei confronti di entrambi è stata svalutata la portata indiziaria del
coinvolgimento dell’operazione immobiliare progettata su terreno di proprietà dei
fratelli Gallico, su cui avrebbero dovuto investire i Pesce per la realizzazione di
4

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un supermercato per riciclare denaro, operazione che li vedeva direttamente
coinvolti; la mancata rilevanza attribuita alla verificata suddivisione dei proventi
delle estorsioni per tutti i componenti della famiglia, tra cui quella di Gallico
Maria Antonietta; la sottovalutazione dell’ospitalità riconosciuta da quest’ultima e
Sgrò Carmelo a Gallico Antonino in un periodo di crisi del gruppo associativo
territoriale, in cui era strettamente funzionale alle esigenze della cosca
l’allontanamento del giovane dal territorio, per tutelare il rapporto privilegiato

con Santaiti, per cause che la stessa Gallico mostrava di conoscere più
approfonditamente del congiunto detenuto, capo del gruppo, elemento rispetto al
quale si denuncia contraddittorietà della motivazione, derivante dalla
riconosciuta rilevanza strategica del piano che l’allontanamento del giovane
intendeva realizzare, con l’assicurazione della collaborazione di Santaiti ai disegni
della cosca; si lamenta la svalutazione del ruolo di veicolatrice di notizie svolto
da Gallico Maria Antonietta, ridotto ad esigenza funzionale a mantenere i legami
familiari, elemento contrastante con le risultanze; la svalutazione dell’elemento
rilevante del legame familiare e complessivamente l’intervenuta valutazione
atomistica delle risultanze, omettendo il doveroso collegamento tra tutti gli
elementi indiziari offerti.
3. La difesa di Cedro Alberto -ritenuto responsabile del reato di cui all’art.
378 cod. pen. commesso 14/06/2010 per aver negato pressioni della cosca
locale per rinunciare alla gestione dei videogiochi nel comune di Palmi-, deduce:
3.1. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b), c) ed e) cod. proc.
pen. in relazione all’applicazione dei criteri legali di valutazione indiziaria, nonché
carenza ed illogicità della motivazione, con riferimento all’individuazione
nell’interessato del singolo componente della famiglia Cedro che si riteneva
essere stato individuato quale destinatario delle richieste estorsive, ed a riguardo
si segnalano tutte le contraddizioni, non ultima il mancato coinvolgimento di uno
dei fratelli dell’interessato, nell’analisi sull’identificazione del possibile
destinatario delle richieste.
3.2. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. con
riferimento alla mancanza e contraddittorietà della motivazione, quanto ad
individuazione del reato presupposto, desunta dalla mancata analisi degli
elementi, ricavabili dalle intercettazioni in atti e dalla loro trascrizione, sulla base
dei quali poteva escludersi l’acquisizione di elementi di certezza sull’effettivo
versamento di somme da parte del non identificato componente della famiglia
Cedro in favore della cosca locale, circostanze sulle quali la Corte non aveva
esaminato la scarsa valenza dimostrativa, nei termini della certezza, degli
elementi ritenuti fondanti la responsabilità.
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sct

4. La difesa di Dinaro Antonio – ritenuto responsabile dei reati di cui agli
artt. 56-629 cod. pen. aggravato ex art. 7 dl 13 maggio 1991 n. 152 convertito
con modificazioni nella I. 12 luglio 1991 n. 203 (capo NN) e 416 bis cod. pen.
(capo VV), esclusa l’aggravante di cui al comma 6 della disposizione
incriminatrice- rileva nel suo ricorso:
4.1. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.

al quale Dinaro non ha partecipato, e contestuale mancata rinnovazione del
dibattimento in proposito. Su punto si rileva che, a fronte della presenza di
trascrizioni della medesima intercettazione -due di provenienza del consulente
del P.m. e della p.g. ed una terza della difesa,- la Corte ha valutato inattendibile
quest’ultima senza argomentazione al riguardo, circostanza che rende ancora più
ingiustificabile la mancata rinnovazione del dibattimento sul punto;
4.2. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
con riferimento alla valutazione indiziaria in ordine alla sussistenza della
fattispecie di estorsione tentata, di cui è stata valutata la plausibilità sulla base
dell’intercettazione dell’intervento diretto del Dinaro sulla persona offesa, all’atto
in cui la convocava presso i Gallico, desunta dal tenore di una conversazione dei
componenti di quest’ultima famiglia, oltre che in forza dell’affermazione della
parte lesa.
Su tale ultimo aspetto si rileva l’illogicità della motivazione, che non ha
tenuto conto della successiva negazione dei fatti offerta dal dichiarante nel corso
dell’indagine difensiva, il cui contenuto non è stato considerato perché si sono
ipotizzate reticenze di cui non sussiste alcun elemento di accertamento concreto
in atti. Analogo contrasto logico si rileva nella ricostruzione dell’episodio ove, pur
dando per certo che vi sia stato un contatto tra Dinaro e la parte lesa successivo
all’incontro di questa con il Gallico, si assume che le nozioni del primo su tale
abboccamento questi le avrebbe ottenute direttamente da Gallico Antonino,
senza alcuna giustificazione.
4.3. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
riguardo all’individuazione degli elementi dimostrativi della partecipazione
dell’interessato alla compagine associativa, in mancanza dell’individuazione di un
ruolo, ed in assenza di qualsivoglia elemento di partecipazione a logiche
spartitorie tipiche della fattispecie.
4.4. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. con
riferimento agli elementi indicatori del fine di agevolazione mafiosa, rispetto alla
volontà di veicolare un messaggio della famiglia Gallico e riguardo
all’utilizzazione del metodo mafioso nello svolgimento dell’azione estorsiva, posto
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con riferimento all’acquisizione di perizia fonica svolta in diverso procedimento,

in dubbio dalla registrata assenza di minacce, oltre che dal rifiuto opposto dalla
vittima alla richiesta, per ragioni economiche, non risultando individuati nella
pronuncia condotte evocative di tali circostanze.
4.5. violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
relazione all’applicazione della recidiva, senza alcuna giustificazione della sua
considerazione ai fini della pena, ed all’apparenza della motivazione sul mancato

5. La difesa di Ficarra Antonino e Ficarra Roberto -ritenuti responsabili del
reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. capo VV) dell’imputazione, il primo in
quanto titolare di fatto della ditta formalmente intestata al secondo- nel suo
ricorso deduce:
5.1. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c), d) ed e) cod. proc. pen. per
mancata assunzione di prova decisiva ed omessa motivazione dell’ordinanza
07/10/2013 di rigetto delle istanze istruttorie formulate ex art. 603 cod. proc.
pen., malgrado la natura sopravvenuta delle prove offerte;
5.2. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 178 lett. c), 416 cod. proc. pen. e 230 disp. att. cod. proc.
pen. nella parte in cui la Corte non ha valutato il contenuto effettivo
dell’eccezione difensiva, costituito dalla mancata allegazione a cura del P.m. nel
suo fascicolo di una informativa di reato rilevante, che aveva dato lo spunto alla
presente indagine, la cui cognizione è stata sottratta alle parti.
5.3. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen. con
riferimento alla eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni di cui alle RIT.
136/2006, 1195/2007, 783/2008, e più in generale di tutte quelle disposte nei
confronti di Gallico Giuseppe, Domenico e Rocco, in quanto captate con
apparecchiature diverse da quelle installate presso la Procura, in assenza dei
requisiti di legge, assenza di cui la Corte aveva dato conto nel provvedimento,
pur giustificando l’esecuzione di un procedimento difforme da quello legale, in

riconoscimento delle attenuanti generiche.

maniera non consentita, stante l’impossibilità di colmare il vuoto argomentativo
del P.m. richiedente sul punto;
5.4. violazione dell’art. 606 comma 1 lett.b), c) ed e) cod. proc. pen.
quanto all’individuazione di elementi sulla sussistenza del reato associativo, in
assenza di dimostrazione dell’acquisizione di appalti pubblici da parte
dell’impresa riconducibile a Ficarra, che esclude la sua posizione di preminenza
nel campo; mancanza di elementi di conferma della natura fittizia
dell’intestazione dell’attività; valutazione presuntiva della redditività dell’azienda
effettuata sulla base di considerazioni dell’onerosità dei canoni di locazione, e
non in forza dell’effettiva analisi degli utili, che non ha effetto dimostrativo della
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I,

natura mafiosa della stessa; la mancata valutazione degli elementi che
riconducono al solo Ficarra Roberto la gestione della società; si lamenta il
travisamento delle risultanze emergenti dalle dichiarazioni di Piccolo Vincenzo
ove la Corte, pur formalmente non acquisendole, le ha utilizzate in maniera
impropria, stravolgendone il significato; la mancata valutazione dei plurimi
controlli a cui era stata sottoposta l’azienda gestita esclusivamente dal titolare
effettivo; lamenta la violazione della regola di giudizio di cui all’art. 192 comma 3

cod. proc. pen. nella parte in cui la Corte ha valutato a fini accusatori le
dichiarazioni intercettate in conversazioni intercorse tra terzi, di cui non era stata
esaminata previamente l’attendibilità e rispondenza al reale; l’erronea
interpretazione al tal fine di conversazioni intercorse tra Gallico Domenico,
detenuto, e sua sorella, che dovevano essere lette unitamente ad ulteriori
circostanza indicative, quali il mancato pagamento della difesa in favore del
preteso affiliato, mentre risulta illogico l’assunto collegamento, desunto
esclusivamente dalla mancata denuncia proposta in relazione alle pressioni
subite; la mancata analisi delle conversazioni in cui Gallico Giuseppe dubitava
della collaborazione di Ficarra, impossibile da porre in discussione in presenza di
un vincolo associativo; la mancata analisi della revisione delle dichiarazioni
accusatorie di Saffioti, titolare di ditta concorrente, in danno di terzo
imprenditore, intervenuta durante il dibattimento, circostanza che avrebbe
dovuto indurre a rivedere la valutazione della sua affidabilità;
5.5. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
quanto all’esclusione delle concessione delle attenuanti generiche, in assenza di
un esame della posizione specifica dei ricorrenti.
5.6. Con memoria depositata nei termini la difesa deduce carenza di
motivazione quanto alla connessione tra impresa di pertinenza di Ficarra
Roberto, che si assume fittiziamente intestata al ricorrente e la compagine
associativa di Gallico, desunta attraverso una interpretazione non univoca delle
conversazioni di Gallico Domenico. Si contesta inoltre la valutazione di scarsa
attendibilità offerta in sentenza alle dichiarazioni dei testi della difesa, in
mancanza di qualsiasi giustificazione, a fronte di elementi di fatto quali il
collegamento di parentela con i Ficarra e l’appetibilità dell’offerta economica da
loro svolta, che giustificava la scelta dell’impresa, al di fuori di qualsiasi
pressione illecita, sulla cui presenza non era stata acquisita alcuna prova.
Si contesta la presenza in atti di qualsiasi conferma dell’adesione dei
fratelli alla compagine illecita, posto che agli stessi non risulta attribuito alcun
reato fine.

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d/

6. La difesa di Gallico Domenico -ritenuto responsabile del reato di cui
all’art. 390 cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 7 di 13 maggio 1991 n. 152,
convertito nella I. 2 luglio 1991 n. 203, così riqualificata l’imputazione sub VV)nel suo ricorso deduce:
6.1. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen in
relazione all’accertamento del reato, pur a seguito dell’impoverimento del quadro

delle caratteristiche ritenute rilevanti dal primo giudice del furgone da questi
posseduto per svolgere la condotta contestata, oltre che in ragione della ritenuta
irrilevanza delle registrazioni dei movimenti del mezzo nella zona di pertinenza
della sua attività di lavoro;
6.2. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. quanto
all’accertamento della contestata aggravante sulla base del mero accertamento
di ausilio di persona appartenente all’associazione, in assenza di qualsiasi analisi
sul dolo specifico.
6.3.1. Con memoria depositata nei termini la difesa, dopo aver richiamato
la circostanza di fatto attinente alla modifica del capo di imputazione, rileva che
tale cambiamento ha prodotto anche una diversa selezione del materiale
probatorio, e dell’attività contestata, che risulta rimodulata in maniera generica.
In tal senso è stata circoscritta la rilevanza accusatoria ad una singola
conversazione, e si è privato di significato l’accertamento della tipologia del
furgone in possesso del ricorrente, utilizzato dal primo giudice per giustificare la
pertinenza del riferimento captato alla sua persona, limitandosi a richiamare le
caratteristiche dei mezzi del medesimo tipo. E’ stata inoltre esclusa la possibilità
di trarre qualsiasi conferma dell’ipotesi di accusa dalle conversazioni che
coinvolgevano l’interessato, che in senso opposto ne escludono il collegamento
con il gruppo. Si ritiene conseguentemente che, a fronte del completo
mutamento della piattaforma probatoria, si imponesse un onere di motivazione
rafforzata, non adempiuto dal giudicante, che aveva limitato la sua analisi ad
una singola captazione che, proprio per la sua unicità, rimaneva priva di
elementi di conferma della sua interpretazione, il cui contenuto esigeva una
particolare analisi, anche perché frutto di captazione di conversazioni tra terzi, la
cui valutazione richiede la corretta applicazione dei criteri di cui all’art. 192
comma 1 prima parte cod. proc. pen, che si ritiene mancante.
Si deduce inoltre la genericità dell’individuazione della condotta attribuita
all’interessato, all’atto in cui nella pronuncia ci si è richiamati alla conferma
dell’accusa, formulata nella parte finale dell’imputazione, che testualmente

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indiziario, conseguente alla valutazione della Corte sull’accertata insussistenza

riguarda la completa disponibilità di questi in favore di Gallico Rocco, smentita
dall’esclusione della contestazione partecipativa.
Si segnala l’intervenuto depauperamento del quadro probatorio, anche
con riferimento all’unica condotta accertata, rispetto alla quale risulta ridotta
anche la prova, all’atto in cui questa si limita al possesso da parte
dell’interessato di un furgone del tipo di quello descritto, che esclude la diretta
corrispondenza con quello evocato nella conversazione, e dà conto della

complessiva incomprensibilità dei termini usati nelle conversazioni intercettate,
esaminate con riferimento a tale accusa.
Si ritiene quindi che il vuoto probatorio, non colmabile, imponga
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non
sussiste, o in via gradata, l’annullamento con rinvio per una integrazione della
motivazione.
6.3.2. Si contesta inoltre l’accertamento di sussistenza dell’aggravante di
cui all’art. 7 di 13/05/1991 n. 152 convertito nella I. 12/07/1991 n. 203, ove se
ne ritiene l’automatismo nell’ipotesi di agevolazione di un capo mafia, senza
ricercare l’effettivo vantaggio per il gruppo dell’azione compiuta, e la
consapevolezza di ciò da parte dell’autore.
6.3.3. Si denuncia mancata motivazione sulla sussistenza dell’aggravante
dell’agevolazione nei confronti dell’intero gruppo, tanto più pressante a fronte
dell’occasionalità della condotta. Si evidenza che, escludendo l’aggravante, il
reato sarebbe prescritto, e si sollecita in tal caso l’annullamento senza rinvio
della sentenza.
7. Nell’interesse di Gallico Italia Antonella- ritenuta responsabile del reato
associativo di cui al capo VV), del reato di cui all’art. 648 cod. pen, contestato ai
capi W), GG) ed all’art. 629 cod. pen., contestato ai capi MM) ed NN)- risulta
proposto ricorso personale e tramite difensore, i cui motivi verranno qui di
seguito esposti in maniera congiunta, stante la parziale identità dei rilievi. In essi
si deduce in particolare:
7.1. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 70-72 cod. pen. per non avere la Corte svolto un
accertamento peritale per verificare la capacità processuale dell’interessata,
affermata in mancanza di acquisizione di specifici elementi di fatto al riguardo;
7.2. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per
effetto del materiale ostacolo frapposto alla visione dei DVD depositati presso la
Procura, malgrado la formale autorizzazione;
7.3. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen in
relazione agli artt. 416 comma cod. proc. pen., 24 e 111 Cost, 178 lett. c) e 180

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t

cod. proc. pen. per mancato deposito dell’informativa di reato 03/07/2006 che
aveva originato l’iscrizione dell’autonomo procedimento n. 4508/2006 rgnr,
malgrado le reiterate e tempestive richieste formulate in tal senso; in
particolare, si ravvisa la connessione delle accuse di questo procedimento con
quelle riguardanti le indagini sugli appalti collegati alla realizzazione
dell’autostrada A3, nelle quali si individua l’origine della presente indagine, la cui

difesa;
7.4. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
relazione all’art. 271 cod. proc. pen. per l’illegittimità dei procedimenti
autorizzativi delle intercettazioni RIT 483/2008 nonché di quelle già richiamate
nell’esame della posizione Ficarra, giustificate sulla base delle medesime
argomentazioni, oltre che con l’utilizzazione di strutture a disposizione dei
privati, ai quali è stata demandata anche l’attività di ascolto, senza conferimento
della previa delega ad eseguire indagini di p.g.;
7.5. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 267 e 268 cod. proc. pen. quanto alla RIT 137/2006 (proc.
3020/2006 rgnr Procura Palmi) in quanto disposta da ufficio funzionalmente
incompetente nel periodo 21/12/2006-08/07/2007, data nel corso del quale il
procedimento era stato trasferito alla procura distrettuale di Reggio Calabria;
7.6. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
riferimento all’individuazione degli elementi di responsabilità per il reato
associativo, desunti dalla partecipazione della ricorrente a colloqui con il padre
detenuto, senza analizzare le argomentazioni contrastanti desumibili proprio
dalla captazione di tali colloqui, dai quali si evincono le minime richieste della
donna, relative alla ricerca di un lavoro, la mancata attività di aiuto da parte dei
parenti, pretesi sodali, l’estromissione della famiglia Gallico dalla spartizione
degli appalti per la realizzazione della A3, l’inconsistenza dei pretesi messaggi
dei quali la ricorrente avrebbe dovuto, in tesi di accusa, farsi latrice all’esterno;
l’immotivato superamento delle deduzioni formulate sulla base della trascrizione
delle conversazioni eseguite da consulente di fiducia, per riporre esclusivo
affidamento sulle opposte deduzioni della p.g., in mancanza di confutazione delle
difformi valutazioni, incertezza che aveva comportato anche difficoltà
nell’individuazione specifica del ruolo da attribuire all’interessata all’interno della
compagine;
7.7. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. quanto
all’affermazione di responsabilità per il reato di cui agli artt. 628 e 629 cod.pen.
di cui al capo MM), nella parte in cui non si è tenuto in alcun conto quanto riferito
11

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

conoscenza risultava necessaria per garantire il pieno esercizio del diritto di

dagli imprenditori presso cui sarebbe stato prelevato materiale senza
corrispondere il prezzo, oltre che le opposte ricostruzioni ricavabili dal contenuto
delle comunicazioni tra l’interessata ed il padre che specificamente si richiamano,
e per la mancata contestazione in fatto dell’aggravante speciale, di cui si esclude
anche la sussistenza nel concreto, concludendo per la possibilità di inquadrare i
fatti nell’appropriazione indebita, improcedibile per mancanza di querela;

relazione ai reati di cui agli artt. 56, 628 e 629 cod. pen. di cui al capo NN), nella
parte in cui la sentenza non ha considerato l’ignoranza dei fatti da parte della
donna, dimostrata nella conversazione intrattenuta con il padre sul punto, la
mancanza di elementi idonei a dimostrare l’effettivo contrasto economico
opposto dai Gallico all’attività imprenditoriale della parte lesa, e si conclude con
la possibilità di inquadrare la condotta dell’interessata nella connivenza non
punibile, oltre a contestare la sussistenza del metodo mafioso;
7.9. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
relazione all’affermazione di responsabilità per il delitto di ricettazione W), in
riferimento ai quali, al pari della già riconosciuta estraneità all’illecito della
sorella, doveva giungersi alla medesima soluzione in favore dell’interessata;
7.10. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per la
mancata qualificazione della fattispecie associativa ai sensi dell’art. 418 cod.
pen.
7.11. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
quanto alla determinazione della pena, che contiene un erroneo aumento anche
per il reato di cui al capo WW) per cui vi è stata assoluzione, ed al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche.
8. Nell’interesse di Gioffrè Vincenzo – condannato in relazione al reato di
cui all’art. 416 bis cod. pen. contestato al capo N) dell’imputazione- nel ricorso si
deduce:
8.1. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
ordine all’affermazione di responsabilità, poiché tratta da una serie di elementi
congetturali, inidonei a dimostrate la partecipazione dell’interessato all’illecito, in
quanto questi era legato ai Bruzzise da attività di lavoro che ben poteva
giustificare le minime partecipazioni ai fatti; si deduce che le conversazioni
valorizzate quali elementi di accusa mostravano la presenza di contrasti logici
con la contestazione, che i giudici di merito hanno valutato in maniera difforme o
delle quali non avevano svolto la dovuta analisi, con particolare riferimento alla
mancata considerazione del collegamento tra l’azione sollecitata al ricorrente, non mettere in moto l’auto- e la sua estraneità rispetto alla connessione operata
12

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

7.8. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in

nelle pronunce con la ricerca delle microspie sul mezzo; o la mancata
considerazione della sorpresa che risulta cogliere lo stesso interessato al
rinvenimento del nascondiglio usato per le armi, emerso nel corso di una
perquisizione da questi seguita, in quanto realizzata dalle forze dell’ordine
durante lo svolgimento a sua cura dell’attività lavorativa lecita demandatagli,
deduzione in relazione alla quale non vi è stata confutazione specifica. Si
contrasta inoltre la valenza attribuita nella pronuncia al pericolo di ritorsione in

danno dell’interessato, che non può costituire sintomo chiaro di appartenenza al
gruppo illecito, essendo ben note le possibilità di atti ritorsivi trasversali nei
confronti di meri collaboratori del gruppo illecito, mentre la condotta da lui
realizzata ben poteva tendere alla tutela del suo datore di lavoro,
nell’inconsapevolezza della sua funzione all’interno della compagine;
8.2. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in
relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche;
8.3. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. con
riferimento all’individuazione della pena base per il delitto associativo, come
determinata dal di 23/07/2008 n. 192, convertito nella I. 24/07/2008 n. 125,
sull’erroneo presupposto della permanenza della condotta fino alla data della
pronuncia di primo grado, quando gli elementi in atti consentono di affermare la
presenza di un richiamo all’azione dell’interessato solo fino al maggio 2007, con
esclusione quindi dell’applicazione della disciplina sanzionatoria più gravosa, per
effetto dell’art. 2 cod. pen.
9. Per Iannino Giulia – ritenuta responsabile del reato associativo di cui al
capo VV) nonché dell’imputazione di ricettazione di cui al capo WW)- è stato
proposto ricorso dal difensore, nonché impugnazione personale, atti con i quali si
deduce:
9.1. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. con
riferimento alla violazione degli artt. 415 bis e 419 comma 2 cod. proc. pen., 24
e 111 Cost, quale conseguenza del mancato accesso alla visione dei DVD
secondo quanto già illustrato sub 7.2. ;
9.2. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. con
riferimento all’intervenuta valutazione degli indizi dei reati ritenuti sulla base
dell’analisi delle captazione ambientale di conversazioni intercorse tra terzi,
valutate in assenza di elementi di riscontro sulla veridicità delle affermazioni,
oltre che sulla tenuta logica delle interpretazioni offerte, omettendo la
considerazione delle discrasie interpretative evidenziate dalla trascrizione
effettuata su istanza della difesa, ritenendone, in maniera apodittica, l’irrilevanza
per la parte di pertinenza rispetto al tema di indagine, quando il complesso delle
13

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

s(f

conversazioni portava a smentire la natura del ruolo di contabile e postina
attribuito all’interessata. Si segnalano le specifiche discrasie interpretative sulla
base delle quali si poteva escludere l’attribuzione all’interessata del ruolo
richiamato, che attestano la natura impropria ed accidentale della richiesta di
versamento di somme effettuata presso la Iannino; le interpretazioni soggettive
che non tenevano conto né del significato delle frasi captate, né delle ragioni di

Stato a titolo di riparazione per ingiusta detenzione del marito, che aveva
animato le richieste di prestito da parte dei componenti della famiglia.
Anche la ricettazione risulta estranea all’attività della compagine illecita,
non essendo stata contestata l’aggravante. In proposito il ruolo di necessario
tramite dei proventi illeciti attribuito alla donna, a causa dello stato di latitanza
del marito, non tiene conto che tale condizione egli viveva nella casa familiare,
circostanza che esclude la necessità dell’intermediazione. Per contro i tempi
ristretti intercorrenti tra l’arresto del marito della ricorrente e la visita di questa
in cui si parla nella lettera trasmessa suo tramite a Gallico Carmelo, rendeva
necessario l’uso del servizio postale per la trasmissione e conseguentemente
neutra la sua pretesa funzione di postina, materialmente svolta dal figlio, oltre
che irrilevanti tali cautele, posto che nel periodo in esame l’interessato non era
sottoposto a controllo della corrispondenza.
Nel ricorso personale si lamenta un travisamento della prova attinente ad
un preteso passaggio di messaggi attraverso la consegna di cioccolatini, che
risulta smentita dalla visione del relativo filmato; si richiama la natura lecita della
condotta della donna, in ordine alla programmata apertura di un’attività di
ristorazione all’interno di una scuola, in relazione alla quale ella lamentava la
mancanza di denaro disponibile, che smentiva il suo ruolo di contabile.
Con ulteriore atto personale depositato nei termini per la proposizione del
ricorso l’interessata, oltre che richiamare le deduzioni già svolte, segnala
l’illogicità della ricostruzione della Corte che ritiene di desumere dal risentimento
emergente dalle conversazioni intercettate la natura illecita del credito,
disattendendo massime di esperienza che consentono di rapportare tali
atteggiamenti anche a ragioni creditorie pienamente lecite.
Si lamenta inoltre la mancata considerazione della sussumibilità delle
condotte ascritte nel reato di cui all’art. 418 cod. pen;
9.3. si rileva inoltre violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.
proc. pen quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche con
determinazione di prevalenza.

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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

credito familiare, in occasione di eventi particolari, né dell’introito percepito dallo

9.4. Con memoria depositata oltre la scadenza del termine per impugnare
l’interessata solleva una serie di rilievi in relazione alla sentenza di primo grado,
producendo memoria depositata nel giudizio d’appello, in relazione alla quale
assume omessa la motivazione nella sentenza impugnata.
9.5. Con ulteriore atto in pari data l’interessata illustra l’eccezione relativa
alla mancata conoscenza del contenuto dei DVD; formula eccezione di

procura, secondo quanto già espresso dai coimputati nei loro ricorsi; lamenta la
mancata confutazione di specifiche doglianze svolte con memoria depositata nel
giudizio d’appello con riferimento al contenuto dei filmati; fornisce una
spiegazione del debito contratto con la cognata Lucia, di cui aveva dato conto
nella memoria depositata all’udienza 04/11/2013, che non risulta analizzata dal
giudice territoriale, e giustifica la mancata allegazione di tali circostanze nel
corso dell’interrogatorio, in ragione del tempo trascorso dai fatti.
9.6. Con memoria depositata il 16/06/2015 l’interessata rileva che nelle
more è sopraggiunto accertamento di responsabilità penale per il delitto
associativo in danno dei figli, nel corso del cui processo è emerso l’atteggiamento
della donna che li aveva invitati a tenere una condotta ampiamente collaborativa
con le forza dell’ordine, che mal si concilia con l’omertà tipica delle compagini a
carattere mafioso, ed aveva osteggiato i contatti dei figli con altri associati,
atteggiamento in linea con quanto emerso in questo procedimento in cui, fin
dall’inizio delle indagini, la donna aveva reso le sue dichiarazioni agli inquirenti,
non avvalendosi della facoltà di non rispondere.
Richiama inoltre il suo mancato coinvolgimento nella gestione e
distribuzione del denaro del gruppo illecito, avendo ricevuto dal marito solo
quello che riteneva proveniente dagli investimenti riguardanti la somma da
questi percepita a titolo di ristoro per ingiusta detenzione, e sottolinea che
nessun riferimento alla sua persona emerge dalle intercettazioni, posto che
anche quando i loquenti si riferivano a lei, ciò avveniva per evitare di citare il
marito latitante, secondo una cautela comune a coloro i quali erano sottoposti a
controlli, con la conseguenza dell’inattendibilità dei riferimenti svolti dalla
suocera, che in ogni caso si riferiva a circostanze apprese da terzi.
10. Nell’interesse di Santaiti Gaetano Giuseppe -ritenuto responsabile del
reato di cui all’art. 371 ter cod. pen, aggravato ai sensi dell’art. 7 di 13/05/1991
n. 152 convertito nella I. 12 luglio 1991 n.203- la difesa deduce
nell’impugnazione proposta:
10.1. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
quanto alla mancata applicazione dell’esimente dello stato di necessità, anche
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

inutilizzabilità delle intercettazioni, per essere state effettuate fuori dall’ufficio di

nella sua forma putativa, malgrado l’illustrazione di tutti gli elementi di fatto a
sostegno dell’assunto; si lamenta inoltre l’omessa considerazione dell’intervenuta
ritrattazione delle dichiarazioni false, e della causa di non punibilità di cui all’art.
376 cod. pen., a nulla rilevando la mancata sollecitazione al riconoscimento di
tale condizione, contenuta in atto di appello, in quanto, per l’effetto devolutivo, il
gravame di merito può essere accolto anche per motivi diversi da quelli

formatosi per effetto dei diversi motivi proposti;
10.2. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. sulla
sussistenza dell’aggravante speciale;
10.3. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. sulla
mancata applicazione delle attenuanti generiche, avvenuta senza considerare le
circostanze che, ai sensi dell’art. 133 cod. pen. consentivano nella specie il
contenimento della pena.
11. La difesa di Sgrò Rosario -ritenuto responsabile del reato associativo
di cui al capo VV)- nel suo ricorso deduce:
11.1. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., con
riferimento alla valutazione degli elementi di prova della partecipazione al reato
associativo, quanto all’individuazione dell’apporto offerto dall’interessato e della
sua finalizzazione all’aiuto della compagine e non di singoli componenti, tratti da
conversazioni intercorse tra terzi, rispetto al cui contenuto si era ricostruita una
conoscenza del tutto risalente di vicende riguardanti gli affiliati, e si era attribuita
l’intestazione fittizia di beni riconducibili al gruppo, intervenuta molti anni dopo,
attività che appariva illogica, all’atto in cui doveva tendere ad allontanare tale
azione dai suoi componenti, mentre risultano non correttamente individuati i
beni che si assumono oggetto di tale pretesa fittizia intestazione, in forza delle
indicazioni emergenti al riguardo, e nessuna dimostrazione è stata fornita con
riferimento all’elemento su cui si fonda l’accusa, riguardante il ritorno delle

prospettati, non essendo precluso dal giudicato sulla responsabilità, non

somme ricavate dalla gestione di tali beni nelle casse dei componenti del gruppo;
11.2. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
riguardo alla mancata confutazione della prospettazione di riqualificazione dei
fatti ai sensi dell’art. 12 quinquies dl. 08/06/1992 n. 306 convertito nella I.
07/08/1992 n. 356, aggravato ai sensi dell’art. 7 cit., diretta conseguenza della
mancanza di concretezza di quanto difformemente ritenuto nella pronuncia
impugnata.

16

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

4–

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi del P.g. nonché quelli proposti nell’interesse di Cedro, Gallico
Italia Antonella, Gioffrè Vincenzo, Iannino Giulia, Santaiti Gaetano Giuseppe e
Srgò Rosario sono inammissibili, mentre quelli proposti nell’interessere di
Ficarra Antonino e Ficarra Roberto, nonché di Gallico Domenico devono essere
rigettatp; solo il ricorso formulato nell’interesse di Dinaro merita parziale
accoglimento, nei termini sotto specificati.

espositiva e di sintesi, premettere i criteri di valutazione sulla sussistenza del
reato associativo. In proposito si deve chiarire che la prova della partecipazione
alla compagine territoriale illecita deve fondarsi sulla verifica della rapportabilità
all’accusato di una consapevole e radicata attività funzionale al raggiungimento
degli scopi sociali, che può trarsi dalla constatata assunzione dell’impegno -come
nell’ipotesi di prove della formale affiliazione-, o dalla dimostrazione della piena
partecipazione ai reati fine, modulata sulla base di una predeterminata
ripartizione degli incarichi conferiti all’interno della compagine, tale da far
ritenere indefettibile, per un determinata attività, l’intervento dell’associato, il cui
venir meno imporrebbe una difforme organizzazione del gruppo. Solo la ricerca e
l’individuazione di tali elementi concreti possono consentire di ravvisare gli
estremi della condotta partecipativa, permettendo la delimitazione e tipizzazione
di fattispecie che, in caso contrario, potrebbero facilmente confondersi con
l’attribuzione di ruoli estemporanei nell’ambito di un determinato ristretto
contesto sociale, nel quale è fisiologico che si manifestino attività di sostegno
reciproco, sulla base delle frequentazioni e convenienze, che, qualora muovano
nel segno della chiara consapevolezza della finalità essenziale dell’intervento
rispetto ad un gruppo al quale si è estranei può configurarsi nella fattispecie del
concorso esterno, ed, in assenza di tale estremo, ove non sfocino in attività
autonomamente illecite, possono anche risultare privo di rilievo penale.

1.1. Appare preliminarmente necessario, per ragioni di organicità

Invero, è nota la differenza tra l’appartenenza ad un gruppo mafioso,
quale elemento legittimante l’emissione di una misura di prevenzione (in
argomento Sez. 6, n. 9747 del 29/01/2014, Romeo, Rv. 259074), e la più
caratterizzata condotta di partecipazione, presupposto dell’accertamento di
responsabilità per il reato contestato, che sul piano oggettivo richiede per la
verifica della sua consumazione l’individuazione di un ruolo stabile, anche di
natura dinamica, cioè variabile in relazione alle singole emergenze e non
necessariamente da solo integrante una condotta illecita, ma che riveli sempre la
correlazione diretta dell’azione del partecipe al perseguimento degli scopi sociali
e la sua indefettibilità per il raggiungimento di tale obbiettivo.

17

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015 4…..–

È inoltre pacifico che la consumazione del reato fine possa essere
rivelatrice della natura organica della collaborazione, ove si sviluppi all’interno
del più ampio disegno, ed emerga con chiarezza dalla modalità di realizzazione
degli eventi, non potendo questa esaurirsi e coincidere con l’ambito attuativo del
singolo reato, ove non ne possegga gli specifici elementi caratterizzanti.
Deve rimarcarsi inoltre che l’appartenenza al medesimo gruppo familiare

dell’accertamento di responsabilità, la verifica degli elementi dimostrativi ulteriori
sullo svolgimento di specifiche attività funzionali alla sussistenza del gruppo;
invero, la massima di esperienza che consente di ravvisare la ricorrente
correlazione tra vincolo familiare ed associativo non è idonea da sola a fornire la
prova, secondo i criteri previsti dagli artt. 111 Cost. e 546 cod. proc. pen. della
costante ed imprescindibile correlazione tra azione del singolo ed attività
programmata dal gruppo, e soprattutto il collegamento funzionale della prima
alla seconda.
Per definire la condotta partecipativa deve, conseguentemente, in primo
luogo farsi riferimento alla descrizione dell’azione contenuta nel capo di
imputazione, che conferisce concretezza alla fattispecie descritta nella norma
incriminatrice, collegandola agli elementi risultanti dalle indagini prima, ed
all’istruttoria che li confermi poi, per verificare se gli episodi ivi considerati
rivelino la caratteristica della stabile e consapevole collaborazione, finalizzata al
raggiungimento degli scopi del gruppo.
Alla luce di tali essenziali caratterizzazioni andranno valutati gli elementi
contestati nelle impugnazioni proposte, che hanno condotto la Corte d’appello a
negare -nel caso di Gallico Lucia, Gallico Maria Antonietta e Sgrò Carmelo- o ad
affermare, negli altri casi, la responsabilità dei singoli per il reato associativo.
2. I ricorsi formulati dall’accusa risultano tutti caratterizzati dalla
sollecitazione ad una difforme analisi di merito, esclusa dall’ambito di cognizione
di questa Corte.
2.1. In particolare, con riferimento al reato di estorsione contestato al
capo BB) a Gallico Lucia, ›ki cui è attribuito nella condotta attuativa il ruolo di
istigatrice, si lamenta la mancata considerazione di alcune espressioni della
donna, emergenti dalle intercettazioni, dalle quali dovrebbe desumersi la qualità
del suo intervento al riguardo, ed il travisamento della prova rispetto a tali
risultanze. La lettura del complesso argomentativo del provvedimento impugnato
evidenzia in senso opposto che, proprio con riferimento alla decisione iniziale
riguardante la realizzazione della condotta, che secondo la contestazione
esaurisce il ruolo della donna, risulta accertato un dato differente, all’atto in cui è
18

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

può costituire indizio dell’attività di partecipazione, ma richiede, al fine

stato individuato, in forza dei contenuti dei colloqui intercettati, il primo
momento determinativo dell’azione, costituito dalla scelta del luogo del rinfresco
per i festeggiamenti del suo matrimonio in esercizio gestito da persona che
aveva già dimostrato di poter subire la richiesta; scelta operata da Gallico
Giuseppe, che l’impose alla figlia, secondo quanto da questa illustrato in
argomento.

circostanze di fatto di segno opposto riguardanti la genesi dell’azione, ma con la
contestazione della sottovalutazione di elementi sopraggiunti, nel corso della
definizione della richiesta estorsiva, rispetto ai quali la condotta dell’interessata,
a tutto concedere, si atteggerebbe diversamente rispetto all’attività di istigazione
configurata nel capo di imputazione. Il dato di fatto, che la pronuncia ricava da
uno specifico elemento di prova non contestato dall’impugnante, risulta
0.6> toj
dirimente 15lVft
cui impone rdi escludere per la Gallico proprio il ruolo
concorsuale attribuitole nel capo di imputazione, sicché la sua partecipazione alla
definizione dell’accordo economico illecito, desumibile dalle ulteriori
conversazioni, non risulta connesso alla contestazione formulata, e rimane
esclusa dalla stessa ricostruzione accusatoria l’individuazione di ogni ulteriore e
diversa forma partecipativa.
Conseguentemente, risultando fondata l’impugnazione sul preteso
travisamento di circostanze non dirimenti al fine di tratteggiare la figura della
determinatrice del reato, senza confrontarsi con quanto in senso opposto
espresso nella sentenza impugnata, deve escludersi l’ammissibilità
dell’impugnazione per difetto di specificità.
Nello stesso senso deve concludersi anche per quel che attiene alla
contestazione associativa, il cui elemento caratterizzante, sulla base
dell’impostazione accusatoria, è costituito dall’attribuzione alla donna della
funzione di postina rivestita nel corso delle comunicazioni da lei assicurate
presso la struttura carceraria durante le visite al padre Giuseppe, detenuto.
In riferimento a tale imputazione la sentenza di primo grado aveva
ravvisato una serie di elementi significativi nel contenuto delle conversazioni
captate, ricavandone la piena compenetrazione della donna nell’illecito, sulla
base di interventi da questa dispiegati nel corso dei colloqui afferenti a particolari
condotte attuative del proposito criminoso.
In senso opposto la sentenza impugnata ha escluso dal complesso
probatorio ritenuto rilevante al fine della dimostrazione di tale attività di
partecipazione, in maniera argomentata e critica, la consistenza di alcune di
queste conversazioni, sottolineando lo scarso significato degli interventi
19

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

Tale dirimente osservazione non risulta superata con l’allegazione di

assicurati in argomento dalla donna -come avvenuto nel caso del richiamo ad un
episodio omicidiario, nel corso del quale questa si era limitata a pronunciare la
frase “ecco qua”, cui era stata attribuita la consapevolezza antecedente del dato,
inluogo
luogo,
M-4, come ritenuto dalla Corte, igfastidio per l’avvenuto richiamo a tali

i

incresciose circostanze trascorse-, ed ha successivamente riconsiderato il
complesso delle risultanze, per giungere ad un giudizio di insufficienza del dato
probatorio, al fine della dimostrata partecipazione.
In particolare, risulta irrilevante per le conclusioni raggiunte sulla

I

dimostrazione dell’istigazione nel reato di cui al capo BB) e WW) -accusa
quest’ultima per cui l’interessata ha ottenuto l’assoluzione in grado di appello
divenuta definitiva, in assenza di impugnazione- richiamare tale condotta quale
dimostrativa della partecipazione poiché, escluso il concorso nel reato, come
contestato, non può desumersi dalle azioni ivi considerate la conferma della
partecipazione all’associazione, soprattutto nei termini in cui questa deve
correlarsi con l’accusa nella forma contestata, riferita esclusivamente alla
funzione di tramite delle notizie da veicolare al padre per consentirgli il
permanere della vitalità all’interno dell’associazione, ostacolata dalla detenzione.
Si evidenzia poi l’incongruenza di voler ritrarre tale funzione da specifiche
conversazioni nel corso delle quali ella mostra di essere al corrente di quanto
accade, ma risulta ascoltatrice di discorsi dei partecipanti al colloquio, e
manifesta, anche nelle affermazioni espresse in quei contesti, l’estraneità
all’approfondimento delle dinamiche che li giustificano, sottese alle scelte del
gruppo, concludendo sul punto che proprio la natura del legame familiare, e
conseguentemente la contiguità da questa derivante, non permette di ravvisare
in tali generiche risultanze la certa configurazione di una partecipazione, con i
connotati della condivisione del progetto del gruppo, organicità ed indefettibilità
della funzione svolta dall’interessata.
Rispetto a tale complesso valutativo organico, che non poggia sulla
contrapposizione critica alla determinazione del primo giudice, ma su di una
ragionata analisi e giustificata difforme selezione del portato probatorio,
l’impugnante contesta le conclusioni di scarsa significatività degli elementi residui
raggiunte dalla Corte, mostrando di ritenerne la loro forza autonoma, e non si
confronta con il giudizio operato dalla Corte territoriale sul complesso valutativo
posto a base della decisione di primo grado, così evidenziando che in questa fase
si sollecita una censura sulla valutazione, non sulla sua argomentazione, con
deduzione inammissibile, in conseguenza dei già richiamati ambiti del presente
giudizio.

20

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

0– –

Con più specifico riferimento al denunciato travisamento della prova, con
riferimento alle trasferte assicurate dalla donna per trasmettere gli ordini
paterni, si deve osservare che la sentenza impugnata si occupa specificamente di
tale ricostruzione, evidenziandone l’ambiguità all’atto in cui il viaggio si svolgeva
unitamente ad altro componente del gruppo, cui poteva essere autonomamente
rimesso il compito di diffusione delle informazioni, e vi era una diversa ragione,

partecipazione di nozze, che potendo giustificare in chiave alternativa lo scopo
del viaggio, unitamente all’ambiguità sulla necessarietà della partecipazione, non
consentiva di trarre dagli elementi acquisiti dati univoci di responsabilità.
A fronte di tale specifica valutazione non è consentito ricorrere alla figura
del travisamento della prova, stante la natura non diretta del dato ricavabile
dalla stessa, ma valutativa, sulla quale si è ampiamente espresso il giudice
territoriale.
2.2. e 2.3. Alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riguardo
all’assoluzione dall’ipotesi associativa di Gallico Maria Antonietta e Sgrò Carmelo.
Si deve ricordare che, come è dato ricavare dalla ricostruzione in atti, anche alla
sorella di Gallico Giuseppe ed al figlio Sgrò Carmelo, che vivevano all’epoca a
Sanremo, è attribuita quale elemento indicativo della loro partecipazione
all’ambito associativo la disponibilità alla veicolazione di messaggi dall’interno
della struttura carceraria verso gli accoliti esterni, e si richiama in entrambi i casi
la conferma della concretezza di tale ruolo alle specifiche condotte realizzate in
esecuzione dei reati fine, per i quali entrambi hanno riportato assoluzione
definiva, per effetto della mancata impugnazione della pronuncia al riguardo.
Anche in relazione alla loro posizione la Corte analizza tutti gli elementi di
segno opposto rispetto alla partecipazione, così come tratteggiata dall’accusa,
analisi con la quale l’impugnazione non si confronta, reiterando la lettura
accusatoria delle emergenze, così proponendo una intepretazione alternativa dei
fatti, che veicola una sollecitazione ad una nuova valutazione di merito non
consentita nel giudizio di legittimità.
In particolare, rispetto alla posizione di Gallico Maria Antonietta, sorella
del detenuto Giuseppe, che si recava da questi, in tesi d’accusa, per garantire il
collegamento con i componenti all’esterno della cosca e la vitalità della stessa,
nella sentenza si richiama la natura saltuaria delle sue presenze nella struttura
carceraria -quattro volte nel periodo monitorato pari ad un triennio- la mancanza
di indicatori specifici di una sua attività all’interno della compagine, di cui
pacificamente conosceva le dinamiche e gli sviluppi, circostanza che, stante i
vincoli parentali e personali tra i sodali, non risulta dimostrativa di
21

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

per lo meno formale, di tale viaggio, costituito dalla diffusione della

coinvolgimento nell’illecito’ mentre, con riferimento alla programmazione di
specifiche condotte attuative del proposito criminoso, quale ad esempio l’azione
di estorsione programmata, ma poi non realizzata, ai danni di Morgante, si
ett domta,

evidenzia chejes9
(q9si limita a venire a conoscenza di un programma già
delineato dal fratello detenuto, e ad assicurargli la partecipazione del figlio quale
possibile intestatario del mezzo, e del nipote che, presenti ai fatti, non avevano

quella fase riguarderebbe, a tutto concedere, un’adesione morale, di nessuna
valenza causale rispetto all’evento, anche nel suo aspetto dimostrativo
dell’esistenza dell’accordo illecito.
Nello stesso senso la sentenza conclude rispetto all’ulteriore dato
indicatore della partecipazione, costituito dalla disponibilità all’ospitalità del
nipote presso la sua abitazione in Sanremo, per effetto del rischio di ritorsioni
subito dal giovane in quel momento. Invero, la piena conoscenza delle dinamiche
di gruppo che generavano quel pericolo non è indicativa della partecipazione
all’associazione, poiché l’intervento assicurato è giustificabile anche per effetto
del legame di sangue, che può costituire un sufficiente presupposto delle
confidenze acquisite al riguardo, mentre la riconosciuta ospitalità poteva
correlarsi ad un’azione associativa solo se funzionale, più che alla protezione
fisica del ragazzo, alla garanzia di conservazione dell’attività dell’associazione per
i compiti a questi demandati, come segnalato nella sentenza impugnata,
elementi che non emergono in maniera univoca e diretta negli atti.
Quale considerazione di chiusura la pronuncia impugnata considera inoltre
la natura dubbia di una partecipazione agli utili da parte della donna della attività
familiare illecita, già sottolineata nella pronuncia di primo grado, generata da
una non costante ripartizione degli guadagni in favore del numero dei fratelli di
Giuseppe -sei- complessivi, sottolineando quanto già rilevato dal Gup per un
diverso episodio su cui fa luce la conversazione di Gallico Rocco, da cui si può
trarre che tale riparto viene effettuato solo in favore dei fratelli presenti sul
territorio, indicazione che svilisce la portata dimostrativa della precedente
conversazione, in ogni caso non sufficiente a sostenere la prova della condotta
partecipativa, in assenza di una specifica azione demandata al partecipe per
l’esecuzione di parte del programma criminoso. Rispetto a tale valutazione
complessiva, che muove dall’assenza di gravità e precisione degli elementi
indiziari, risulta generica la denuncia di una violazione dei criteri di cui all’art.
192 cod. proc. pen., in mancanza di una valutazione complessiva di tali elementi
che presuppone per l’appunto la verifica di tali qualità nei singoli elementi di
valutazione, per poi richiedere una considerazione della loro concordanza
22

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

alcuna necessità di tale mediazione; sul punto quindi il contributo fornito in

dimostrativa, presenza che, per quanto coerentemente espresso nella sentenza
sul punto, deve negarsi a monte sui singoli elementi; tale valutazione risulta
espressa in maniera argomentata e coerente, in relazione alla quale non possono
riconoscersi i vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. denuncianti.
Per quel che attiene allo Sgrò, dopo aver posto in dubbio che i riferimenti
del capo cosca detenuto Gallico Giuseppe alle comunicazioni da riportare

elementi di contorno che, va detto, non attengono allo specifico ruolo richiamato
nell’imputazione, ma riguardano la contiguità di questi al gruppo illecito, tanto da
portarlo, in uno specifico caso, riguardante la programmazione in proprio di
attività di smercio di stupefacenti, a chiedere l’appoggio di altro gruppo
territoriale, per il tramite dei Gallico.
Analizzando gli elementi richiamati nell’impugnazione deve escludersi la
specificità dei motivi con riferimento al vizio relativo all’erronea valutazione
indiziaria della partecipazione dei due imputati all’azione estorsiva ai danni di
Morgante quale sintomatica della partecipazione all’associazione, che lo stesso
capo di imputazione disegna in termini differenti, riferendosi non ad una
condotta di costante esecuzione delle attività illecite programmate, ma
esclusivamente con riferimento al passaggio di consegne dall’interno all’esterno
della struttura carceraria. La sentenza in proposito ha evidenziato la natura
isolata dell’azione eventualmente attribuibile agli interessati, di natura estorsiva,
programmata e non portata a termine, e la sua estraneità rispetto alla condotta
partecipativa tratteggiata nel capo di imputazione, attività rispetto alla quale
nulla risulta espresso in senso contrario nel ricorso, se non la sollecitazione ad
una diversa considerazione del dato storico ai fini indiziari, che si sostanzia in
una richiesta di rivalutazione del merito, e non affronta le argomentazioni
contenute in sentenza a sostegno della propria determinazione.
Nello stesso senso deve concludersi per quel che riguarda la denunciata
violazione di legge, con riferimento all’individuazione degli elementi costitutivi
del reato contestato. Se deve confermarsi che la partecipazione all’associazione
può desumersi da plurimi elementi, identificabili anche in facta condudentia,
rimane imprescindibile l’esigenza di verificare nel concreto che questi conducano
a dimostrare la funzionalità di tale collaborazione all’esistenza del sodalizio, tale
da poter attribuire ai suoi adepti un ruolo specifico, o in ogni caso una costante
partecipazione ad attività attuative, in un determinato contesto temporale e
spaziale, imponendolo il principio di tipicità dell’illecito penale. Tale tipizzazione
non può che correlarsi, come già sottolineato, a quanto indicato nel capo di

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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

all’esterno conferissero tale compito allo Sgrò, la sentenza analizza gli ulteriori

imputazione, sicché il ruolo in esso tratteggiato deve poi trovare specifica
conferma negli elementi di prova, o indiziari raccolti nel corso del giudizio.
Ciò premesso si deve osservare che anche nella tipizzazione della
condotta partecipativa relativa a Sgrò Vincenzo il capo di imputazione evoca
l’attività di collegamento di Gallico Giuseppe detenuto, con l’esterno,
richiamando poi l’aiuto offerto a Gallico Antonino, ed il tentativo di collegamento
con altra cosca locale per l’esercizio di un’attività illecita in tema di stupefacenti,
elementi da cui si trae la costante collaborazione al programma associativo.

ii
i

Rispetto agli indicatori della condotta partecipativa considerati il
denunciato travisamento della prova potrebbe configurarsi esclusivamente in
relazione alla funzione di collegamento necessario tra l’interno del carcere e
l’esterno attribuita allo Sgrò, ove idoneo a garantire la sopravvivenza del gruppo
durante la detenzione di uno dei suoi maggiori artefici, poiché gli ulteriori
elementi non risultano decisivi rispetto all’accusa.
In argomento la sentenza chiarisce il motivo per il quale circoscrive
l’incarico esplicitato da Gallico Giuseppe senza cautele, dinanzi al figlio ed al
nipote, come riferibile solo al primo, che nel complesso della conversazione
risulta il suo interlocutore privilegiato, e giustifica tale lettura sulla base della
natura circoscritta degli interventi assicurati da Sgrò all’interno della
conversazione, cosicché il giudicante valuta, sulla base dell’analisi complessiva
della conversazione, che altro sia la conoscenza e consapevolezza che Sgrò ha
avuto dell’incarico attribuito dal detenuto al figlio Antonino, altro sia l’intervento
diretto del primo nella veicolazione dell’ambasciata. Rispetto a tale ultimo
dirimente elemento l’impugnante, pur denunciando un travisamento della prova,
di fatto non indica da quale risultanza emerga la presenza del diretto intervento
dello Sgrò, esaurendosi il richiamo all’assenso da questi fornito alla
comprensione del messaggio da comunicare, di fatto spiegato in tutte i suoi
sviluppi al figlio Antonino, e nella conferma della sua trasmissione, ancorché
anche nella successiva occasione sia poi il figlio di Giuseppe a fornire dettagli
sulla realizzazione dell’incarico, cosicché ancora una volta non appare dimostrata
la funzione specifica svolta dallo Sgrò. Il richiamo ai minimi interventi di
quest’ultimo, effettuati nell’impugnazione, non risultano dirimenti nel senso di
offrire l’individuazione del ruolo dell’interessato, sicché rispetto ad essi non
appare possibile invocare il travisamento della prova, rinvenibile ove intervenga
l’attribuzione alle risultanze sul punto di un senso opposto a quello che emerge
dalla sua analisi testuale, nella specie non realizzata, stante la natura marginale
degli interventi effettuati al riguardo da Sgrò Carmelo nella comunicazione
rivelatrice, che non consente di fornire elementi dirimenti sulla consumazione a
24

Cassazione sezione VI, rg, 4732/2015

ci

sua cura della condotta partecipativa, o viceversa sulla presenza di una
conoscenza dei fatti, connessa al vincolo di parentela, ed all’occasionale presenza
nel corso dei colloqui con i familiari. Del resto, il richiamo effettuato nell’atto di
impugnazione a precedenti di questa Corte che conferiscono rilievo indiziante alla
presenza di vincoli familiari tra i sodali (Sez. 6, n. 35914 del 30/05/2001, Hsiang
Khe ed altri, Rv. 221246), non si confrontano con la necessità, richiamata anche

dimostrativi della partecipazione all’illecito, profili che nella specie sono stati
valutati non univoci, con determinazione coerente non contrastata
nell’impugnazione, cosicché ancora una volta sollecita una difforme valutazione
di merito delle risultanze poste a base della decisione.
In tal senso, la circostanza che l’imprenditore della zona si sia rivolto a
Sgrò per prendere contatti con i Gallico al fine di ottenere un recupero crediti
attraverso la loro organizzazione, non risulta univocamente rivelatrice di un
riconoscimento esterno della partecipazione al gruppo, potendo correlarsi ad una
consapevolezza del legame familiare, comunque esistente, sicché in mancanza di
approfondimento sullo sviluppo e grado di partecipazione all’azione da parte
dello Sgrò, correttamente la Corte territoriale risulta non aver conferito a tale
elemento univoca valenza indiziaria.
Nello stesso senso deve concludersi anche con riferimento al rilievo della
partecipazione dello Sgrò al tentativo di estorsione ai danni di Morgante,
arrestatosi ad una fase preliminare, che ha condotto all’assoluzione degli
imputati. Anche per questo episodio la sentenza analizza l’assenza di un ruolo
determinativo dello Sgrò sia nella fase iniziale, che nei tempi dell’intervento e
nella definitiva archiviazione del progetto, ed ha dedotto da ciò che la
disponibilità all’intestazione del mezzo da questi assicurata, in mancanza di
elementi sulla funzionalità della richiesta rispetto al programma associativo, non
potesse considerarsi rivelatrice della convergenza dell’intervento nella finalità
dell’associazione illecita il cui oggetto era la realizzazione delle estorsioni. Invero
emerge dalla ricostruzione contenuta in sentenza che l’acquisizione del mezzo
era funzionale a fornire a Gallico Antonino un pretesto per iniziare l’attività
lavorativa lontano dalla Calabria, condotta alla quale lo stesso non era
determinato, sicché la disponibilità all’intestazione da parte di Sgrò, sia pure di
un mezzo acquisito con attività estorsiva, non risulta chiaramente riconducibile
ad un progetto di radicata adesione al gruppo territoriale illecito; rispetto alla
mancanza di precisione e gravità del dato, per come analiticamente
argomentato, non è possibile contestare l’omissione dell’analisi di convergenza
di tale profilo con gli ulteriori elementi presi in considerazione nel
25

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015 0/

in quel contesto, che, oltre a quell’elemento, si individuino specifici elementi

provvedimento, che non si pongono in relazione con l’imputazione associativa
come tratteggiata.
La qualificazione dei fatti nel senso auspicato dall’accusa non può
discendere neppure dalla considerazione della richiesta di autorizzazione ad agire
nel campo degli stupefacenti in quel territorio, presso Gallico Rocco, secondo le
indicazioni fornite dal detenuto Giuseppe, in quanto tale modalità dà conto della

all’associazione, che per quanto detto dovrebbe trarsi solo sulla base della
condotta concreta tenuta in quel contesto, la cui illegittimità risulta esclusa dalla
pronuncia assolutoria, con argomentazione analitica rispetto alle specifiche
condotte realizzate ed alla loro correlazione con l’azione associativa ipotizzata.
L’espressione usata da Gallico Maria Antonietta nel corso della
conversazione con il fratello Giuseppe per riferirsi ai rispettivi figli “adesso ci
sono questi due figlioli” non esclude considerazioni di carattere personale, o
economico, alternative rispetto alle sorti della compagine, posto che la loro
portata indicativa risulta smentita anche dal concreto affidamento delle sorti del
gruppo, da parte di Giuseppe, ad altri due associati, mentre la correlazione delle
presenze dello Sgrò nelle strutture carcerarie ove erano presenti i due fratelli di
Maria Antonietta non è univocamente indicativa di un passaggio di consegne
funzionale alla vita associativa, all’atto in cui non è stata riscontrata dal concreto
contenuto dei colloqui.
3. Le censure formulate nell’interesse di Cedro Alberto non costituiscono
che la riproposizione dei medesimi argomenti contenuti nel gravame di merito, e
non considerano le specifiche argomentazioni fornite nella sentenza, che viene
conseguentemente criticata per la decisione, non per la completezza e coerenza
del proprio sviluppo motivazionale.
In particolare, nel provvedimento impugnato si argomenta in maniera
chiara l’individuazione, all’interno del richiamo al Cedro non meglio identificato di

conoscenza delle dinamiche economiche di quel territorio, non dell’adesione

cui si parla nella conversazione intercettata, il motivo per cui colui il quale ha
rapporti con Gallico sia proprio l’odierno ricorrente, in ragione della carica sociale
rivestita all’interno della compagine nel periodo di riferimento, che esclude che
qualsiasi decisione afferente alla società ed ai suoi rapporti economici potesse
avvenire a sua insaputa, come del resto confermato dallo stesso interessato, che
non ha mai riferito di una qualifica fittizia ed aver inoltre confermato pregressi
rapporti con i Gallico, attribuiti a causali fumose e non dettagliate.
Sotto questo profilo quindi, la sentenza risulta in maniera coerente aver
dato conto del suo percorso argomentativo mentre la mancata sottoposizione ad
indagine di un terzo componente della famiglia, pur identificabile con il
26

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

i-

medesimo cognome risulta irrilevante, in quanto l’accertamento deve riferirsi
esclusivamente alle persone sottoposte ad indagine, e l’impugnazione non
esplicita neppure la condivisione da parte del fratello non indagato delle
responsabilità gestionali, che potrebbero giustificare un suo contatto diretto con i
Gallico, e quindi escludere la natura non veritiera delle dichiarazioni versate in
atti dall’odierno ricorrente, cui è stata attribuita la funzione di favoreggiatore.

intercettazioni conferme dei versamenti effettuati dal titolare della società in
favore della cosca territoriale, non si confronta con il contenuto delle pronunce di
merito sul punto, che danno ampiamente conto della certezza ricavata dai
conversanti sull’introito proveniente dalla società, che concorre, unitamente agli
elementi di fatto già esposti, a definire gli elementi costitutivi del reato ritenuto.
4.1. Anche le accuse nei confronti di Dinaro muovono dall’analisi delle
risultanze di intercettazioni ambientali, dalle quali è dato ricavare la
preoccupazione nutrita da Gallico Italia Antonella e dal padre detenuto
sull’andamento degli affari della lavanderia da loro posseduta, e sull’acquisizione,
da parte di ditta concorrente, della commessa della pulizia della biancheria in uso
alle imprese che aveva vinto l’appalto per la realizzazione del tratto autostradale.
Connessi i due elementi di fatto, il capo della cosca, preoccupandosi di
risolvere la riscontrata difficoltà, si informa sulla provenienza territoriale del
concorrente, disponendo poi l’intervento di una persona del posto, identificato
nel Dinaro, incaricata di convincere il primo a cedere la commessa, richiesta che
non sortisce risultato in quanto l’imprenditore oppone un rifiuto, giustificato dalla
necessità di mantenere l’appalto, in quel momento vitale per la funzionalità
dell’azienda.
L’eccezione procedurale attinente all’intervenuta utilizzazione al fine di
decidere di trascrizioni delle conversazioni disposte in diverso procedimento, in
assenza del contraddittorio con l’interessato, non è fondata.
Come esposto in narrativa la difesa contesta che, con riguardo
all’intercettazione ambientale del 16/01/2007 la Corte si sia avvalsa di una
trascrizione peritale disposta in diverso dibattimento, celebrato in assenza
dell’interessato ed acquisita ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., e fa discendere
da tale attività una violazione del diritto di difesa attinente alla prova utilizzata.
In realtà, ricordato che della medesima conversazione esistevano ben tre
trascrizioni, una svolta dalla p.g., la seconda dal consulente del p.m., e la terza
proveniente dalla difesa, e che solo quest’ultima contestava uno specifico punto
riguardante l’espressione che aveva condotto all’identificazione della persona
nominata con l’interessato, la Corte ha ritenuto di acquisire ex art. 603 cod.
27

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

Le ulteriori deduzioni, riguardanti l’impossibilità di ricavare dalle

proc. pen., la trascrizione della medesima conversazione svolta nel diverso
procedimento, al fine di ottenere un ulteriore elemento per dirimere il dubbio
sull’attendibilità di quanto già acquisito.
Risulta inoltre che, attraverso tale acquisizione sia stata confermata la
correttezza delle due trascrizioni acquisite al fascicolo del P.m., in quanto
coincidenti con le nuove risultanze, permanendo rispetto a tale lettura l’unico

all’inaffidabilità di tale elemento, la cui mancanza di coincidenza con quanto
accertato dalle precedenti trascrizioni era limitata all’identificazione del terzo cui
i conversanti facevano riferimento -Totò di Palmi, in luogo che Totò Dinaro- si
sono espressi in maniera conforme i giudici di merito, dando conto del successivo
ripensamento del consulente della difesa, che aveva ammesso di essersi fatto
condizionare, nel fornire la prima lettura, mentre manca qualsiasi indicazione di
ulteriori dati di incertezza, elemento di fatto che denota la sostanziale superfluità
del dato acquisito, quale ulteriore cautela interpretativa, dal diverso
procedimento.
Inoltre si deve rimarcare che, se è pacifico che la difesa abbia diritto alla
controprova nell’ipotesi di rinnovazione istruttoria disposta ex art. 603 cod. proc.
pen. è altrettanto pacifico che le trascrizioni non costituiscano prova (da ultimo
cfr. Sez. 6, n. 15912 del 28/01/2015, Palermita e altro, Rv. 263120), tali
essendolo esclusivamente le bobine, sicché lo svolgimento di una nuova perizia
nel dibattimento di appello non costituiva una scelta obbligata, in funzione del
rispetto del diritto al contraddittorio sulla prova, dovendosi a tal fine esplicitare
quale ulteriore ragione, al di là di quella formale, giustificasse tale sollecitazione,
ragione che nei fatti non risulta espressa, né appare facilmente comprensibile, a
fronte dell’intervento di ben quattro accertamenti sullo stesso oggetto.
Si deve da ultimo ricordare in fatto che la richiesta di acquisizione
integrale delle trascrizioni formulate in dibattimento proveniva dagli appellanti
(fg 55 sentenza di secondo grado), e rispetto a tale richiesta omnicomprensiva
la Corte ha limitato l’acquisizione alle conversazioni il cui contenuto era più
discusso, circostanza che esclude l’esercizio di qualsivoglia approfondimento di
ufficio, che potesse, anche in linea teorica, suggerire il diritto ad una
integrazione istruttoria in favore della parte.
Non è fondata in fatto l’eccezione riguardante l’esclusione non motivata
dal novero degli elementi valutabili al fine di decidere della consulenza della
difesa, in quanto tale scelta è stata operata sia in forza della riscontrata
coincidenza di accertamenti provenienti aliunde, eseguiti in via autonoma da
diversi trascrittori, che in ragione dell’avvenuta ritrattazione da parte del
28

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

elemento dissonante, costituito dalla consulenza della difesa. Peraltro, rispetto

consulente della difesa della validità della difforme identificazione della persona
di cui parlavano i conversanti, acquisizione che costituisce causa preliminare
dirimente dell’inattendibilità del dato offerto, che illustra chiaramente
l’infondatezza dell’eccezione sulla pretesa assenza di giustificazione della scelta
interpretativa del giudicante.
4.2. Risultano infondati i motivi proposti con riferimento all’imputazione di

conversazioni tra Gallico Giuseppe, detenuto, ed i componenti del suo nucleo
familiare, dalle quali è dato ricavare che il primo, venuto a conoscenza della
contrazione degli introiti dell’esercizio dell’attività di lavanderia, e compresa
l’intervenuta acquisizione della remunerativa commessa del lavaggio della
biancheria del cantiere autostradale da parte di un concorrente di Melicuccà,
officia Dinaro Antonio, tramite i suoi familiari, di prendere contatti con il titolare
della ditta concorrente. Il complesso delle comunicazioni, e di quanto affermato
dalla parte lesa Rossiello, ha condotto a ritenere eseguita l’ambasciata da parte
di Dinaro, nella consapevolezza dei suoi contenuti, ancorché ne sia stata desunta
l’improduttività di effetti.
La contestazione svolta in questa sede censura la non corretta
applicazione dei criteri valutativi degli indizi,(cui all’art. 192 cod. proc. pen., con
particolare riferimento all’illegittima svalutazione dell’efficacia dimostrativa delle
dichiarazioni raccolte con le indagini difensive acquisite presso Rossiello, in epoca
successiva alla sua audizione da parte degli inquirenti, oltre che al ragionamento
probatorio, fondato su una ricostruzione di probabilità, in luogo che di certezza,
degli elementi di responsabilità.
L’esame del provvedimento impugnato esclude la presenza dei vizi
lamentati, che risultano mirati più alla critica delle modalità espressive contenute
nella sentenza, che al suo contenuto. In particolare, gli elementi di responsabilità
sono stati tratti dalla convergenza degli elementi ricavabili dalle intercettazioni
delle conversazioni e da quanto ha riferito alla p.g. nel corso delle indagini il
Rossiello. Dalle prime risultanze emerge un’affermazione di Dinaro, che Gallico
Antonino riferisce al padre Giuseppe, circa la natura della parte lesa, che non
garantiva la riuscita dell’intervento in quanto “è un mezzo sbirro” precisazione
priva di senso, in mancanza di una consapevolezza da parte del Dinaro della
natura dell’ambasciata.
Allo stesso tempo infondata è la censura attinente alla valutazione delle
dichiarazioni di Rossiello, poiché la sentenza ha dato conto, con motivazione
logica, della maggiore attendibilità di quanto da questi riferito dinanzi agli
inquirenti, sul secondo incontro avuto con Dinaro nel corso del quale questi
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

tentata estorsione. Entrambe le sentenza di merito danno conto della presenza di

avrebbe tentato di fargli accettare una rinuncia alla commessa circoscritta ad
una parte del territorio da questi servito. L’esame sul punto invero non si è
esaurito nel richiamo ad una minore valenza delle dichiarazioni rilasciate al
difensore, ma si è snodato attraverso l’analisi della genesi delle affermazioni;
della loro natura circostanziata ed inutilmente limitativa dell’ingerenza di Dinaro,
nell’ipotesi di accusa calunniosa; della convergenza tra quanto da questi

conversazioni intercorse sull’argomento tra padre e figlio Gallico nel corso della
detenzione del primo; della mancata giustificazione offerta dall’interessato delle
opposte affermazioni espresse in sede di indagini difensive, che priva di chiavi di
lettura coerenti la condotta tenuta dal teste nel corso dell’ultima audizione,
malgrado la sua sopravvenienza rispetto alle altre.
Si è poi posto in rilievo che lo stesso Dinaro ha ammesso un successivo
incontro con Rossiello, nel corso del quale si sarebbe limitato a consigliargli di
decidere liberamente come riteneva, che implicitamente dimostra la conoscenza
della natura ed esito del contatto assicurato a questi con i Gallico.
Sul punto si deve osservare, a fronte di un rilievo difensivo contenuto in
ricorso, che dall’esame della sentenza di primo grado si evince con chiarezza che
l’elemento di certezza raccolto sulla presenza di un incontro tra Gallico Antonino
e Dinaro, dopo l’abboccamento del primo con Rossiello, si trae dal resoconto che
dell’episodio opera Antonino al padre nel corso della conversazione 22/11/2007,
sicché la contestazione riguardante una pretesa immotivata adesione del
giudicante alla chiave ricostruttiva accusatoria sul punto risulta infondata in
fatto.
La convergenza degli elementi acquisiti, sopra richiamati, esclude che
possa ravvisarsi nel concreto la violazione della disposizione di cui all’art. 192
cod. proc. pen., poiché la Corte ha posto in relazione i plurimi elementi
convergenti, analizzando anche quanto proposto in senso opposto, dando conto
delle giustificazioni in forza dei quali questi ultimi non sono stati ritenuti
attendibili, sulla base di un ragionamento logico privo di vizi e contraddizioni, che
non risulta aver trascurato alcuno degli elementi posti in contestazione, ed
appare conseguentemente insuscettibile di censure in questa sede, neppure
sotto l’aspetto meramente argomentativo.
Per completezza si osserva che non può condividersi la sollecitazione
all’applicazione analogica della regola di giudizio prevista dall’art. 500 comma 4
cod. proc. pen. quale conseguenza del contrasto di quanto affermato da Rossiello
durante le indagini dinanzi agli inquirenti ed ai difensori, poiché, al di là
dell’ovvio rilievo in rito dell’insussistenza di una dichiarazione dibattimentale cui
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

dichiarato dinanzi agli inquirenti e quanto pienamente ricostruibile attraverso le

riferire gli accertamenti della disposizione invocata, contrariamente a quanto
allegato in fatto la mancata considerazione delle affermazioni più favorevoli al
Dinaro è stata ampiamente giustificata dalla Corte territoriale, secondo la
ricostruzione logica già esposta.
Il complesso delle ragioni espresse a fondamento della valutazione degli
elementi acquisiti nel corso delle indagini, che hanno assunto valore di prova per

in esame.
4.3. Risulta invece fondato il motivo riguardante l’accertamento di
responsabilità per il reato associativo.
Nell’imputazione si richiama in proposito la presenza di un costante
servizio prestato da parte del Dinaro nei confronti dell’associazione, attuata
mettendosi a completa disposizione, e si individua poi la condotta rivelatrice di
tale caratteristica nel concorso nel tentativo di estorsione esaminato, e
nell’esecuzione di ambasciate presso il latitante Gallico Rocco. In realtà, quanto
al tentativo di estorsione, pur dimostrando chiaramente tale attività la
consapevolezza da parte del Dinaro del contesto della condotta e degli scopi
perseguiti, sulla base delle circostanze già evidenziate in punto di trattazione del
reato fine, rispetto ad essi non sono evidenziati gli elementi rivelatori della
partecipazione al più grave reato, poiché l’episodio, per come analizzato nella
pronuncia, sembrerebbe potersi qualificare quale intervento estemporaneo,
sollecitato all’interessato in luogo che ad un terzo sulla base della comune
provenienza territoriale del ricorrente e della parte lesa, e non risulta evidenziata
la connessione ad una particolare funzione assegnatagli, neppure di limitato
presidio territoriale, posto che la sentenza impugnata adombra che l’intervento
sia stato garantito anche per effetto dei pregressi rapporti economici di Dinaro
con Rossiello in relazione alla concessione in affitto di un locale, elemento di
fatto compatibile anche con un intervento occasionale e non organico, all’interno
della consumazione del reato, comunque riconducibile alla necessità di Gallico
Giuseppe e dei suoi sodali di controllare l’attività economica che si svolgeva nel
territorio ove si estendeva la loro influenza, e rispetto alla quale il Dinaro, ove
responsabile del più ristretto ambito spaziale rientrante nella zona di pertinenza
Gallico, non emerge aver svolto alcun intervento preventivo, anche solo di
carattere informativo dei vertici, prima della sollecitazione rivoltagli.
Allo stesso tempo non è stata individuata la connessione tra lo
svolgimento dell’attività economica di lavanderia per la quale il Gallico richiese
l’attivazione di Dinaro, e l’investimento in tale attività degli interessi della cosca,
o in alternativa, dei più limitati interessi personali del gruppo familiare, poiché
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

effetto della scelta del rito abbreviato, esclude la fondatezza del motivo di ricorso

non è stata posta in rilievo la confluenza delle utilità ricavate nella cassa sociale
della compagine, in modo da rendere possibile ritenere che la tutela degli
interessi economici sottesi allo svolgimento di tale attività confluisse
direttamente a beneficio di questa, al pari di quel che risulta avvenuto per gli
introiti ricavati dalle attività di imposizione del “pizzo” che venivano ripartiti tra i
fratelli di Giuseppe Gallico.

della partecipazione all’illecito, cercando di concretizzare i dati di accusa sul
punto, richiamano circostanze sicuramente indicative dell’appartenenza di Dinaro
a quel gruppo egemonico – derivante da un canto dalla pregressa condanna per
associazione a delinquere semplice intervenuta ai danni di Dinaro e degli stessi
componenti del gruppo Gallico trent’anni prima, e dalla costante coltivazione
della relazione personale, denotata dalla sua presenza alle feste di famiglia;
dall’interessamento del gruppo facente capo al Gallico ai problemi di Dinaro;
dalla conoscenza da parte dei terzi di tale rapporto di familiarità- circostanze
tutte da intendersi come rivelatrici dello schieramento aprioristico del prevenuto
a favore dei Gallico rispetto a divisioni e contrasti potenzialmente insorgenti nella
vita quotidiana, che non appaiono sufficienti, in assenza dell’individuazione degli
elementi concreti di un’azione partecipativa, ad individuare una specifica e
costante condotta che si ponga in relazione funzionale con l’azione illecita
programmata dal gruppo.
Così, anche l’ulteriore elemento di fatto citato nel capo di imputazione
quale manifestazione della partecipazione all’associazione, individuabile
nell’ambasciata affidatagli dai componenti del gruppo rivale per essere trasmessa
al latitante, Rocco Gallico, pur di sicura verificazione, stante la chiarezza
dell’intercettazione sul punto, e le esaurienti spiegazioni fornite dal giudicante in
ordine all’interpretazione del suo contenuto, non risulta univocamente dirimente,
all’atto in cui riguarda un’azione singola, funzionale alle esigenze connesse ai
rapporti di correlazione tra compagini, che non risulta eseguita con certezza con
l’accesso diretto di Dinaro al contatto con il latitante, in quanto il dato non è
evidenziato nel provvedimento impugnato, ben potendo il Dinaro aver utilizzato
come tramite gli ulteriori componenti del gruppo con i quali risultava in contatto
in forza della sua appartenenza alla compagine, sicché anche la valenza
indicativa dell’intraneità, che si ritiene di poter desumere dai contatti con il
latitante, non appare univocamente significativa all’atto in cui non è arricchita
dalla dimostrazione del collegamento diretto.
La presenza di Dinaro nelle situazioni descritte non risulta individuata
quale sintomatica di una partecipazione al gruppo come tratteggiata dall’art. 416
32

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

Gli ulteriori elementi illustrati nella sentenza a sostegno dell’accertamento

bis cod. pen. secondo la caratterizzazione già tracciata, essenziale per connotare
di concretezza il concetto di partecipazione connesso alla necessaria tipicità della
fattispecie, ed idonea a distinguere tale ipotesi sia dall’ambito del penalmente
irrilevante, quale condotta illecita ulteriore rispetto al reato di tentata estorsione,
che dall’eventuale differente fattispecie del concorso di persone nel reato
associativo, di cui condivide tutte le caratteristiche, ad esclusione della stabilità
della collaborazione, caratterizzandosi quest’ultima, secondo quanto emergente

La sentenza sul punto, pur dando conto dell’intervento del Dinaro nella
specifica attività indicata nel capo di imputazione, omette di chiarire sulla base di
quali ulteriori elementi queste attività possano considerarsi inserite previamente
e maniera stabile nel programma criminoso, e trae sostegno alla propria
ricostruzione dai sopra indicati rapporti di collegamento del Dinaro con il gruppo,
che non risultano possedere i caratteri indicatori di indiscutibile e predefinita
disponibilità di questi all’attività illecita complessivamente ascrivibile al gruppo,
ma sono sintomatiche di una costante frequentazione di natura personale, oltre
che della fruizione, per l’effetto, di una garanzia di tutela dei propri interessi,
perfettamente giustificabile in ragione di tali collegamenti, che non rivela il tratto
caratterizzante la fattispecie contestata nell’imputazione, costituito dalla costante
disponibilità alla realizzazione del programma criminoso, in coordinazione con gli
altri partecipi.
Per i motivi esposti deve disporsi l’annullamento della sentenza
impugnata sul relativo capo, demandando al giudice di rinvio di verificare se
dalle condotte materialmente ascrivibili all’interessato possa desumersi un
indicatore attinente alla stabilità della cooperazione, costitutiva dell’attività di
partecipazione, idonea a renderlo imprescindibile e programmato esecutore di
specifiche attività materiali all’interno della compagine, su cui questa possa fare
costante affidamento, sulla base degli elementi rimasti privi di approfondimento,
o se diversamente la condotta a questi riferibile, per come emergente dalle
prove esaminate, e configurata nel capo di imputazione, possa integrare, ove si
ritenga superata la soglia del penalmente irrilevante, la differente fattispecie del
concorso esterno in associazione mafiosa.
4.4. Deve essere rigettato il motivo di ricorso che pone in dubbio la
sussistenza degli elementi integranti l’aggravante di cui all’art. 7 di 13 maggio
1991 n. 152 convertito nella I. 12 luglio 1991 n. 203 rispetto all’accertato reato
di tentata estorsione; invero, al di là della rimarcata incertezza, rilevante al fine
dell’individuazione dell’elemento caratterizzante la fattispecie associativa, non vi
è dubbio che nella condotta posta in essere sussista l’aggravante del metodo
33

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

dagli atti evidenziati nel provvedimento impugnato, per la sua episodicità.

mafioso, espresso nella forzosa convocazione dell’imprenditore presso l’emissario
di una ditta concorrente, finalizzata ad ottenere la rinuncia ad una importante
commessa, e realizzata da persone appartenenti ad una associazione criminosa
territoriale, come il figlio di Gallico Giuseppe, che proprio in ragione della
riconosciuta preminenza svolta in quel territorio può formulare richieste
inspiegabili sul piano economico, poiché comportano per la controparte una

di una forma di pressione indotta dalla capacità intimidatoria, nota sul territorio.
Di tanto la sentenza impugnata ha dato adeguatamente conto mentre il
ricorso, incentrandosi sulla portata familiare e non associativa dell’attività che
doveva essere favorita, non contrasta l’accusa dell’utilizzo del metodo mafioso,
che risulta contestato nel capo di imputazione, e può essere espresso anche con
riferimento ad affari non strettamente attinenti alla compagine mafiosa, ma solo
ad alcuni dei suoi pacifici ed indiscussi appartenenti, così da potersi ravvisare
anche nell’ipotesi di ricostruzione della finalità dell’azione più favorevole per la
difesa.
4.5. I motivi di ricorso formulati quanto alla misura della pena rimangono
assorbiti nella decisione di parziale annullamento, in quanto l’accertamento della
recidiva, la sua incidenza sulla determinazione della sanzione e la possibilità di
concedere le attenuanti generiche non potrà che essere valutata sulla base della
definizione complessiva delle responsabilità, nel giudizio di rinvio.
5.1. Nell’interesse di Ficarra Antonino e Ficarra Roberto risulta proposta
preliminarmente l’eccezione riguardante la mancata motivazione sull’istanza di
rinnovazione del dibattimento formulata nel grado d’appello, riguardante prove
sopravvenute. L’eccezione risulta infondata all’atto in cui non solo non si
confronta con il contenuto specifico dell’ordinanza emessa il 07/10/2013, nel
corso del dibattimento, ma neppure con la reiterazione delle argomentazioni in
essa contenute, che possono rinvenirsi nella sentenza impugnata, ove si dà

rinuncia priva di contropartita a guadagni legittimi, sostenibili solo con l’esercizio

conto della scelta del rito contratto, operata in piena autonomia dagli interessati,
e delle ricadute immediate sulla possibilità di ottenere la rinnovazione del
dibattimento, anche nell’ipotesi di prove nuove, in quanto l’esercizio di tale
diritto è condizionato dall’accertamento svolto dal giudicante sull’indispensabilità
di queste prove richieste al fine di decidere (da ultimo, Sez. 5, n. 8384 del
27/09/2013 – dep. 21/02/2014, Trubia, Rv. 259045).
Esclusa la presenza di un diritto alla prova nuova, oltre che la dedotta
carenza di motivazione, rinvenibile sia nell’ordinanza pronunciata al riguardo,
che nel suo richiamo contenuto nella sentenza impugnata, deve negarsi la
fondatezza del rilievo sul punto.
34

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

ci,

5.2. Analogamente infondato è il rilievo riguardante la pretesa nullità della
richiesta di rinvio a giudizio per violazione del diritto di difesa, in quanto non
corredata dall’informativa di reato riguardante terzi, che si assume aver dato
spunto alle indagini.
Al di là della genericità della deduzione in fatto con riferimento al preteso
collegamento dell’informativa riguardante soggetti estranei ed alla conseguente
non oggettività del collegamento, quel che rileva è che il P.m. è arbitro esclusivo

della composizione del fascicolo su cui fonda le sue richieste (Sez. 6, n. 33067
del 17/04/2003, Visciglia e altri, Rv. 226650), come risulta chiarito dal contenuto
della disposizione di cui all’art. 416 cod. proc. pen. e 130 disp. att. cod. proc.
pen., sicché una pretesa di accesso ad atti non allegati risulta del tutto fuori dal
sistema.
Invero il diritto di difesa non può che svilupparsi nell’ambito di cognizione
tracciato dall’ipotesi di accusa e dagli atti che la sostengono, sicché il dato
assente, in quanto non valutabile, non può mai produrre una violazione del
diritto di difesa, la cui estensione è delimitata agli elementi posti a base
dell’ipotesi di accusa (in fattispecie analoga di pretesa allegazione di atti
riguardanti un procedimento oggetto di stralcio cfr. Sez. 2, Sentenza n. 39756
del 05/10/2011, imp. Ciancimino, Rv. 251191); il richiamo difensivo a tali atti ed
alla loro rilevanza, ben avrebbe potuto in fase di merito, costituire oggetto di
specifica dimostrazione, ove rilevanti per l’esercizio del diritto di difesa, laddove,
ove letta nel senso formulato di generica, concreta impossibilità di accesso agli
atti, non si comprende da quali elementi la difesa desuma, prima ancora della
loro rilevanza e pertinenza al tema di indagine in senso favorevole al proprio
assistito, la loro stessa esistenza.
5.3. Le eccezioni riguardanti l’inutilizzabilità delle intercettazioni, in
quanto captate su impianti diversi da quelli in uso alla Procura, per difetto di
motivazione è destituita di fondamento.
Questa Corte ha provveduto ad acquisire i decreti contestati, verificando
che, contrariamente all’assunto, in essi è specificato che per la natura della
captazione, da predisporre all’interno della struttura carceraria nella sala adibita
al colloquio, gli impianti esistenti presso la Procura risultavano inidonei allo
scopo, in quanto le esigenze investigative richiedevano “la visione diretta da
postazione occulta interna alla struttura penitenziaria” e che “allo stato non
sussiste una connessione che permetta di remotizzare le conversazioni di
interesse investigativo”(RIT.135/06) circostanza che creava la “necessità di
collocazione di apparecchiature tecniche in prossimità dei luoghi dove avvengono
le comunicazioni intercettande”( RIT. 1195/07 e 738/2008) .
35

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

et

Tale, sia pur riassuntiva indicazione, quanto agli ultimi due
provvedimenti, acquista ulteriore spessore in forza del contenuto integrale dei
decreti richiamati, ove si opera un chiaro riferimento a particolari modalità di
captazione riguardanti le contestuali riprese video dei soli colloqui dei detenuti
sottoposti a controllo con familiari e visitatori, ad eccezione dei difensori, la cui
esecuzione richiedeva una contestualità di azione rispetto alla presenza delle
comunicazioni previamente individuate, e la tutela della riservatezza di tutte le

atre comunicazioni che si svolgevano nel medesimo luogo; cosicché dal
complesso argomentativo risulta ampiamente apprezzabile che la modalità di
captazione diretta presso tale struttura si imponeva, unitamente alla delega,
quali agenti di p.g. agli operatori all’interno della struttura. Sulla base di quanto
verificato con riguardo alle argomentazioni contenute nei decreti contestati,
l’assunta inutilizzabilità risulta eccepita al di fuori della effettiva verificazione
delle violazioni previste dall’art. 268 comma 3 cod. proc. pen. atteso che le
condizioni di fatto richiamate nel provvedimento evidenziavano l’inidoneità alle
esigenze del caso concreto, delle strutture presenti presso la Procura della
Repubblica.
E’ bene rimarcare sul punto che le condizioni richieste dalla legge per la
determinazione di utilizzazione di strutture diverse è la presenza di una
argomentazione di sostegno, in relazione alla quale non è dato intervenire
successivamente attraverso un sindacato sull’assoluta inevitabilità di tale
decisione, e sulle possibilità tecniche alternative di procedere in modo diverso,
valutazioni inesorabilmente condizionate da una conoscenza parziale delle
condizioni dell’ufficio proponente e dell’effettiva possibilità di condotte
alternative. L’argomentazione della Corte d’appello, contestata dal difensore che
ritiene con essa integrato un indebito arricchimento di un provvedimento
autorizzativo viziato ab origine perché insufficiente, si è limitata ad evidenziare
circostanze di fatto emergenti dal decreto, che conferivano sostegno al concetto
di inidoneità, ed al contempo ha dato conto della non sindacabilità successiva
della possibilità tecnica di scelte ulteriori, non prevedendolo la legge, che si
limita a sollecitare la presenza di una argomentazione, la cui congruità va
valutata con riferimento agli argomenti ivi rappresentati a sostegno della scelta
operata (riguardo alla superfluità di indicazione di ogni ulteriore argomentazione
di sostegno, a fronte di una dichiarata e riscontrabile inidoneità vedi Sez. 1,
Sentenza n. 18174 del 08/04/2009, imp. La Causa, Rv. 243681).
Conseguentemente devono respingersi le eccezioni di inutilizzabilità
formulate sul punto nel ricorso, anche con riguardo agli altri decreti autorizzativi,
rispetto ai quali manca sia una indicazione specifica degli estremi dei
36

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

e

provvedimenti, non sanabile neppure con l’analisi delle conversazioni richiamate
nelle pronunce di merito, che ad essi non operano un riferimento, con riguardo
alla posizione dei due odierni ricorrenti, che l’individuazione di un vizio
argomentativo difforme da quanto già espresso per quelli analizzati, sicché da un
canto l’eccezione risulta priva della necessaria specificità e quindi formulata in
violazione del principio di specificità del rilievo, e genericamente riferita ad una
insufficienza argomentativa di provvedimenti e di elementi indicativi non

fondata sui medesimi presupposti di fatto rispetto a quanto già esaminato e
valutato non meritevole di accoglimento.
5.4. Le eccezioni di violazione di legge formulate con riferimento ai criteri
determinativi della responsabilità per il reato associativo, si fondano sulla
riformulazione di rilievi in fatto sulla portata probatoria degli elementi acquisiti,
doglianze esposte in atto di appello, in relazione alle quali non si analizza quanto
espresso nella pronuncia impugnata, ma si reiterano le proprie osservazioni di
segno opposto, così sollecitando in questa sede un non consentito difforme
esame del merito.
In particolare, si denuncia l’incompletezza del quadro istruttorio, relativo
alla pretesa mancata dimostrazione di una situazione di preminenza economica
dell’impresa facente capo ai Ficarra nell’ambito degli appalti pubblici nella zona di
intervento dei componenti della cosa Gallico, ritenendo tale dimostrazione
essenziale, sulla base della modulazione dell’accusa, al fine di fondare
l’accertamento di partecipazione associativa. La prospettazione, oltre a non
considerare che l’affidamento dell’attività di movimento terra all’azienda dei
Ficarra nella zona di preminente influenza dei Gallico per l’esecuzione di
commesse pubbliche già emerge dagli accertamenti eseguiti nell’ambito del
procedimento cd “Tallone d’Achille” definito con sentenza irrevocabile, acquista ai
sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., che ha costituito più volte l’elemento
indiziario di collegamento e riscontro per l’attività successiva, ignora il dato
storico, derivante dalle indagini svolte richiamate nella sentenza di primo grado,
che dà conto del riconosciuto subappalto delle opere sull’A3, in favore
dell’impresa di cui era titolare Ficarra Roberto, successivamente revocato con
atto autoritativo, proprio a causa dell’accertata infiltrazione mafiosa. Tale
elemento storico, più volte citato nella sentenza di primo grado (ai fg. 1740,
1772 e 1773) dà conto dell’immeditata operatività della ditta intestata a Ficarra
Robero anche nello stesso settore degli appalti pubblici, cui si richiama il capo di
imputazione, ancorché in chiave non esclusiva, dimostrazione negata nell’odierno
ricorso, in maniera generica.
37

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

specificamente individuati, che per effetto di tale genericità deve ritenersi

Inoltre, il capo di imputazione opera un richiamo ampio ad una
preminenza dell’intervento della società facente capo ai Ficarra anche nel settore
pubblico e non esaurisce l’azione considerata a quel settore, sicché il fulcro
dimostrativo del provvedimento, secondo la modulazione dell’accusa e delle
prove acquisite, è fondato sulla continuità di azione tra la società facente capo a
Ficarra Antonino, già oggetto di accertamento con la sentenza richiamata, e
quella costituitasi successivamente, e di cui ha acquisito la titolarità il fratello

Roberto, che ha continuato ad operare nel medesimo settore economico.
Rispetto a questa circostanza entrambe le sentenze di merito enucleano specifici
elementi di fatto dai quali è dato desumere sia la natura fittizia dell’intestazione,
che la continuità di intervento, oltre che l’intima connessione tra l’azione dei
Gallico e l’attività economica svolta dalla ditta, ritenuta idonea a dimostrare la
continuità dell’azione illecita già accertata, estesa temporalmente anche in epoca
successiva, oltre che coinvolgente anche il fratello prestanome, e comunque la
correlazione funzionale tra interventi della cosca ed attività svolta dalla ditta dei
ricorrenti.
Le contestazioni svolte sul punto, riguardanti l’irrilevanza, al fine di
accertare la redditività di impresa, del prezzo convenuto quale canone mensile
per l’affitto di azienda, pari ad € 6.500 mensili, oltre ai canoni di leasing e
finanziamento, rievoca differenti dati economici, su cui non risulta essere stata
fornita documentazione, che appaiono quindi mere prospettazioni alternative ed
ipotetiche, inidonee a scalfire la portata logica delle deduzioni ricavate dai giudici
di merito sulla base degli elementi di natura economica che dimostrano, in senso
contrario, la piena floridità dell’azienda, rilevata in locazione dal commissario
giudiziale nella sua integralità pochissimi mesi dopo l’esecuzione delle misure di
custodia cautelare in danno di Ficarra Antonino per il procedimento “Tallone
d’Achille”, da Ficarra Roberto prima ancora che questi costituisse la ditta
individuale di movimento terra, avente il medesimo oggetto della precedente.
Peraltro, le eventuali difficoltà economiche successive, anche ove sussistenti,
non inficerebbero la ricostruzione svolta, ben potendo correlarsi alla
sopravvenuta revoca dei subappalti riconosciuti, quale elemento non
preventivato, non connesso in inscindibile relazione causale con l’esclusione del
rapporto di connessione economica con il gruppo Gallico.
Anche con riguardo alla definita corresponsabilità gestionale di Ficarra
Roberto, -titolare di diritto- e Ficarra Antonino -titolare di fatto- a fronte delle
specifiche risultanze emergenti dalla pronuncia di primo grado, che opera un
richiamo allo specifico contenuto e tenore delle conversazioni intercorse tra i
fratelli e tra ciascuno di essi ed i terzi (fg. 1789 e segg.), nonché agli
38

Cessazione sezione VI, rg. 4732/2015

CA

accertamenti svolti sul campo, si evocano ricostruzioni alternative, fondate su un
assunto di fragilità dei dati indiziari considerati, ma si omette l’individuazione di
specifiche emergenze idonee a sovvertire l’affidabilità degli elementi esaminati.
Sul punto, in particolare, il ricorso non individua contraddizioni, illogicità,
vuoti argomentativi della sentenza rispetto alle risultanze processuali, ma ne
assume l’esistenza con richiamo al contenuto parziale delle conversazioni, alla
pretesa illogicità di una cogestione dell’azienda che coinvolgesse il mero titolare

formale, così evidenziando la formulazione della richiesta di una difforme
valutazione di merito, estranea all’ambito del giudizio di legittimità, che potrebbe
trovare spazio solo nell’ipotesi di travisamento del risultato probatorio al
riguardo, che non viene denunciato. In senso contrario si richiama la presenza
del vizio del travisamento relativamente ad un fatto -dichiarazioni rese al
difensore da Piccolo Giuseppe e Piccolo Vincenzo non acquisite al processoambito estraneo al giudizio di legittimità, proprio in quanto non riguardante una
prova legittimamente acquisita con provvedimento di rinnovazione del
dibattimento.
Ulteriore contestazione al riguardo è formulata con riferimento agli
elementi di prova tratti dalle conversazioni ambientali intercettate intercorse tra
terzi estranei rispetto agli indagati, che si assumono non idonee a fini
dimostrativi, in quanto necessitanti di elementi di riscontro, secondo la regola di
giudizio fissata dall’art. 192 comma 3 cod. proc. pen.
Il principio giuridico sul quale il rilievo è fondato risulta già ampiamente
smentito da precedenti di questa Corte, (da ultimo cfr. Sez. 6, sentenza n.
25806 del 20/02/2014, imp. Caia, Rv. 259673) nei quali si richiama
univocamente al riguardo la necessità di una prudente valutazione del giudice, e
si esclude l’equiparazione della valenza probatoria di tali acquisizioni alle
chiamate in correità, del tutto logica poiché in esse è assente la natura
pregiudizialmente sospetta della dichiarazione offerta per l’impossibilità di
individuare, neppure in via ipotetica, un interesse della parte a ricostruzioni
strumentali. Nella specie non si dubita dell’inconsapevolezza della captazione da
parte dei loquenti, che, salvo nel caso specifico di Gallico Domenico che
rimprovera i suoi interlocutori per le improvvide espressioni, indicando la
telecamera, non risultano limitati nelle loro comunicazioni e nel contempo le
condizioni di fatto consentono di escludere la possibilità di un loro riferimento
artefatto alle vicende oggetto dello scambio di comunicazioni, per effetto della
circostanza concreta che vedeva componenti apicali della cosca in cattività, ai
quali i visitatori fornivano notizie, anche per ricevere indicazioni di
comportamento, contesto che, sia per la rilevanza di dati scambiati, che per la
39

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

4-

coattiva rarefazione dei contatti, devono condurre ad escludere la concreta
strumentalizzazione delle conversazioni.
In tal senso conseguentemente risulta corretta la valutazione operata dal
giudicante, che ha richiamato il principio del libero convincimento del giudice,
che appare insindacabile in questa sede, sia in diritto, che in fatto, risultando
l’analisi sostenuta da valutazioni logiche, complete e coerenti.

partecipazione di Ficarra Roberto all’associazione ignorano il complesso degli
elementi a tal fine valorizzati nella sentenza, e si limitano ad una chiave di
lettura alternativa sulla inconsistenza del contenuto di una parte delle
conversazioni -riguardanti il disappunto di Gallico Domenico nell’apprendere del
coinvolgimento di Ficarra Roberto in un accertamento sui lavori abusivi
commissionati dallo stesso Gallico, per favorire Mammoliti, per la dimostrazione
di tale assunto, ma ignora la significativa sollecitazione, contenuta nella
medesima conversazione, a provvedere alla nomina di un avvocato in favore di
questi, sollecitudine che richiama la più tipica espressione della condivisione di
interessi; allo stesso tempo non considera che nel contrasto Saffiotti-Piccolo, per
la risoluzione unilaterale di un contratto di appalto due giorni prima dell’inizio
della sua esecuzione, conseguente alla decisione di affidare i lavori alla ditta
Ficarra, la sentenza impugnata ha diligentemente vagliato l’attendibilità della
ricostruzione resa da Saffiotti, ampiamente sostenuta dalle registrazioni delle
conversazioni con i protagonisti di questa vicenda contrattuale, oltre che
dall’insussistenza di una autonoma chiave di lettura alternativa sulla base delle
dichiarazioni rese dai protagonisti della vicenda, tra loro illogiche -come la
reiterazione da parte di Piccolo dell’esclusione di una ditta che aveva offerto di
lavorare gratis e l’impossibile convergenza della scansione temporale degli
accordi contrattuali disegnata dai Piccolo, dai Ficarra e dall’avv. La Capria- su cui
la pronuncia si è soffermata, elementi rimasti estranei all’analisi difensiva.
A fronte dei corposi elementi indicati nella sentenza a conferma
dell’ipotesi di accusa nel ricorso si lamenta la mancata acquisizione ai sensi
dell’art.603 cod. proc. pen. della ritrattazione dibattimentale offerta da Saffiotti
delle accuse formulate a carico di Galimi, che avrebbe dovuto condurre, secondo
la difesa, alla riconsiderazione più generale dell’attendibilità delle accuse da
questi formulate nei confronti di Ficarra, come si è visto ampiamente rafforzate,
al di là di tali dichiarazioni, dall’analisi delle risultanze delle registrazione, che
esclude la presenza di un unico ed indefettibile collegamento degli elementi di
prova acquisiti sul punto alle dichiarazioni testimoniali.

40

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

Gli ulteriori rilievi difensivi volti ad escludere elementi di conferma della

L’impossibilità di identificare nelle dichiarazione di Saffioti l’unica fonte di
accusa esclude la rilevanza delle deduzioni difensive sulla pretesa illogicità della
svalutazione delle accuse mosse a suo danno da Gallico Domenico durante
l’intercettazione poiché, al di là della maggiore o minore affidabilità di tale
inquadramento, rimane in ogni caso insuperato quanto risulta dalle registrazioni
effettuate dallo stesso Saffioti nel corso della controversia con i Piccolo, che

di una congruente chiave di lettura alternativa, e risulta giustificabile solo alla
luce di un preconcetto privilegio da attribuire alla ditta legata dal gruppo
dominante sul territorio.
Le circostanze esposte superano anche l’indimostrata parificazione delle
posizioni processuali delle due imprese accusate nei racconti del teste, che non è
dato cogliere dal complesso espositivo delle pronunce di merito, e forniscono
pienamente conto della corretta valutazione di non essenzialità del dato
probatorio offerto in grado di appello, giustificando la decisione di esclusione di
tale mezzo dalla rinnovazione del dibattimento.
Da ultimo risulta inifluente al fine di decidere la mancata contestazione, a
carico dei Ficarra di reati fine, sottolineata dal ricorrente nella memoria
depositata, posto che è pacifico che la prova della partecipazione all’associazione
possa desumersi anche dalla dimostrata adesione al programma criminoso, che
in questo caso emerge dall’assoluta contiguità economica che è dato trarre
dall’esame delle prove valutate, che si attualizza anche nella più tipica
manifestazione di contiguità, costituita dall’incarico attribuito da Gallico
Domenico ai suoi interlocutori, di provvedere all’assistenza legale di Ficarra
Roberto, a seguito del procedimento iniziato a suo carico per effetto
dell’esecuzione di opere prive di autorizzazione, effettuata su commissione dei
componenti della compagine illecita.
5.5. Infondato è il motivo di ricorso riguardante la reiezione della richiesta
di riconoscimento delle attenuanti generiche, per la mancata argomentazione
riguardante la determinazione della pena. Ricordato che sul punto, per effetto
del più ampio potere discrezionale offerto in argomento al giudice di merito, è
possibile la censura della decisione in questa sede solo ove risulti del tutto
immotivata, si segnala che nella specie si contesta la portata negativa degli
elementi valutati, o la mancata considerazione di elementi positivi, mentre la
motivazione del giudicante può esaurirsi con l’indicazione esclusiva degli aspetti
ritenuti in proposito preminenti, dovendosi intendere superate le difformi
allegazioni (da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 28535 del 19/03/2014, imp. Lule, Rv.
259899).
41

Cessazione sezione VI, rg. 4732/2015

come già sottolineato, se pur variamente giustificata dalle parti, è rimasta priva

Nel caso concreto il giudicante ha sottolineato l’intervenuta applicazione
della pena nella misura minima, giustificando per entrambi i ricorrenti la
negazione delle attenuanti generiche, con riferimento, per Ficarra Antonino,
all’inefficacia del precedente accertamento del medesimo reato, e, per il
secondo, all’effetto di annullamento dei provvedimenti giudiziali di sequestro e
confisca disposti nel precedente procedimento che la sua condotta ha realizzato,

questa sede.
6.1. Quanto alla posizione di Gallico Domenico si deve ricordare che
l’attribuzione a questi della condotta qualificata come favoreggiamento, è
intervenuta per effetto della indicazione del suo intervento -individuato quale
quello di Mimmo di zia Caterina- nell’accompagnamento di Gallico Rocco,
latitante, dalla sua abitazione nel luogo ove questi si nascondeva. Ciò è avvenuto
anche sulla base della convergente considerazione della sua titolarità di un
furgone che corrispondeva la descrizione di cui parlavano i conversanti e che si
prestava, secondo le considerazioni degli inquirenti, per le sue caratteristiche
tipiche, alla programmazione di attività che richiedeva la possibilità di
nascondere ai passanti la persona trasportata sul mezzo.
Nell’impugnazione si lamenta che la decisione sia fondata esclusivamente
sul contenuto della conversazione tra terzi, rimasta priva di elementi di riscontro,
a fronte della riduzione del quadro indiziario tra primo e secondo grado,
conseguente alla valutata irrilevanza della presenza del furgone nella zona
dell’abitazione di Gallico Rocco, e della mancata dimostrazione della presenza di
vetri oscurati sul mezzo in esame.
L’obiezione è fondata sul dato, erroneo, della completa equiparazione
operata dalla difesa tra chiamata in correità, cui è applicabile la disciplina di cui
all’art. 192 comma 3 cod. proc. pen. e risultanze di conversazioni captate tra
terzi, della cui infondatezza si è già detto sub 5.4., dovendosi escludere, per il
contesto e lo specifico contenuto della conversazione – il riferimento
all’interessato interviene per correggere un equivoco nella comprensione
dell’episodio narratogli da parte di Gallico Giuseppe, che aveva identificato il
Mimmo di cui si parlava in suo genero, venendo su ciò corretto dalla controparteche possa ritenersi accertata l’intenzione dei loquenti, nella consapevolezza
dell’intercettazione in corso, di far conoscere all’autorità giudiziaria informazioni
finalizzate ad accusare taluno di un reato.
Constatata di conseguenza l’assenza della violazione di una regola di
giudizio, in realtà non applicabile nella specie, deve riconoscersi al giudice di
merito la possibilità di una valutazione autonoma delle prove, ed in particolare
42

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

con valutazione ampiamente argomentata e conseguentemente insindacabile in

l’esecuzione nei casi di riduzione del quadro probatorio della cd. prova di
resistenza, al fine di accertare la persistenza dell’elemento dimostrativo idoneo a
sostenere la condanna, con determinazione priva di vizi o contraddizioni.
La valutazione, che risulta coerente, rientra pienamente nei poteri del
giudice di merito, poiché la cd prova di resistenza costituisce l’esplicitazione degli
elementi ritenuti rilevanti al fine di decidere la cui analisi può avvenire anche in
sede di legittimità (Sez. 6, n. 1255 del 28/11/2013 – dep. 14/01/2014, Pandolfi,

detto, non risultano affette da violazioni di legge, o vizi logici.
6.2. Analogamente infondata è la contestazione attinente alla sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 dl 13 maggio 1991 n. 152 convertito nella I. 12
luglio 1992 n. 203. Pacifica la necessità di accertare coscienza e volontà della
finalizzazione della condotta, deve però escludersi che questa possa essere
intesa come specifica finalità della singola condotta, nella specie
accompagnamento del latitante, alle finalità della compagine illecita, ciò in
quanto quel che rileva è la funzione dell’attività rispetto alla vitalità della
compagine e nella specie, pacifica la circostanza di fatto che la persona
agevolata svolgeva un ruolo di primo piano all’interno del gruppo, per la qualità
di reggente della cosca rivestita in quel contesto da Gallico Rocco, è indubbio che
per la vitalità del gruppo era essenziale la sua permanenza in libertà, sicché è al
risultato avuto di mira, e non alla funzione della trasferta che deve aversi
riguardo per individuare la finalità di agevolazione (in senso analogo Sez. 2, n.
15082 del 12/02/2014, Cuttone, Rv. 259558). Così, pur ammesso che nella
specie Gallico Rocco fosse di rientro da un incontro con la famiglia, resta il fatto
che per allontanarsi dal quel luogo era necessaria una tutela, per evitarne
l’arresto, che avrebbe prodotto contraccolpi alla vitalità del gruppo, sicché anche
tale condotta deve essere rapportata all’interno di quella descritta nella
disposizione contestata, stante l’oggettività del vantaggio ritratto dal gruppo

Rv. 258007) e si svolge sulle argomentazioni offerte sul punto, che, per quanto

dalla permanenza in libertà del suo più autorevole componente, e ciò a
prescindere dal motivo che giustificava la materiale realizzazione del trasporto di
Gallico Rocco in quello specifico contesto nel quale risulta intervenuto
l’interessato (per un caso analogo di rapina aggravata ai sensi della disposizione
invocata, funzionale a garantire un mezzo di locomozione per una persona al
vertice del gruppo Sez. 6, n. 45065 del 02/07/2014, P.G. in proc. Di Caterino e
altri, Rv. 260837). L’estemporaneità dell’intervento nella specie è del tutto
esclusa dalle modalità con le quali venne realizzata, con esecuzione di una
staffetta che, secondo le esemplificative espressioni utilizzate dai conversanti nel
corso della loro relazione al riguardo a Gallico Giuseppe, rientrava nelle modalità
43

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

(1-

ordinarie di compimento di tale attività della cui delicatezza i loquenti erano
consapevoli, come è chiaramente descritto nella sentenza impugnata, cosicché,
anche sotto tale profilo non possono essere escluse dal novero di azioni correlate
all’attività associativa.
Dal punto di vista soggettivo basterà ricordare, oltre che la comune
provenienza familiare, che agevola la circolazione delle informazioni, il dato

aggravanti, anche nell’ipotesi di colpa (sul punto vedi da ultimo Sez. 2, n. 51424
del 05/12/2013, Ferrante e altri, Rv. 258581), per escludere la possibilità di una
inconsapevole ed incolpevole agevolazione del sodalizio, secondo quanto
astrattamente tratteggiato nel ricorso, ed adeguatamente contraddetto, in senso
opposto, dalla sentenza impugnata, ove si richiama la stretta correlazione
emersa in fatto tra il ricorrente ed il favorito, che pur non consentendo di
integrare, per la mancata correlazione con l’azione associativa, il reato
originariamente contestato, giustifica la presenza di una consapevolezza della
funzionalità dell’azione favoreggiatrice, con argomentazione rispetto alla cui
analisi nel ricorso si reiterano osservazioni di merito, di natura generica, che
risultano sotto questo profilo inammissibili.
7.1. Il ricorso proposto nell’interesse di Gallico Italia Antonella è
inammissibile in quanto in esso si ripropongono le eccezioni in rito e di merito già
formulate in atto di appello, senza considerare le argomentazioni svolte sul
punto nel provvedimento impugnato, malgrado la correttezza delle
determinazioni sulle eccezioni in rito, e la ampiezza e linearità delle valutazioni in
fatto, che costituiscono, sotto quest’ultimo profilo, l’orizzonte valutativo rimesso
a questa Corte.
In particolare, quanto alla mancata ammissione di una perizia sulle
condizioni psichiche della ricorrente il ricorso si limita a lamentare l’assenza
dell’approfondimento, senza contrastare le argomentazioni della decisione in
proposito, desumibili dalla sentenza e dall’ordinanza dell’11/11/2013 che il primo
atto richiama, dove si giustifica il mancato accoglimento dell’istanza con il
presupposto dell’assenza di documentazione idonea a dimostrare la presenza di
una patologia psichiatrica in grado di incidere sulla capacità dell’interessata di
seguire il processo a suo carico, deduzione di merito sostenuta dall’esame della
documentazione prodotta. Tali osservazioni risultano complete e coerenti,
mentre l’incompletezza dell’esame, e la necessità, per accedere al rigetto della
richiesta di un accertamento peritale sulle condizioni di salute, viene sostenuta
con richiamo alla previsione in punto di valutazione della compatibilità delle
condizioni di salute con la condizione di sottoposizione a misura della custodia in
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

normativo dell’art. 59 comma 2 cod. pen. che prevede l’applicazione delle

carcere di cui agli artt. 275 comma 4 bis e 299 comma 4 ter cod. proc. pen., che
costituisce una previsione speciale di stretta applicazione, non una limitazione
del potere di valutazione da parte del giudice della condizione di necessarietà
dell’approfondimento al fine di decidere, sussistente per tutte le istanze
istruttorie.
7.2. Con riguardo all’eccezione proposta con riferimento alla mancata
visione dei DVD contenuti gli atti di indagine che hanno costituito la base

l’avvenuta consegna nei termini del materiale agli interessati che ne avevano
fatto richiesta, mentre non è contestato che alcuni di essi non siano riusciti ad
apprezzarne materialmente il contenuto in quanto le strutture carcerarie ove
erano astretti non possedevano il supporto tecnico per consentire la visione e
l’ascolto.
La sentenza impugnata in argomento, dopo aver ricordato la natura del
giudizio abbreviato quale procedimento a forma contratta, allo stato degli atti, e
che l’impossibilità di accesso da parte dell’interessato alle registrazioni o alle
video riprese costituisce nullità generale a regime intermedio, sanata con la
scelta del rito, che presuppone una richiesta di definizione, senza
approfondimenti, ha richiamato la possibilità di una richiesta condizionata
all’ascolto, nella specie non esercitata, idonea ad escludere qualsiasi concreta
limitazione al diritto di difesa riveniente dalla scelta del rito premiale, che
preclude qualsiasi successiva contestazione sul punto, posto che la scelta
operata comporta accettazione della funzione probatoria di tutti gli atti di
indagine.
Peraltro si deve osservare che del tutto generico risulta il riferimento alla
mancata consegna dell’integralità del DVD, eccezione formulata con riferimento
ad accadimenti imprecisati, privi sia dell’indicazione dello specifico documento
non consegnato, che dell’identità dell’indagato a cui tale cognizione sarebbe

probatoria del presente giudizio si deve precisare in fatto che è indubbia

stata sottratta, in quanto tale priva dell’indispensabile requisito della specificità
ed autosufficienza.
7.3. Anche l’eccezione di nullità conseguente alla mancata trasmissione, a
cura del P.m., dell’informativa di reato dalla quale sono state generate le indagini
oggetto del presente procedimento, viene materialmente riproposta negli esatti
termini già prospettati in appello, senza confrontarsi con quanto dedotto nella
sentenza e rispetto ad essa non possono che richiamarsi le osservazioni già
svolte sub 5.2. Peraltro, a sostegno della connessione tra l’informativa che si
assume mancante ed i fatti del procedimento, si richiama genericamente la
correlazione con l’imputazione di cui al capo TT) che non si riferisce ai fatti
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

P

contestati alla Gallico, sicché, oltre che infondato, il rilievo risulta privo del
necessario requisito della specificità.
In proposito si è inoltre ricordato che, anche nel caso di omesso deposito
atti nei modi e termini previsti dall’art. 416 cod. proc. pen. la sanzione
processuale è quella dell’inutilizzabilità degli stessi ove allegati successivamente
(Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella e altri, Rv. 234355), mentre il
quadro probatorio resta inesorabilmente circoscritto a quanto allegato, e rispetto

ad esso deve valutarsi la sufficienza ed univocità e non sussiste alcun obbligo del
P.m. di depositare atti riguardanti terzi o indagini ancora in corso (Sez. 6, n.
33067 del 17/04/2003 – dep. 05/08/2003, Visciglia e altri, Rv. 226650);
peraltro, come già osservato in sentenza, anche tale ipotetica violazione,
riguardando la fase delle indagini, resta superata dalla richiesta di definizione del
giudizio allo stato degli atti, deduzioni corrette in diritto (sul punto da ultimo Sez.
2, n. 39474 del 03/07/2014, Acquavite e altri, Rv. 260786), in ordine alle quali
non si è sviluppata alcuna controdeduzione negli atti di impugnazione, che,
anche sotto tale profilo, risultano privi di specificità.
7.4. Sull’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali, per
irregolarità in tema di motivazione sui modi di captazione non può che
richiamarsi quanto già esposto sub 5.3., in quanto i decreti di intercettazione
acquisiti posseggono tutti la medesima struttura argomentativa che si è
accertato rispondente ai criteri legali.
Analogamente manifestamente priva di fondatezza è l’eccezione attinente
all’intervenuta delega delle operazioni di registrazione delle conversazioni a
privati, poiché dagli atti acquisiti, individuati in quelli indicati specificamente nel
ricorso (faldone 33 sott.8, pagina 15 e faldone 37 pag. 7) è risultato che,
contrariamente a quanto dedotto, al noleggio delle attrezzature si è provveduto
in contestualità all’accertata necessità di captazione presso la struttura
carceraria, mentre l’attività di ascolto è stata effettuata dagli agenti di p.g.
incaricati, individuabili nel primo caso negli addetti al settore operativo del
Commissariato di Palmi, a seguito di predisposizione della struttura tecnica
idonea alla captazione presso di carcere di Secondigliano da parte di un incaricati
della ditta privata di noleggio, senza alcuna attribuzione a questi ultimi di
ulteriori funzioni. Alla stessa conclusione deve pervenirsi anche con riferimento al
contenuto del secondo atto citato nel ricorso, dal cui contenuto non è dato
ricavare l’esecuzione delle registrazioni da parte del dipendente della ditta di
noleggio, per cui si contesta la scelta dell’utilizzo dell’attrezzatura privata,
irrilevante al fine di configurare il limite all’utilizzabilità di cui all’art. 271 cod.

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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

t,

(

proc. pen. (nello stesso senso da ultimo Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014 – dep.
22/01/2015, Terracchio, Rv. 262485).
7.5. Ugualmente riproposta senza contrastare l’argomentazione del
giudici di merito risulta l’eccezione attinente all’incompetenza del P.m. nel
disporre l’intercettazione telefonica di cui alla R.I.T. 137/2006, in un delimitato
arco temporale, poiché nulla è stato dedotto per superare l’osservazione di

secondo quanto già ripetutamente affermato nello stesso senso, da precedenti di
questa Corte (Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011 – dep. 01/06/2012, P.G., Bianco
e altri, Rv. 252851).
7.6. Anche i rilievi sul merito della valutazione del complesso indiziario,
pur formalmente muovendosi anche nell’allegazione di violazioni di legge
sull’individuazione di elementi di responsabilità per il reato associativo, di fatto
prospettato una lettura alternativa dei fatti, senza adeguatamente contrastare le
deduzioni in senso opposto operate dal giudice di merito. La pronuncia individua
con chiarezza le comunicazioni che attestano la consapevolezza della donna
dell’attività associativa, oltre che la sua disponibilità all’esecuzione del passaggio
di istruzioni all’esterno per garantire la permanenza del gruppo, anche nel corso
della detenzione del padre, funzionale alla vitalità della compagine, desumibile
dalla compenetrazione della donna nella consumazione dei reati fine tipici, quali
le estorsioni e le ricettazioni; nelle continue identificazioni delle modalità di
svolgimento delle attività da parte dei concorrenti all’inseguimento di nuove fonti
di guadagno illecito; nelle contestazioni del riparto dei ruoli all’interno del
gruppo, con valutazione negativa della funzione determinatrice di Gallico Rocco,
unico componente sottrattosi all’esecuzione della misura cautelare, che fungeva
in quel torno di tempo da capo e che, secondo la ricorrente, faceva perdere
terreno all’azione della famiglia, con vantaggio dei concorrenti; nella piena
consapevolezza emergente dai medesimi atti sulle dinamiche impositive in
relazione a qualsiasi attività economica della zona, su cui relazionava al padre. Di
tali condotte si è dato ampiamente conto nella pronuncia, con richiamo specifico
alle comunicazioni dalle quali è tratta conferma di tali attività. Rispetto a queste
risultanze, specificamente individuate nelle pronunce di merito, nel ricorso non si
denunciano travisamenti dei contenuti delle intercettazioni, ma si offre una
lettura alternativa riguardo all’esistenza ed operatività della famiglia di Giuseppe
Gallico in quel contesto territoriale, all’atto delle comunicazioni intercettate, ed ai
rapporti di forza intercorrenti tra le cosche che agivano in quel territorio,
operando una ricostruzione sulla base di elementi che non si rapportano al
contenuto della sentenza, atto che delimita l’ambito valutativo rimesso a questa

47

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

irrilevanza della delimitazione di competenza del P.m. sugli atti di indagine,

Corte, ed in parte prospettano un’alternativa e parcellizzata interpretazione delle
conversazioni, già superata in maniera argomentata nella sentenza impugnata.
In tal senso la censura non si sottrae alla valutazione di inammissibilità
sia per genericità che in quanto involgente autonome valutazioni di merito.
7.7. Anche la contestazione riguardante la mancanza degli elementi
costitutivi del delitto di estorsione contestato al capo MM) è fondata sulla

argomentazioni contenute in sentenza, che, senza alcun vizio logico, fondandosi
sul senso di quanto comunicato tra le parti, oggetto di captazione, giunge alla
conferma della responsabilità per il delitto di estorsione, valorizzando particolari
espressioni usate dalle vittime che, pur negando di aver subito pressioni hanno
quasi inconsapevolmente usato espressioni contrastati con l’ordinaria logica
commerciale, confermando forniture di materiale di cui si parlava nelle
conversazioni è stata riscontrata la presenza nel cantiere di pertinenza
dell’imputata, ammettendone il mancato pagamento, correlabile alla pressione
esercitata per effetto della ingerenza nel territorio, riconosciuta in fatto dalle
vittime, e rivendicata dai conversanti nell’ambito delle intercettazioni ambientali,
secondo la puntuale ricostruzione in fatto ed in diritto contenuta nella sentenza
impugnata che si è anche soffermata, proprio sulla base dell’improponibilità in
fatto di una consegna volontaria della merce in assenza di corrispettivo da parte
del venditore, per l’impossibilità di una riqualificazione dei fatti quale
appropriazione indebita prospettata dalla difesa ed in questa sede riproposta.
Anche la contestazione di sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l.
13 maggio 1991 n. 152 convertito nella I. 12 luglio1991 n. 203 risulta ignorare
l’ampia argomentazione offerta sul punto dalla sentenza che fa riferimento alle
particolari espressioni usate dai commercianti che hanno ceduto merce senza
pagare, ed all’atteggiamento di assoluta preminenza sul territorio, emergente
dalle conversazioni tra la ricorrente ed il padre, e dalle osservazioni di altri
commercianti che hanno dato conto della preminenza e dei trattamenti di favore
riconosciuti nella zona territoriale in favore dei Gallico, elementi che giustificano
l’assenza di una espressione di coartazione specifica della parte lesa. Tale
condizione di fatto risulta idonea alla configurazione della fattispecie, come già
riconosciuto da precedenti di questa Corte, che ritengono sufficientemente
dimostrata l’esercizio della preminenza illecita quale forma di pressione nei
confronti dei terzi, anche in assenza di specifiche condotte di coartazione (da
ultimo Sez. 2, Sentenza n. 53652 del 10/12/2014, imputato: Bonasorta, Rv.
261632), in conformità a quanto accertato dalle ricostruzioni richiamate in
sentenza.
48

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

riproposizione della propria lettura riduttiva dei fatti, e non considera le opposte

In definitiva, in relazione agli aspetti indicati nel ricorso, si contesta la
singola portata dimostrativa di alcuni elementi, quali ad esempio l’intervento
diretto della donna nell’acquisizione della merce non pagata, che in realtà risulta
dalla ricostruzione di fatto operata dal giudicante sulla base delle dichiarazioni
captate, poste in relazione agli ulteriori accertamenti, attraverso un complesso
valutativo coerente, in relazione al cui specifico sviluppo non risultano formulati

valutazione di merito degli elementi di prova che si assumono singolarmente di
segno opposto, ma non posseggono l’idoneità per sovvertire la conclusione
raggiunta dal giudice territoriale, che si è confrontato con le obiezioni difensive,
superandole in maniera argomentata.
7.8. In relazione al tentativo di estorsione di cui al capo N), già esaminato
nell’analisi della posizione processuale di Dinaro sub 4.2., alla donna è attribuito
il ruolo di determinatrice, per aver riferito al proprio padre l’attività
concorrenziale svolta da Rossiello, che ha poi generato l’iniziativa di coartazione
realizzata per il tramite di Dinaro. La difesa contesta la portata concorsuale nella
condotta tenuta, mentre la sentenza analizza le modalità di informazione offerte
dalla donna sulla perdita di terreno sul piano economico della propria attività, la
formazione di programmi di intervento in sua presenza, da realizzarsi tramite
Dinaro, per contrastare tale attività, rispetto ai quali non solo non risulta alcuna
dissociazione da parte dell’interessata, ma la stessa risulta fornire ulteriori
informazioni attinenti proprio all’ulteriore sconfinamento, da parte
dell’imprenditore Rossiello, nella zona di propria competenza, segnalando
l’acquisizione del servizio di pulizia della biancheria anche presso un albergo
situato nella zona di influenza, segno evidente che la programmata azione di
pressione, così esprimendosi per rafforzare il proposito già espresso.
Ancora una volta si deve segnalare che rispetto a tali concreti elementi di
fatto, la censura contenuta nell’impugnazione non riguarda travisamento delle

rilievi, mentre con i motivi di ricorso si sollecita una non consentita nuova

prove, ma sollecita una difforme valutazione, incompatibile con l’ambito di
cognizione di questa Corte.
Per completezza sul punto si deve rilevare che, riconosciuta all’interessata
la qualità di concorrente nel reato, con funzione determinativa, non può
escludersi la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, se pure ella
pacificamente non ha partecipato alla materiale azione di pressione sulla parte
lesa, in ragione del già richiamato criterio di cui all’art. 59 cod pen, non potendo
ignorarsi che la programmazione dell’attività, con le sue chiare modalità
esecutive che richiamano l’uso del metodo mafioso, si è formata in sua presenza.

49

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

Cr

7.9. L’impugnazione dell’affermazione di responsabilità per il reato di
ricettazione contestato sub W) riguarda la consapevole percezione da parte
dell’interessata, al pari di altri componenti della famiglia, dei proventi dell’attività
estorsiva materialmente ricevuti dal fratello del padre, Gallico Rocco, all’epoca
latitante, che venivano ripartiti tra i componenti della famiglia, ed in relazione ai
quali la donna ha mostrato, fornendo unitamente al fratello un resoconto

spettante, come è dato ricavare da una specifica conversazione intercettata al
riguardo. In proposito l’impugnazione risulta del tutto generica all’atto in cui, in
luogo che segnalare la carenza dimostrativa delle prove valutate sul punto, si
limita a richiamare l’intervenuta assoluzione della sorella Lucia dalla medesima
imputazione, senza farsi carico di desumere da quale elemento di fatto dovrebbe
trarsi la pretesa identità di valutazione processuale, non affrontando la portata
dimostrativa della conversazione valorizzata a tal fine.
7.10.

Generica è la contestazione riguardante la non corretta

qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 418 cod. pen. stante la limitata portata
applicativa della disposizione richiamata, che richiede l’esclusione del concorso di
persone nel reato, in relazione al quale, in senso opposto, emergono plurimi
elementi di conferma nella sentenza impugnata, desumibili dalla condivisione con
Gallico Giuseppe di tutto il portato conoscitivo dei rapporti tra la cosca Gallico e
quelle antagoniste, i cui aggiornamenti erano garantiti al detenuto proprio dai
racconti della ricorrente, mentre anche nel corso del giudizio d’appello erano
state proposte sul punto osservazioni pari genericità, adeguatamente contrastate
nella pronuncia impugnata.
7.11. Da ultimo manifestamente infondati sono i rilievi sulla
determinazione della pena; in particolare, deve escludersi che sia stato
erroneamente apportato un aumento per il reato di ricettazione di cui al capo
WW) da cui l’imputata è stata assolta, dovendosi chiaramente intendere tale
indicazione come riferita all’aumento per il capo W), riguardante il medesimo
titolo di reato, per cui è intervenuta l’affermazione di responsabilità ma non è
stato realizzato un autonomo aumento della sanzione, sicché il richiamo
contenuto in sentenza al diverso capo di accusa deve intendersi quale mero
errore materiale nell’indicazione del reato per cui è stato apportato l’aumento.
Quanto alla concessione delle attenuanti generiche, la censura è volta alla
determinazione valutativa, e non all’argomentazione svolta sul punto dal
giudicante, unico ambito su cui è ammissibile una valutazione di questa Corte.

50

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

dettagliato al padre, di essere consapevole della natura ed entità della parte loro

8.1. Gioffrè Vincenzo è stato ritenuto responsabile della fattispecie
associativa contestata al capo N), riguardante un gruppo illecito territoriale
antagonista dei Gallico, facente capo a Bruzzise.
Nel ricorso si contesta l’univocità degli elementi di accusa emersi a suo
carico, lamentando la non corretta ricostruzione dei fatti operata dal giudice di
merito ed in proposito si ripropongono chiavi di lettura alternative e riduttive di

analiticamente dedotto in senso opposto nelle sentenze di merito. In particolare
nel ricorso si lamenta l’erronea interpretazione di alcune condotte attribuite al
Gioffrè ritenute sintomatiche nella sentenza dell’attività partecipativa,
riproducendo proprie alternative chiavi di lettura, che non considerano l’intero
portato probatorio evidenziato dal giudice al riguardo, per di più proponendo
analisi ricostruttive non fondate su elementi di prova identificabili nell’ambito del
procedimento. Così, si ipotizza che nell’interpretare l’intervento sull’auto di
pertinenza dei Bruzzise eseguito da Gioffrè, si sia operato un riferimento ad un
episodio relativo ad auto di diverso componente della famiglia, presente nel Nord
Italia, luogo ove si sarebbe svolto anche il controllo dei Carabinieri alla luce del
quale viene offerta l’interpretazione della conversazione, e tale ipotesi viene
tratteggiata sulla base di difformi elementi ricostruttivi di cui non è indicata la
fonte. In particolare, non viene esplicitato nel ricorso da quale elemento
processuale emerga che il controllo sul mezzo di pertinenza di Gianni Bruzzise
classe ’84 sia stato eseguito nel Nord Italia, dove questi si era trasferito,
circostanza dalla quale si dovrebbe trarre il dubbio sulla corretta interpretazione
della conversazione su cui è stata ricostruito l’episodio richiamato, quando in
senso contrario nelle conversazioni analizzate nella sentenza di primo grado si
opera un chiaro riferimento ad un controllo preventivo su un auto che avrebbe
dovuto partire per il Nord e rispetto alla quale risulta essere stato effettuato lo
smontaggio dei pannelli, attività che non si giustificherebbe con il controllo di
funzionalità di mezzo, a cui la difesa ritiene di limitare l’intervento, con ciò
stesso dovendo escludersi la pretesa illogicità della ricostruzione.
Le ulteriori deduzioni difensive tendono ad evidenziare l’ambiguità degli
elementi indiziari, in quanto strettamente correlabili alla presenza di un rapporto
di lavoro dell’interessato con i Bruzzise, secondo una ricostruzione alternativa già
ampiamente vagliata dai giudici di merito che hanno sottolineato la persistenza
nel tempo del rapporto di fiducia di Gioffrè con i componenti di vertice della
famiglia Bruzzise, di cui vi è conto nelle intercettazioni, la poliedrica natura dei
suoi interventi a supporto degli stessi, con particolare riferimento alla sicurezza
personale garantita nel periodo di crisi del gruppo, per la sua contrapposizione
51

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

singoli elementi indiziari, senza specificamente confrontarsi con quanto

con i Gallico, il riconosciuto pieno coinvolgimento dello stesso negli affari di
famiglia, tanto da ritenerlo per un verso facile bersaglio dello schieramento
avverso, per altro depositario di tutti i segreti del gruppo e quindi
potenzialmente pericoloso ove ferito negli affetti, a seguito di un rifiuto della sua
proposta di fidanzamento nei confronti di Bruzzise Fortunata, problema su cui si
intrattengono i componenti di quella compagine in una conversazione.

pretesa illogicità dell’attribuzione all’interessato della custodia delle armi, che
secondo la difesa sarebbe contraddetta dal riferimento, contenuto nella
conversazione, all’inconsapevolezza di Gioffrè sulla presenza del nascondiglio,
scoperto solo con l’arrivo dei Carabinieri, poiché anche il presidio assicurato
inconsapevolmente su beni di tale rilievo per il gruppo denota la presenza di un
rapporto fiduciario che si pone ben al di là di quello meramente lavorativo, di cui
vi è ampia traccia nella dichiarata disponibilità di Gioffrè ad attività più diverse,
tutte funzionali a coadiuvare il gruppo nella loro azione e sicurezza sul territorio,
proseguito anche con l’acquisizione di un alloggio nella diversa zona geografica
ove la famiglia Bruzzise si era trasferita per i contrasti insorti a livello locale,
secondo quanto tratteggiato nel capo di imputazione ed emergente dal contenuto
delle ulteriori conversazioni la cui interpretazione non è contestata nel ricorso.
Sulla base di quanto illustrato risulta quindi evidente che nel ricorso si
tende a sollecitare un’alternativa interpretazione delle emergenze, in luogo che a
segnalare contraddizioni logiche delle pronunce di merito, conformi sul punto,
che hanno tratteggiato la condotta partecipativa attribuita al Gioffrè in maniera
coerente alla contestazione, e con riferimento ai plurimi interventi indicatori di
una costante e irrinunciabile presenza di questi all’interno dell’attività della
compagine, anche in momenti di crisi della sua funzionalità, e si richiede in
questa sede un nuovo giudizio valutativo estraneo all’ambito di cognizione di
questa Corte.
8.2. Risulta generica la contestazione riguardante l’argomentazione
formulata dalla Corte territoriale in ordine al rigetto dell’istanza di concessione
delle attenuanti generiche, fondata esclusivamente sulla mancata valorizzazione
dell’assenza di precedenti a carico dell’interessato, poiché risulta mancante,
anche in sede di merito, la valorizzazione di ulteriori elementi favorevoli esposti
dal difensore ed ingiustamente non esaminati.
Il rilievo, ove volto a contestare l’esercizio della discrezionalità da parte
del giudicante, risulta generico, all’atto in cui non considera la necessità che tale
valutazione sia ancorata ad elementi positivi, mentre è manifestamente
infondato con riferimento all’eccepita erronea applicazione dell’art. 62 bis cod.
52

Cessazione sezione VI, rg. 4732/2015

Il complesso di tali elementi indicativi non risulta posto in crisi dalla

pen. nella formulazione successiva alla I. 24 luglio 2008 n. 125, atteso che il
tempo di consumazione del reato deve essere valutato sulla base della
contestazione e nella specie, in mancanza di elementi dimostrativi della
rescissione del legame associativo, quanto meno con riguardo al singolo
partecipe, deve ritenersi che la sua condotta sia collocabile temporalmente, nel
caso di giudizio abbreviato, fino alla data della richiesta di rinvio a giudizio (Sez.

al 19/04/2011, si individua in epoca successiva alla modifica normativa, così
superando in diritto l’eccezione attinente all’omessa considerazione della
mancanza di precedenti a carico dell’interessato.
8.3. Nello stesso senso deve concludersi anche con riferimento
all’eccepita erroneità della pena edittale determinata, in quanto il calcolo risulta
operato in forza della normativa vigente all’epoca di cessazione della
permanenza come sopra individuata, attività rispetto alla quale non è
intervenuta nel corso del giudizio l’allegazione di alcuna circostanza idonea a
dimostrare la recisione del legame associativo, anche limitata a livello personale,
e rispetto al quale non assume valenza delimitatrice la collocazione temporale
del contatti telefonici dai quali sono stati desunti gli elementi di prova a carico
dell’interessato, proprio per la richiamata natura del reato permanente.
9.1. Nell’interesse di Iannino Giulia è stata proposta l’eccezione di nullità
del procedimento per mancato accesso dell’imputata all’esame dei DVD,
eccezione della cui manifesta infondatezza, sia per il rito scelto, che per la
genericità di espressione, si è già detto sub 7.2.
9.2. I vizi lamentati sull’interpretazione delle conversazioni, sia sul piano
procedurale che riguardo al loro contenuto, risultano anch’esse manifestamente
infondate, all’atto in cui non considerano le argomentazioni rese in sentenza sui
punti contestati, e si limitano alla riproposizione dei rilievi procedurali e di fatto
formulati in atto di appello, senza colpire specificamente le deduzioni contenute
nella sentenza al riguardo.
Quanto al primo profilo, riguardante la mancata valutazione delle
trascrizioni formate dal consulente di parte, che si assumono ingiustamente
ignorate, la Corte dà conto del confronto effettuato tra le convergenti trascrizioni
disposte di ufficio e le difformi annotazioni del consulente della difesa,
escludendo che tali difformità ricadano su elementi essenziali delle conversazioni
oggetto di approfondimento, tanto da stravolgerne il senso; nell’odierna
impugnazione, dopo aver genericamente richiamato tali discrasie, si assume in
senso opposto che proprio la loro mancata analisi, o il mancato ascolto diretto
delle conversazioni, avrebbe prodotto travisamento della prova, con deduzione
53

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

6, Sentenza n. 49525 del 24/09/2003 imp. Tasca, Rv. 229504), che, risalendo

del tutto generica, poiché si limita alla segnalazione di una singola frase non
colta dai periti di ufficio, rispetto alla cui insussistenza, alla luce delle tre
trascrizioni disposte di ufficio, la sentenza si attarda ad argomentare. Peraltro
nella stessa esposizione difensiva l’espressione che si ritiene fraintesa non
assume carattere dirimente, al punto che la critica si incentra successivamente
sullo scarso significato delle parole riportate nella consulenza del P.m. In realtà,
come già sottolineato in sentenza, è la ricorrenza degli elementi emergenti dalle

non solo nei confronti del gruppo familiare, ma anche rispetto a terzi, e ne
evidenzia la sua funzione di necessario raccordo tra le richieste dei sodali ed il
marito Rocco Gallico che, sia pure latitante nella sua abitazione, per la sua
condizione non poteva che subire limitazione nei contatti con i terzi.
Tale funzione, che emerge da plurimi colloqui, risulta attribuita alla donna
in maniera univoca nelle conversazioni captate nel corso dei colloqui in carcere,
in un contesto nel quale i familiari di Gallico Giuseppe offrivano a questi il
resoconto dell’attività e, proprio per la cautela con la quale si esprimevano, non
possono essere sospettati di artificiosa predisposizione, dubbio del resto non
affacciato dalla difesa, che si limita ad escludere la consapevole intromissione
della Iannino nella causale dei pagamenti, o ad individuarne una difforme
causale.
Anche con riferimento ai versamenti riconosciuti dalla Iannino in favore
del nucleo familiare di Gallico Giuseppe, che si ritiene di giustificare con dei
prestiti, la sentenza si occupa di analizzare la chiave di lettura difensiva,
escludendone l’attendibilità sia per il tenore complessivo delle comunicazioni, che
per la mancata convergenza giustificativa attribuita al riguardo dai percettori
delle somme, che hanno identificato una terza autonoma causale
dell’adempimento, così dimostrando l’inattendibilità complessiva della versione
difensiva, che non offre alcuna giustificazione all’allarme verificatosi nell’ambito
familiare, circa la mancata contribuzione in favore di Gallico Lucia, carenza
vissuta quale violazione di una regola di condotta; si rileva inoltre che nel corso
del contatto diretto con la giovane la Iannino, ricevute le richieste di chiarimenti,
si preoccupa di giustificare la sua condotta, procedimento in alcun modo
spiegabile ove la causale fosse quella di un prestito graziosamente concesso, la
cui coerenza con l’alternativa lettura offerta la stessa versione difensiva non si
occupa di evidenziare.
In tal senso risulta generica la deduzione, formulata nel ricorso proposto
personalmente dall’interessata, in forza della quale si contesta la logicità
dell’individuazione della causale del credito sulla base delle modalità espressive
54

Cassazione sezione VI, rg, 4732/2015

conversazioni che attestano il ruolo di tramite dei pagamenti svolti da Iannino,

che i percettori usano nei confronti della donna, che porterebbero ad escludere la
percezione di finanziamenti elargiti per spirito di liberalità, poiché l’osservazione
nella sentenza non risulta dirimente al riguardo, in quanto preceduta dalla
portata dimostrativa della mancanza di un accordo tra le parti circa la natura del
versamento effettuato, la cui causale, come si è già sottolineato, è descritta in
tre modi diversi, prima dalle due parti in causa, poi dalla difesa, e dalla pluralità

cui la ricorrente non si confronta.
Rispetto a tali elementi di fatto, che risultano tutti analiticamente
esaminati nella sentenza attraverso un percorso logico che non è attinto da
specifiche censure, né appare viziato da contraddizioni, nell’odierno ricorso
vengono riproposte le alternative chiavi di lettura, fondando il dedotto
travisamento della prova su elementi, quali la consulenza di parte, acquisiti e
superati dal giudicante, con argomentazione coerente, che conseguentemente
non possono costituire la base per l’accertamento del vizio.
Da ultimo si deve sottolineare l’irrilevanza, al fine della determinazione di
responsabilità in relazione al delitto di ricettazione di cui al capo WW), della
mancata contestazione sul punto dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio
1991 n. 152 convertito nella I. 12 luglio 1991 n 203, in quanto tale
inquadramento esclude solo la manifestazione degli elementi caratteristici della
circostanza, non la materiale connessione dell’attività distributiva, garantita nei
confronti dei partecipi dall’associata, che costituisce la condotta tipica del reato,
che sulla base di quanto chiaramente enucleato nelle sentenze di merito risulta
collegabile alle condotte lucrative illecite svolte dalla compagine ed assicurata
dalla ricorrente, durante latitanza di Rocco.
Le medesime osservazioni non possono che essere reiterate con riguardo
all’attribuzione all’interessata del ruolo di postina, poiché anch’esso si ricava
dalle intercettazioni esaminate, rispetto alle quali la Corte ha valutato la
convergenza di elementi derivante dal confronto delle tre trascrizioni acquisite e
si attarda ad analizzare anche quanto desumibile dalla captazione sonora e visiva
del colloquio del 18/04/2008 tra la donna ed il marito nel corso della detenzione
di questi, ove si chiarisce, sulla base delle specifiche emergenze della captazione,
che la ricostruzione corretta è quella che attribuisce al marito il passaggio di
qualcosa attraverso l’offerta di cioccolatini alla donna, a conferma del ruolo di
tramite rivestito della Iannino tra il primo e gli associati, ruolo che, data la
natura essenziale della funzione di Gallico Rocco all’interno della compagine, non
può esaurirsi nell’aiuto al coniuge, ma involge gli interessi del gruppo,
consentendo di configurare la sua funzione di canale di comunicazione con
55

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

di interventi della donna nell’ottica di spartizione dei compensi, argomenti con

l’esterno, essenziale alla sopravvivenza del gruppo, secondo quanto prospettato
nell’imputazione associativa.
La sentenza impugnata analizza ulteriori episodi nell’ambito dei quali la
donna risulta aver svolto la funzione di tramite tra il detenuto ed i sodali con
riguardo alle istruzioni sugli interventi riguardanti un locale di interesse del
gruppo e al passaggio di consegne circa la necessità di cambiare la serratura istruzioni che la donna dà conto di aver recepito, elencando anche al marito i due

contraddittori cui ha riferito la consegna, così dimostrando di conoscere la
molteplicità di referenti al riguardo-, nonché delle comunicazioni epistolari tra i
fratelli Gallico Rocco e Gallico Carmelo, all’epoca in cui il primo era detenuto e
l’altro era in libertà vigilata, analizzando al riguardo tutte le obiezioni difensive,
anche quelle che, senza contestare l’attività, ne pongono in discussione la
finalità. Al proposito risulta rilevante sottolineare che le particolari e macchinose
modalità delle comunicazioni -che dalle conversazioni si comprende essere state
ricopiate a mano dalla Iannino, non in grado di usare lo scanner-, oltre che la
presenza di controlli preventivi a carico di Gallico Carmelo, evidenziati dalla stesa
difesa in atto di appello, denotano la funzionalità di tali comunicazioni agli
interessi del gruppo, posto che, secondo quanto emerge dalla pronuncia,
Carmelo in quella fase veniva identificato nelle conversazioni quale il reggitore
degli interessi della famiglia Gallico, circostanze entrambe che superano
l’obiezione riguardante la mancanza di collegamenti diretti di tali comunicazioni
con l’attività illecita.
Rispetto a tali analisi il ricorso ignora le deduzioni attraverso le quali la
Corte ha valutato l’inconsistenza delle deduzioni difensive, ed in luogo che
identificare vizi logici o contraddizioni nella ricostruzione, ripropongono i
medesimi rilievi che raggiungono singoli aspetti degli indizi esaminati, e così
evidenziano la finalità di sottoporre a questa Corte una nuova analisi di merito,
estranea all’ambito di cognizione del giudizio di legittimità.
Inoltre la convergenza degli interessi economici tra l’interessata e
l’associazione risulta anche dall’accertata commistione tra i programmi di questa,
relativi al progetto di acquisizione del punto vendita all’interno dell’erigendo liceo
e concretizzato dalla richiesta formulata a suo nome, e dall’autonoma richiesta
presentata da persone comunque riconducibili ai Gallico, ed il dimostrato
coinvolgimento di tutta la famiglia nell’operazione, desumibile dalle conversazioni
del gruppo su tale operazione economica, svolte in presenza della ricorrente,
che ne evidenzia l’interesse associativo diretto.
Alla luce dei richiami svolti risulta del tutto generico rimarcare la
necessità, al fine dell’affermazione di responsabilità, della convergenza di plurimi
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

d

r
indizi, in ragione dell’ampia confluenza degli elementi acquisiti circa la
compenetrazione della donna nell’attività del gruppo, ricavabile dai molteplici
interventi effettuati sia presso i componenti del gruppo familiare -pagamenti,
intermediazione, intestazione di attività economiche-, sia durante la latitanza e la
detenzione del marito, sia presso i terzi componenti del gruppo -erogazioni,
tramite di comunicazione- cosicché l’eccezione di violazione di legge per la non
corretta applicazione dei criteri di interpretazione delle conversazioni tra terzi, in

sostegno in fatto.
Analogamente, la contestazione sulla sistematicità delle intromissioni
della donna nella erogazione degli utili del gruppo viene svolta sulla base di una
difforme interpretazione, al singolare invece che al plurale, del riferimento
contenuto in una conversazione ai “conti”, laddove tale sistematicità si ricava
nella pronuncia dal complesso degli interventi dello stesso tipo attribuibili alla
Iannino, e non dalla pretesa pluralità o singolarità dell’erogazione di cui si
discute nella conversazione, sicché l’eccezione sul punto risulta non pertinente
rispetto alla decisione, al di là di ogni indicazione sulla corretta interpretazione
del contenuto della comunicazione, superata dalla considerazione in rito già
richiamata.
Il complesso delle risultanze richiamate, nel sottolineare la pluralità di
interventi della Iannino negli interessi del gruppo e la sua durata nel tempo,
esclude la possibilità di ricondurre la condotta attribuita alla donna nella diversa
fattispecie imputazione di cui all’art. 418 cod. pen. qualificazione di cui la Corte
si è fatta carico, escludendo la minore fattispecie la presenza degli elementi di
fatto caratterizzanti costituiti dalla limitatezza ed occasionalità degli interventi,
laddove sul punto si reiterano nei ricorsi nelle osservazioni di fatto già svolte nei
gradi di merito, senza superare le opposte osservazioni emergenti dalla
pronuncia sottoposta a gravame.
9.3. Del tutto generiche risultano le osservazioni con le quali si censura la
mancata applicazione delle attenuanti generiche, trattamento il cui
riconoscimento presuppone da parte del giudicante l’individuazione di elementi
favorevoli ed il cui onere argomentativo al riguardo, stante l’ampiezza dei
riferimenti di fatto cui connettere tale determinazione, si esaurisce
all’individuazione degli elementi di segno contrario, che possono intendersi come
implicita affermazione della prevalenza valenza degli stessi ai fini della
determinazione (da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 28535 del 19/03/2014, imp. Lule,
Rv. 259899); peraltro nella specie la Corte ha operato un richiamo alla genericità
delle deduzioni sul punto, riguardanti un comportamento processuale di cui non
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

violazione dei principi di cui all’art. 192 comma 2 cod. proc. pen. risulta priva di


si apprezzava la positività, a fronte della specifica pericolosità della condotta
attribuita all’interessata, oltre che all’irrilevanza di mancanza di precedenti di
rilievo, mentre sulla misura della pena, contestata genericamente in ricorso, si
segnala che con le aggravanti riconosciute essa è stata determinata nel minimo,
con impossibilità giuridica di un trattamento più favorevole.
9.4. Risultano inammissibili, in quanto costituenti rilievi nuovi, e non

motivazione della sentenza in relazione a specifici motivi di appello proposte
dall’interessata con memoria depositata il 05/08/2014 oltre il termine per
impugnare, che scaduto il 28/07/2014 (45 gg la scadenza del termine per il
deposito della sentenza prorogato al 13/06/2014).
9.5. Quanto alle ulteriori osservazioni formulate con memoria depositata
nella stessa giornata, ma riguardanti illustrazioni aggiuntive sui rilievi già svolti,
non può che richiamarsi quanto già espresso con riferimento alla sanatoria della
nullità ipotizzata a seguito della mancata visione dei DVD consegnati, derivante
dalla scelta del rito di cui al 7.2. Nell’atto inoltre l’interessata si richiama alle
eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni sollevate dai coimputati, per
effetto della incompetenza dell’ufficio di procura che le ha disposta, della cui
irrilevanza sulla regolarità delle captazioni si è già detto sub 7.5.; reitera le
contestazioni riguardanti la mancata confutazione degli elementi probatori
desunti dalla lettura dei filmati, che, per quanto detto, risultano analizzati
compiutamente nella sentenza, ed in relazione alle cui osservazioni specifiche
non vengono rilevate contraddizioni o salti logici; si fornisce una giustificazione
della non corretta ricostruzione della casuale del debito saldato con la cognata,
dando conto che la difforme versione resa nel corso dell’interrogatorio era da
addebitare a cattivo ricordo, deduzione chiaramente in fatto, che si fonda su una
specifica eccezione di difetto di motivazione della sentenza, non sollevata nei
termini utili per la proposizione del ricorso, ed in quanto tale tardiva.
9.6. Da ultimo palesemente di merito risultano le osservazioni svolte
dall’interessata nella memoria depositata il 16/06/2015 ove si richiamano
circostanze sopravvenute, non in grado di scardinare la ricostruzione degli
elementi indiziari posta a base della sentenza impugnata, poiché involgono
considerazioni di fatto che presuppongono un diverso giudizio di merito; o chiavi
di lettura alternativa in ordine al riferimento a lei, in luogo che al marito, nelle
conversazioni intercettate, secondo un codice di comunicazione che non risulta
mai prospettato in precedenza, che per di più contrasta con la presenza nel
corpo della comunicazioni captate di chiari riferimenti ad entrambi, e sulla cui
attendibilità non risulta sottolineata la presenza di elementi di conferma,
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Cessazione sezione VI, rg. 4732/2015

sviluppo delle argomentazioni già contenute nel ricorso, le eccezioni di difetto di

eventualmente ignorata dal giudicante, che si esaurisce quindi nella lettura
alternativa di un dato di merito, estraneo all’ambito del giudizio rimesso a questa
Corte.
10.1. Manifestamente infondati sono i motivi di ricorso formulati, quanto
all’affermazione di responsabilità, nell’interesse di Santaiti Gaetano, che non
costituiscono che la riproposizione dei medesimi argomenti di merito svolti in

punto dalla Corte territoriale, dalle quali si prescinde, così deducendo in questa
sede, quanto alla motivazione della sentenza un vizio non sussumibile in quelli
indicati dall’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.
Deve conformemente concludersi anche con riferimento all’eccepita
violazione di legge derivante dalla mancata applicazione dell’esimente della
ritrattazione; al di là della circostanza che questa risulta evocata solo in questa
fase, la richiesta risulta formulata senza alcun richiamo alla sussistenza degli
elementi di fatto, che non è dato ricavare neppure dalle sentenze di merito,
posto che queste riferiscono di una modifica delle affermazioni svolte dal
ricorrente intervenuta in questo procedimento, conseguentemente priva dei
requisiti temporali prescritti dalla disposizione di cui si invoca l’applicazione.
10.2. La sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 dl 13 maggio 1991 n.
152 convertito nella I. 12 luglio 1991 n 203 risulta oggetto di contestazione in
maniera generica, a fronte dell’indiscussa consapevolezza, da parte dell’agente,
di favorire con la sua condotta, finalizzata a far ottenere a Gallico Giuseppe,
esponente di vertice dell’organizzazione, la revisione della sua sentenza di
condanna, ed il recupero della libertà che aveva immediata ricaduta sulla vitalità
del gruppo di riferimento, come si ricava dalle conversazioni intercettate, ove si
dava conto di preoccupazioni dei partecipi conseguenti alla sua assenza sul
territorio. Al di là del richiamo al più volte evocato art. 59 cod. pen. in merito
all’elemento psicologico rilevante al fine dell’applicazione dell’aggravante, la
stessa difesa non pone in dubbio nel ricorso la consapevolezza da parte del
Santaiti della caratura criminale di Gallico, e conseguentemente del rilievo
attribuibile alla sua condotta per la sopravvivenza del gruppo.
10.3. Generiche e di merito sono le deduzioni attinenti al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche ed all’omesso contenimento della
sanzione nel minimo, trattamento negato con argomentazione congrua, che
opera un richiamo alla violazione del patto con lo Stato, da parte del Santaiti,
collaboratore di giustizia, compiuta accedendo alle sollecitazioni a fornire una
versione di comodo formulatagli dal gruppo Gallico, a fronte della quale si
formulano deduzioni prive di indicazione di positivi elementi, ingiustamente
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Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

grado di appello, espressi senza considerare le argomentazioni sviluppate sul

ignorati dal giudicante ed astrattamente idonei ad indurre ad una più favorevole
determinazione.
11.1. Nel ricorso proposto in favore di Sgrò Carmelo si pone in dubbio la
sufficienza degli elementi indiziari a tratteggiare l’ipotesi associativa nell’attività
di prestanome attribuita allo Sgrò sia per la ritenuta insufficienza di tale attività a
dimostrare la compartecipazione alle finalità del gruppo, sia, a monte, per la

intercorse tra terzi estranei.
Richiamato, sotto tale ultimo profilo, quanto già rilevato in punto di
effettuata valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese tra terzi, secondo il
prudente apprezzamento, gli ulteriori motivi di ricorso formulati risultano
generici, all’atto in cui sussiste una plurima convergenza di elementi nel senso
della collaborazione di Sgrò con il gruppo e del suo carattere di continuità,
desumibile dal riferimento contenuto nelle conversazioni intercettate ad attività
illecita svolte in concorso con il Gallico Giuseppe nel corso del tempo, e
collegabili alla condotta associativa, e dalle dichiarazioni di Santaiti in ordine alla
accertata riferibilità di un terreno dello Sgrò al cui acquisto era interessato, per
effetto del rinvio da questi compiuto ai Gallico quali persone a cui richiedere
informazioni sulla vendita, evidentemente effettivi titolari del bene. Tali
risultanze hanno trovato puntuale riscontro nella verificata titolarità da parte
dello Sgrò della particella catastale indicata dal teste, oltre che nella
constatazione della titolarità da parte sua di un notevole numero di terreni
situati nella zona di espansione urbanistica del comune di Palmi, oggetto di
numerose operazioni di acquisto e rivendita, in relazione alle quali si è accertata
l’incapacità economica dell’interessato all’epoca degli acquisti, risultando in
proposito con motivazione non contestata, dimostrata l’inidoneità degli elementi
offerti dalla difesa a superare la deduzione operata sulla base degli accertamenti
di ufficio.
La stabilità della collaborazione fornita, evidenziata sia dai richiami alle
più risalenti attività collaborative, che alla massiccia attività di acquisto eseguita
nel periodo 1990-1994, in cui i reggenti del gruppo Gallico erano in cattività o
latitanti, sia i riferimenti più recenti nelle conversazioni alla fedeltà dello Sgrò,
desumibili dalla conversazione nella quale viene riconosciuto meritevole di un
compenso, o da quella in cui i componenti della compagine si rallegrano per la
presenza di tre nipoti maschi nella famiglia di Sgrò, che avrebbe condotto ad
ampliare in futuro la “iaria”, sono elementi tutti individuati nelle sentenze di
merito, che confermano la natura continuativa dell’illecito, a dimostrazione
dell’irrilevanza al fine di accertare la responsabilità dell’individuazione delle
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Cessazione sezione VI, rg. 4732/2015

scarsa affidabilità degli elementi di accusa, tratti dalle conversazioni intercettate,

specifiche attività di collaborazione assicurata da Sgrò nell’arco temporale 19851990 su cui dalla difesa assume l’assenza qualsiasi indicazione, per la natura
permanente della fattispecie.
Altrettanto generica è la contestazione riguardante la mancata
dimostrazione della consegna di utilità economiche ritratte dalla vendita ai
componenti del gruppo: ritenuta la dimostrazione dell’incapacità patrimoniale di

tale intestazione, confermata da quanto dichiarato dal Santaiti, ne discende
l’impossibilità per lo stesso di trattenere il frutto delle operazioni di vendita, del
resto dimostrata dal riferimento contenuto nella conversazione tra gli associati,
richiamata nella sentenza, che riconosce in suo favore una ricompensa per
l’attività prestata, e rileva la dipendenza economica di Sgrò dal gruppo, frutto
dell’azione svolta in suo favore. Sotto tale profilo non è dato ravvisare il vuoto
argomentativo lamentato nell’impugnazione.
Analogamente insussistente è la lamentata illogicità della motivazione con
riferimento alla corretta individuazione dei fondi di proprietà di Sgrò, riconducili
alla famiglia Gallico, discutibile, secondo la difesa, in ragione della non corretta
ubicazione degli stessi, sulla base della erronea individuazione del lato della
strada su cui insistevano. La svalutazione del dato identificativo infatti non è
stata svolta sulla base di supposizioni, come riferito nell’impugnazione, ma in
forza di specifiche risultanze delle conversazioni intercettate, che danno conto
dell’estendersi della sfera di influenza dei Gallico su entrambi i lati della strada di
riferimento, sicché la contestazione riguardante l’erronea l’individuazione
topografica degli immobili risulta infondata, in quanto la motivazione si muove in
un ambito ricostruttivo lineare e coerente, non smentito in fatto dalla rilevata
presenza di elementi di prova contrastanti, ed è pertanto non suscettibile di
censure in questa sede.
11.2. L’ulteriore rilievo, riguardante la mancata applicazione della diversa
disciplina di cui all’art. 12 quinques dl. 08/06/1992 n. 306 convertito nella
1.07/08/1992 n. 356 risulta generico, come già rilevato dal giudice di merito,
all’atto in cui è fondato sulla negazione di sussistenza degli elementi dimostrativi
dell’attività di partecipazione all’associazione, ed a tal fine non supera il dato
storico della continuità dei collegamenti intercorsi tra Sgrò ed i componenti di
spicco della cosca Gallico, né individua da quali elementi di fatto sia possibile
desumere la natura estemporanea dell’attività, circostanza che
conseguentemente esclude la possibilità di limitare l’intervento dell’interessato
alla sopradica disponibilità dimostrata, già contraddetta dalla massiccia
intestazione di beni immobili in suo favore, attività che per la ripetitività della
61

Cassazione sezione VI, rg. 4732/2015

Sgrò riguardante l’accumulo di beni immobili a lui intestati, e la natura fittizia di

condotta, concentrata nell’arco temporale di maggiore difficoltà per il gruppo, ne
denota il coordinamento di azione e la necessarietà della funzione, che giustifica
la riconduzione dell’attività nell’ambito dell’azione partecipativa, secondo i criteri
più volte richiamati nella sentenza, quale ruolo dinamico e funzionale alle
esigenze del gruppo.
12. In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen. Cedro Alberto, Ficarra
Antonino, Ficarra Roberto, Gallico Domenico, Gallico Italia Antonella, Gioffrè

al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione, in favore della parte civile
costituita, delle spese di rappresentanza in questa fase liquidate, in
considerazione dell’attività svolta, come in dispositivo.
Cedro Alberto, Gallico Italia Antonella, Gioffrè Vincenzo, Iannino Giulia,
Santaiti Gaetano Giuseppe e Sgrò Rosario sono inoltre tenuti al versamento in
favore della cassa delle ammende, della somma di C 1.000 ciascuno.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Dinaro Antonio,
limitatamente al reato associativo, e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte d’appello di Reggio Calabria.
Rigetta il ricorso nel resto.
Rigetta i ricorsi di Ficarra Antonino, Ficarra Roberto e Gallico Domenico,
che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi del P.g., e di tutti gli altri imputati,
condannando questi ultimi al pagamento delle spese processuali e della somma
di euro 1.000 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Condanna altresì tutti gli imputati ricorrenti, ad eccezione del Dinaro, alla
rifusione delle spese di rappresentanza in giudizio della parte civile Provincia di
Reggio Calabria che si liquidano in complessivi euro 5.000, oltre spese generali,
IVA e CPA.
Così deciso il 08/07/2015

Vincenzo, Iannino Giulia, Santaiti Gaetano Giuseppe e Sgrò Rosario sono tenuti

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