Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36005 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36005 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da :

1. LECINI KLODIAN
2. TURJA GJURI

N. IL 08.08.1986
N. IL 10.07.1988

avverso la ordinanza del TRIBUNALE DEL RIESAME DI VENEZIA in data 25/02/14
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
udite le conclusioni del PG in persona del dott. Francesco Mauro Iacoviello che ha chiesto il
rigetto del ricorso

1.

2.

RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato è stata confermata, in sede di riesame, l’ordinanza
emessa dal GIP presso il Tribunale di Belluno il 31 gennaio del 2014 e con cui era
stata applicata nei confronti degli odierni ricorrenti, indagati per plurime violazioni
del d.P.R. n. 309 del 1990, la misura cautelare degli arresti domiciliari.
Avverso tale decisione hanno proposto congiuntamente a mezzo del proprio
difensore ricorso in cassazione Lecini ed il Turja denunciando la violazione dell’art.
606 lett. e) relativamente all’ intervento mutamento dell’imputazione in fatto di non
lieve entità.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Osserva la Corte : tutte le imputazioni per cui si procede a carico degli odierni
ricorrenti sono relative alla illecita detenzione ed allo spaccio di sostanza
stupefacente del tipo marijuana. Orbene – come da ultimo precisato da questa
Corte (Sez. 4 n. n. 15187 del 2014, Rv. 259056), nel procedere all’esame del
percorso argomentativo del provvedimento impugnato in riferimento alla attualità
delle esigenze cautelari ed alle condizioni di applicabilità della misura custodiale,
devono considerarsi le conseguenze derivanti dalla recente sentenza n. 32 del 2014
della Corte costituzionale (i cui effetti si sono determinati nello stesso giorno
dell’impugnato provvedimento per effetto della pubblicazione sulla GU, ma che non
è stata comunque presa in considerazione dal provvedimento impugnato), rispetto

Data Udienza: 16/07/2014

Ciò posto ritiene il Collegio di aderire all’orientamento espresso dalla prevalente
giurisprudenza di legittimità, in base al quale la natura processuale della disciplina
che regola l’applicazione delle misure cautelari non impedisce di considerare gli
effetti delle modifiche normative che comportino, in applicazione dei principi dettati
dall’art. 2 c.p., per il caso di successione di leggi penali nel tempo, l’applicabilità di
un trattamento sanzionatorio più favorevole, rispetto alla data di commissione del
reato indicato nell’imputazione (cfr. Sez. 4, n. 3522 del 18 dicembre 1997, Rv
210582). Come recentissimannente precisato da questa Corte (n. 15187/2014, cit.),
militano infatti a sostegno dell’assunto, oltre ai rilievi sul carattere sostanzialmente
afflittivo delle misure cautelari- tali da indurre a ritenere che, in caso di successione
di leggi penali nel tempo, la materia non possa essere esclusivamente regolata sulla
base del principio del tempus regit actum specifiche considerazioni di ordine
sistematico, che evidenziano che la modifica della norma sostanziale presupposta
dalla ordinanza applicativa della misura cautelare, incide direttamente sui criteri
legali di scelta ed applicabilità del presidio di contenimento. Ed invero la cornice
edittale relativa all’imputazione de quo incide direttamente- oltre che in relazione al
parametro della proporzionalità della misura, che l’art. 275, comma 2 c.p.p.,
espressamente riconduce alla entità della pena che il giudice ritiene possa essere
irrogata- anche rispetto alla stessa applicabilità delle misure custodiali, che non
possono essere disposte, se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere
concessa la sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art.275, comma 2 bis
c.p.p. E a quest’ultimo riguardo, vengono in considerazione, oltre alle condizioni
soggettive dell’indagato, i limiti edittali di pena previsti dalla norma incriminatrice,
in ragione dei limiti quantitativi posti dall’art. 163, comma 1, c.p.

Le osservazioni che precedono inducono allora a considerare che per effetto della
sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, il massimo della pena detentiva
prevista in addebito, anche alla luce della stessa qualificazione del Tribunale che ha
escluso la sussistenza dell’ipotesi “lieve”, corrisponde adesso al minimo della pena
che era prevista dalla cornice edittale di riferimento, su cui il Tribunale ha basato le
proprie valutazioni.
4.

L’evidenziata rilevante disomogeneità sostanziale dei parametri edittali di
riferimento succedutisi nel tempo, impone allora di annullare l’ordinanza impugnata
e di demandare al Tribunale una nuova valutazione rispetto ai parametri di
proporzionalità ed adeguatezza, oltre che sulla stessa applicabilità dellaa misura in
ordine alla prognosi imposta dall’art. 275, comma 2 bis c.p.p.
P.Q.M.
Annulla la impugnata ordinanza e rinvia al Tribunale di Venezia per nuovo esame,

Così deciso nella camera di consiglio del 16 luglio 2014

alle norme oggetto della imputazione posta a fondamento della misura in atto.
Invero per l’effetto dell’intervento del giudice delle leggi dichiarativo
dell’incostituzionalità degli articoli 4 bis e vicies ter del d.l. n. 272 del 2005,
convertito con modificazioni nella legge n. 49 del 2006, riprende applicazione l’art.
73 del d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo anteriore alle modifiche con queste
apportate, come chiarito dalla stessa Consulta nella sentenza citata.
Conseguentemente la pena relativa alle cd. “droghe leggere”, per effetto del
reintrodotto art. 73, comma 4, d.P.R, n. 309/1990, risulta ricompresa da due a sei
anni di reclusione, oltre alla multa, laddove la cornice edittale presa in
considerazione dai giudici della cautela, al momento dell’adozione della misura e
successivamente, prevedeva la pena ben maggiore, da sei a venti anni di reclusione
oltre la multa.

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