Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36007 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36007 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAGO FRANCESCO N. IL 01/11/1962
avverso la sentenza n. 23088/2013 GIP TRIBUNALE di BUSTO
ARSIZIO, del 29/10/2013
sentita la relazione fatta dal ConsigliereDo
d)• VINCENZO ROMIS;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

e.

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Data Udienza: 16/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Lago Francesco ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe di applicazione della pena
su richiesta delle parti per il reato di cui all’art. 73, quinto comma, del dpr n. 309/90, per la
illecita detenzione di marijuana, così qualificato il fatto nell’accordo tra le parti e recepito dal
giudicante (in luogo della iniziale contestazione della violazione dell’art. 73, primo comma,
del d.P.R. citato).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.
Il c.d. patteggiamento, disciplinato dagli artt. 444 e seg. C.p.p., è un istituto processuale in
base al quale il pubblico ministero e l’imputato si accordano sulla qualificazione giuridica del
fatto contestato, sulla concorrenza e valutazione delle circostanze e sulla congruità della pena patteggiata.
Sulla base di tale accordo, il sindacato del giudice non ha la stessa ampiezza prevista qualora si proceda al giudizio ma è limitato alla valutazione sull’esistenza, che deve apparire evidente, di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p. e ad un giudizio di
congruità sul trattamento sanzionatorio.
In particolare il giudice non deve procedere all’accertamento dei fatti nella loro effettiva
consistenza, essendo da ciò esentato proprio dall’intervenuto accordo delle parti: di tal che,
non sono proponibili con il ricorso per Cassazione censure che attengono alla concreta ricostruzione dei fatti stessi.

2. Occorre tuttavia tenere conto delle modifiche normative conseguenti sia ad una pronuncia della Corte costituzionale, sia a recenti interventi del legislatore.
Con sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, per quanto qui rileva, è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis della legge 21 febbraio 2006 n.49, entrata in vigore il 28.2.2006, nella cui vigenza è stato commesso il reato contestato al Lago (29
luglio 2011); al detto reato, a seguito di tale dichiarazione di incostituzionalità e come dalla
Corte costituzionale espressamente affermato, trova applicazione l’art. 73 del d.P.R 309/90
e relative tabelle nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni
ritenute incostituzionali, con il ripristino del differente trattamento sanzionatorio dei reati
concernenti le droghe leggere e le droghe pesanti. Nella materia è altresì intervenuto il d.l.
23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni, in I. 21 febbraio 2014 n.10, il cui
art. 2 ha introdotto nel testo del d.P.R 309/90 un nuovo quinto comma che ha ridefinito i
contorni della fattispecie dell’ipotesi lieve nel senso che la medesima costituisce titolo autonomo di reato e non circostanza aggravante come in precedenza ritenuto. La sentenza della

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Il ricorrente lamenta il difetto di motivazione sull’accertamento di responsabilità.

Corte costituzionale non ha inciso su tale disposizione; la stessa Corte Costituzionale ha
definito i limiti oggettivi del proprio intervento in relazione al d.l. 146/2013 convertito in
1.10/2014, affermando che “trattandosi di ius superveniens che riguarda disposizioni non
applicabili nel giudizio a quo” lo stesso non poteva esplicare alcuna incidenza sulle questioni
oggetto del giudizio della Corte relative a disposizioni diverse da quelle oggetto di modifica
normativa e che “gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano

stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest’ultima”.
Pertanto il 5 0 comma dell’art. 73, relativo ai fatti di lieve entità, quale risultante
dall’intervento del legislatore con il d.l. 146/2013, convertito con modif. in I. 10/2014, non
è stato travolto dalla predetta sentenza n.31/2014, ponendosi lo stesso in rapporto di continuità normativa con la reviviscente legge del 1990 che già puniva i fatti di lieve entità
cui si riferisce il nuovo intervento, sia pure con un diverso trattamento sanzionatorio.
Ciò non toglie che nel regime intertemporale, con riferimento ai fatti commessi dopo
l’entrata in vigore della legge dichiarata incostituzionale (28.2.2006) ma prima dell’entrata
in vigore del nuovo decreto legge (24.12.2013), debba trovare applicazione la norma più
favorevole tra quella vigente all’epoca del commesso reato, tenuto conto della sentenza di
incostituzionalità n. 32/2014, e quella attualmente vigente.
E’ poi intervenuto il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16
maggio 2014, n. 79 (in Gazz. Uff. n. 115 del 20 maggio 2014, Serie Generale), in vigore dal
21/5/2014, il cui art. 1, comma 24-ter(inserito in sede di conversione) così testualmente dispone: «All’articolo 73 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 5 è sostituito dal seguente:”5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti
previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione
ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329″».

3. La radicale modifica del quadro normativo di riferimento così intervenuta, richiede – tenendo presente che la pronuncia della Corte costituzionale che qui viene in rilievo ha riguardato non già le norme incriminatrici ma il trattamento sanzionatorio applicabile – la valutazione delle situazioni giudicate ed oggetto di ricorso davanti a questa Corte alla luce del
principio di eguaglianza (art. 3 Costituzione) e di quelli relativi alla successione di leggi nel
tempo dettati dagli artt. 2, co.4, codice penale e 7, par. 1, Convenzione europea sui diritti
dell’Uomo, occorrendo in particolare adeguarsi alla interpretazione della Corte EDU del
predetto art. 7, par. 1, della citata Convenzione europea, secondo cui l’imputato ha diritto
di beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato, che prevede una

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in alcun modo la modifica disposta con il decreto legge n. 146 del 2013, (…..), in quanto

sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza, fino a che non sia intervenuta sentenza passata in giudicato (sentenza CEDU Scoppola C/Italia; Corte cost. n.210/2013).

4. Ritiene il Collegio che alla applicazione della nuova normativa nei processi in corso, in
quanto più favorevole, non sia di ostacolo la inammissibilità del ricorso trattandosi di questione che deve essere rilevata di ufficio ex art. 609 cod.proc.pen., non potendosi considerare preclusiva la formazione del giudicato in senso sostanziale (nel senso espresso da SU

mente alla data di proposizione del presente ricorso e pertanto certamente non era possibile
tenere conto di essa nella formulazione dei motivi proposti.

5. Per effetto del principio della applicazione della legge più favorevole come riconosciuto
dalla Cedu, è dunque necessario che quando la legge del tempo in cui è stato commesso il
reato prevede un trattamento più gravoso, quanto a definizione del reato e previsione delle
relative pene, rispetto a quello introdotto da una norma successiva, occorre applicare il secondo con il limite del giudicato. Nella individuazione della legge più favorevole si deve considerare la disposizione in concreto complessivamente più favorevole, senza potersi mai
combinare parti di disposizioni diverse perché ciò porterebbe ad applicare un “tertium
genus” non consentito e cioè una normativa non prevista dal legislatore.

6. Da quanto sopra detto deriva che per i reati commessi dopo il 28.2.2006 (data di entrata
in vigore della n.49/2006 c.d. legge Fini-Giovanardi) e prima del 24.12.2013 [data di entrata in vigore dell’art. 2 del d.l. 23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni, in I. 21
febbraio 2014 n.10, cui ha fatto seguito poi come detto il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79 (in Gazz. Uff. n. 115 del 20 maggio
2014, Serie Generale)] dovrà essere applicata:
1)

nel caso di reati concernenti le droghe pesanti, la norma dichiarata incostituzio-

nale (ossia l’art. 73 co. 1, nella formulazione della legge del 2006, c.d. Fini-Giovanardi) in
quanto la stessa prevede una pena (da 6 a 20 anni) inferiore nel minimo a quella (da 8 a 20
anni) della precedente legge del 1990, c.d. Iervolino -Vassalli ed è pertanto più favorevole
per l’imputato;
2)

nel caso di reati concernenti le droghe leggere, la legge Iervolino-Vassalli in

quanto la pena per tali ipotesi previste (da 2 a 6 anni) è inferiore a quella (da 6 a 20 anni)
prevista dalla legge Fini-Giovanardi del 2006; occorre sottolineare che con riguardo a tale
ipotesi quello che era il precedente massimo edittale è divenuto ora il minimo e che la modifica comporta la applicazione di un diverso e più breve termine di prescrizione del reato;
3)

nel caso dell’ipotesi attenuata relativa a droghe leggere e pesanti (senza alcuna

differenza), in ogni caso (qualunque sia stato l’esito del giudizio di comparazione della circostanza attenuante speciale) la disposizione di cui al d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito
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n.24246 del 2004), atteso che, tra l’altro, la modifica normativa è intervenuta successiva-

con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, che prevede la pena della reclusione
da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329: la creazione di un autonomo titolo di reato comporta altresì la applicazione del termine di prescrizione del reato
rapportato al (nuovo) massimo della pena detentiva prevista.
7. Venendo alla situazione in esame, ritiene il Collegio di dover annullare la sentenza impugnata per tenere conto delle più favorevoli cornici edittali applicabili a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 e degli ultimi interventi del legislatore (da

2014, n. 79).
8. L’impugnata sentenza deve, pertanto, essere annullata senza rinvio con contestuale restituzione degli atti al Tribunale di Busto Arsizio per l’ulteriore corso, perché la pena illegittimamente approvata dal giudice di merito toglie validità ai termini dell’accordo sanzionatorio intercorso tra le parti e rende nulla la sentenza che ha ratificato quell’erroneo accordo.
Ne deriva che le parti sono chiamate a compiere una valutazione ex novo della regiudicanda
senza preclusioni di sorta riconducibili alla fase processuale già invalidamente esaurita, con
la possibilità di sottoporre al giudice un nuovo e diverso accordo, ovvero di non riproporlo
(dr. ex plurimis: Cass. Sez. 5^, 229.2006 n. 1411, P.G. c/ Braidich, rv. 236033; Cass. Sez.
6^, 7.1.2008 n. 7952, Pepini, rv. 239082).

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la impugnata sentenza e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale
di Busto Arsizio per l’ulteriore corso.
Roma, 16 luglio 2014
Il Corsigliere estensore

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

Il Presidente
(Gaetanino Zecca)

ultimo, il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio

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